Le Vocali

Le vocali 

Le vocali sono cinque come in italiano, ma i loro suoni vocalici sono in numero maggiore.  

La vocale  « A » 

Questa vocale in italiano ha un suono unico ed è identico al suono dialettale della «a» atona.

Quando invece l’«a» è tonica, nel bobbiese può avere due suoni: un suono «à» aperto o meglio prolungato ed un suono «á» meno prolungato .

Esempio: suono aperto e un po’ prolungato.

– e bàl (le palle), u cavàl (il cavallo), u camàl (il camallo), ecc.

suono meno aperto me cánt (io canto). 

La vocale  « E » 

In italiano può avere due suoni: uno chiuso «é» e uno aperto «è». Nel dialetto bobbiese ha anche un suono intermedio: è una «e» atona che nella pronuncia tende a diventare muta o quasi muta. Questo suono intermedio si presenta quando in una parola c’è lo spostamento dell’accento tonico su un’altra vocale, causato da un qualsiasi motivo, coniugazione, alterazione, ecc.

Esempi:

– mé a lèg (io leggo) nün a l’giuma (noi leggiamo)

– mé vèd (io vedo) nün a v’duma (noi vediamo)

– padèla (padella) padlìn (piccola padella)

– lègna (legna) l’gnèra (legnaia). 

Può anche succedere che la «e» tonica di un tema verbale, si trasformi in «a» per lo spostamento dell’accento tonico. 

Esempi:

– mé pèrl (io parlo) nün parlùma (noi parliamo)

– mé aśèrd (io azzardo) nün aśardùma (noi azzardiamo)

– mé bèś (io bacio) nün baśùma (noi baciamo)

– mé vèr (io valgo) nün varùma (noi valiamo)

mé tèś (io taccio) nün taśùma (noi tacciamo)

– mé spèr (io sparo) nün sparùma (noi spariamo)

– mé lèv (io lavo) nün lavùma (noi laviamo)

– mé pègh (io pago) nün pagùma (noi paghiamo)

– mé pèrt (io parto) nün partùma (noi partiamo) 

sono verbi che hanno variazioni nel «nel tema». 

Quando nella scrittura troviamo già una lettera accentata la «e» tonica viene indicata con il segno «ē», se il suono è stretto e con il segno «ę» se il suono è aperto. Negli altri casi la «e» è sempre letta come chiusa.

Esempi:

– lü u vedrà (egli vedrà) cręiśmè (cresimare) 

La vocale  « I » 

La vocale «i» non presenta alcuna difficoltà, si pronuncia come in italiano. L’accento grave è però obbligatorio solamente sulla «i» finale di parola se è tonica, come per esempio negli infiniti della III coniugazione. Es. finì (finire), murì ( morire), ecc.

Ma noi lo useremo anche sulla «i» tonica di parole non piane come «vistìs» (vestirsi), «brìscula» (gioco a carte), quando il non metterlo porterebbe confusione nella lettura delle parole.  

La vocale  « O » 

La vocale «o» in posizione atona si pronuncia come in italiano. In posizione tonica, nel dialetto bobbiese, ha più sonorità:

abbiamo

una «ö» molto chiusa e3 variata come si evidenzia nelle parole: fiö (figlio), linguö (ramarro), ecc

una «ó» chiusa come nella parola: mórt (morto), cón (con), ecc.

una «ò» aperta che troviamo in finale di parola: falò (falò), cumò (comò). ecc.

una «ô» chiusa con suono nasale: rôba (cosa, roba), vôta (volta), ecc.

Quando nella scrittura troviamo già una lettera accentata, la «o» tonica viene indicata con il segno «ō», se il suono è stretto e come in italiano «o» normale se il suono è aperto. 

La vocale  « U »  

La vocale «u» in posizione atona si pronuncia come in italiano. In posizione tonica invece abbiamo :

una «ü» con suono chiuso e turbato: (egli), vün (uno), ecc.

una «ù»con suono aperto, si trova nella maggioranza dei casi in finali di parole: cucù (cuculo), ar sù (il sole), ecc.

una «ú» con un suono chiuso: parsút (prosciutto)

Le consonanti 

La consonante  « B » 

Nel dialetto bobbiese viene pronunciata come nella lingua italiana. 

La consonante  « C »  

Come consonante ha, come in italiano, un suono duro davanti alle vocali «a-o-u» e davanti a «h»; quando la «c» si trova a fine parola per ottenere il suono duro la si fa seguire dalla lettera «h» come ad esempio nelle parole «sèch» (secco), «lùch» (sciocco), ecc.; per ottenere invece un suono dolce non la si fa seguire dalla lettera « h » come  nelle parole « vèc » (vecchio), «strìc» (lasca), «cùc» (accosciato), ecc. 

Nei trigrammi «cia» (ciamè), «cio» (ciôsa), «ciu» (ciùch), la «i» è un semplice segno grafico e non deve essere pronunciata se non ha l’accento. 

La consonante  « D » 

Questa consonante viene pronunciata come in italiano. 

La consonante  « F » 

In dialetto si pronuncia come in italiano. 

La consonante  « G » 

Ha un suono duro davanti a « a-o-u », davanti ad «h» ed ad altre consonanti «cme» (come). Quando la si trova in finale di parola, per indicare il suono duro la si fa seguire dalla lettera «h» ad esempio: «bègh» (verme), «lègh» (lago).

Ha invece un suono dolce davanti alle vocali «e-i». Si può trovare anche a fine parola  come ad esempio nella parola «lèg» (leggere) ed anche in questo caso, come succede con la «c», per indicare il suono dolce la si scrive senza la « h ». 

Nei trigrammi «gia» (giása), «gio» (giòstra), «giu» (giurnè), la «i» è un semplice segno grafico per indicare una pronuncia dolce. 

La «g» davanti alla «n» rappresenta il suono nasale di «gnòch». 

La consonante  « H » 

In bobbiese come in italiano l’«h» viene usata come segno distintivo della pronuncia gutturale della «c» e della «g» davanti alla «e» ed alla «i».

– Nelle cinque voci del verbo « avèi » al presente indicativo e nel passato prossimo dove nella pronuncia rimane muta : me a gh’hô, te at gh’hé, lü u gh’ha, nün a gh’ùma, viètar a gh’hì, lu i gh’hàn ; me a gh’hô avìd, te at gh’hé avìd, lü u gh’ha avìd, nün a gh’ùma avìd, viètar a gh’hì avìd, lu i gh’han avìd. 

– Come elemento caratteristico di alcune esclamazioni: ah!, oh!, ohimè!, ohibò!, ecc. 

La consonante  « L » 

È una consonante che viene pronunciata come in italiano: surèla (sorella), fradèl (fratello), cavàl (cavallo), ecc. 

Una caratteristica del dialetto bobbiese e degli altri dialetti lombardi, è l’abbandono graduale del rotacismo. Sotto l’influsso della lingua italiana la «r» intervocale viene sostituita dalla «l»; il rotacismo si conserva invece ancora nelle seguenti parole:

Varèi (valere), vurèi (volere), scarògna (scalogna), s’réśa (ciliegia), curtèl (coltello), rigulìsia (liquiriśia), carimè (calamaio), candèira (candela), cariśna (caligine), gùra (gola), ar (il), ra (la), ecc. 

Invece del trigramma «gli» che appare nella lingua italiana, davanti ad altre vocali il bobbiