Appunti di toponomastica

Bobbio 20 Maggio 2017

Presentazione e sviluppo degli appunti di Toponomastica effettuata con la collaborazione del Professor Enrico Mandelli

Questo scritto va considerato come un capitolo non conclusivo, ma certamente integrante del Dialetto Bobbiese. Il “Vocabolario” e anche la “Grammatica” completano la ricerca sulla nostra parlata e fissano così nel tempo la nostra storia, il nostro modo di essere, insomma le nostre radici, quelle radici che ci fanno capire da dove veniamo. Non si può però parlare di dialetto bobbiese e trascurare i nomi delle località, che sono le reliquie più antiche e più autentiche della vita e della storia della nostra gente. Tralasceremo di proposito i nomi più recenti per evitare di cadere in sterili polemiche. Basti dire che Bobbio ha conosciuto fatti e personaggi oggi del tutto ignorati o sconosciuti, nonostante il loro nome ancora oggi abbia un’eco nazionale ed internazionale.

La nostra sarà una ricerca condotta in modo serio, con metodo quasi scientifico, per poter ottenere quei risultati, in un campo così vasto, che ci porteranno nel campo linguistico, geografico, storico, folcloristico e, aggiungiamoci, pure socioeconomico.
Le ricerche, ribadiamo, vanno condotte con metodo serio, altrimenti danno risultati risibili. A questo proposito mi permetto di riferire qualche esempio relativo all’ambiente più vicino. Sulla carta topografica al 25 mila, che, alcuni anni or sono l’Istituto geografico militare di Firenze ha dedicato a Bobbio, troviamo i nomi di località come Cerpiano, Scorte e Sarmase. Ognuno di noi sa dove tali località si trovano, tutti possono rintracciarne i nomi sulla Carta topografica. Li abbiamo scelti, perché sono tre guasti della toponomastica ufficiale, che nascono dallo stesso errore iniziale, un errore che si perpetua da decenni e durerà fino a chissà quando. Tutte le volte che si percorre la statale 45 e ci si imbatte nel cartello “Cernusca” nasce spontanea l’irritazione che ti porta a pensare ai numerosi e incredibili guasti della toponomastica ufficiale, guasti così numerosi nella nostra vallata e così difficili da riparare. Cernusca è la trascrizione, in parte orecchiata e in parte inventata dell’espressione dialettale «ins al (o ar) nüsca», dove nüsca è il nome del fosso che scorre sul luogo e finisce nella Trebbia. «Al o ar » è l’articolo determinativo e « in » seguito da una « s », indica “sopra”. «Ins» potrebbe essere un resto della preposizione latina « insuper ». Nella parlata locale abbiamo colto anche «ins la nüsca» dove l’articolo determinativo è femminile, ma l’espressione, nel suo insieme, viene più usata per indicare la località che il fosso.
In area bobbiese la preposizione «ins» suona «ens» con la «e» stretta, ma ha lo stesso significato. Noi diciamo «ens ar pian» e le carte topografiche al 25 mila, registrano «Cerpiano», trasformando un luogo indicato in vernacolo sul piano in un vocabolo italiano senza significato; così in dialetto diciamo «ens curt» e sulle carte ufficiali troviamo «Scorte», dimenticando che «curt» è la «curtis» medioevale, nota istituzione territoriale amministrativa. Nella parlata si sente « e sarmèz » dove la «n» di ens è scomparsa e la «s» si è fusa con l’articolo «ar», originariamente era con tutta probabilità «ens ar mèz». Il “mèz” (in italiano “maso”) era un’unità fondiaria alto-medioevale e nell’espressione bobbiese ce ne sarebbe il ricordo. Sulla Tavola al 25 mila, che l’Istituto geografico militare di Firenze aveva dedicato a Bobbio, qualche decennio fa, «Cà dè Malòs» era diventato «Casa Matoschi»; «Cà d’l’òm fôrt» veniva registrata come «Casa Monforte»; «Cà d’ Rabìn» era «Casa Rubini». Di queste amenità le carte “ufficiali” erano (e in pare sono ancora) costellate.
Si pensi al nostro Ceci ( in dialetto bobbiese: Sès; sul posto si sente Sèsô) che deriva semplicemente dalla pronuncia del suo nome da parte dei francesi, infatti nei codici appare “Ceuce” e varianti: un bellissimo nome da studiare, che nasconde probabilmente una condizione socio-economica medioevale nell’ambito delle proprietà dell’abbazia di San Colombano. Gli s’è affibbiato un nome da legume: in bobbiese “i ceci” si chiamano “sizar” (latino cicer), ma l’ufficialità che spessissimo coincide con l’ignoranza e la presunzione, ha voluto così. Ma ci sono dei documenti! Se non sono documenti le carte topografiche! Eppure quanti errori in una sola tavola!
Un altro caso simile a quello di Ceci è quello di Squerea qui i francesi hanno portato sulle carte un vocabolo dialettale del posto infatti schèra scritto alla francese diventa squera, a dimostrazione di questo è il fatto che il proseguimento di questo sentiero che parte da S. Maria e si inerpica verso la vetta del Penice i vecchi bobbiesi lo indicano come “e scarèt.
E quanti errori si trovano nelle carte notarili dei secoli passati. È il popolo che storpia i nomi! No sono i notai che trascrivono ad orecchio. In bocca al popolo la lingua (il dialetto) si evolve non si storpia. «U rì müt» è diventato un “romito”, che è uno stravolgimento radicale. La commissione comunale per la toponomastica ci ha regalato “un romito, un eremita”, quando noi credevamo di doverci accontentare di un “rio muto”. Accanto a San Colombano ora si venera anche “il romito” del ponte vecchio e al di là del quale persiste un “rio foglino”, con cascata ad onore di una piccola foglia, quando invece dal dialetto bobbiese risulterebbe “u rì fuìn” e cioè il rio della faina; inoltre “a strèta di Parvé” (vicolo dei Parvieri), è stato denominato vicolo dei Peveri. A nostro avviso, invece, il nome deriverebbe, dalla parola francese “Parvis” che significa sagrato, via che porta al sagrato, alle case che erano proprietà della chiesa di San Colombano. Questa parola avrebbe dato origine a Parvé (i più anziani lo ricordano chiaramente) e quindi alla traduzione italiana, a seguito della dominazione francese che, seppur breve, lasciò nel nostro dialetto una ricca eredità di parole e di modi di dire. Tutto questo la commissione comunale di toponomastica avrebbe dovuto saperlo…
Un inventario del 1408, redatto dai Benedettini di S. Giustina di Padova che nel 1448 subentrarono all’ordine di S. Colombano, nel possesso dell’omonima abbazia, a nostro avviso generalizza erroneamente il termine “contrada”, comunque parla di una “Pulcarizie” coincidente presso a poco con “Castellaro e vicolo sopre case (ens su ar ca)”. Il termine così reso ha due possibili origini “Burgaritia” e “Porcaritia”; scartiamo la seconda perché indica un grande allevamento di porci, che non poteva in alcun caso essere ospitato dentro le mura di un piccolo abitato con tanto di Abate e Vescovo ivi residenti; propendiamo naturalmente per il primo che significherebbe (cfr.Olivieri, Dizionario di toponomastica – Serra contribuendo alla storia dei derivati di “Burgus”) un “borgo di case sparse”. Non prendiamo neppure in considerazione la derivazione da “pulci” ipotizzata da uno dei summenzionati commissari.
Un nome che viene da lontano è «e fraciüs», così si chiama quel punto del torrente Bobbio dove ha inizio il “Bedo”, canale antichissimo la cui acqua serviva e serve ancora in parte per l’irrigazione di prati ed orti. Una volta veniva usata per la pulizia delle fognature di Bobbio e da secoli per azionare i cinque mulini esistenti dentro e fuori delle mura della città. A «e Fraciüs» (italianizzato Fraciusse) c’è una briglia di pietre e cemento che serve a trattenere l’impeto delle acque del torrente. In lombardo «fraccia» significa sostegno che innalza le acque di un fiume per irrigazione. Il Ticinese «fracia» è un riparo di rami intrecciati o un terrapieno rinforzato da sassi contro il torrente. Questa specie di chiusa (ciüza) serviva anticamente ad incanalare le acque del Bobbio dentro il Bedo. Poi vennero le dighe o briglie di sassi e di cemento.
Un’ultima scoperta è quella del toponimo “Pegni”, che nel vocabolario spagnolo peña significa colina rocosa, ma anche luogo panoramico come Peña del Chache dove c’è un osservatore astronomico.

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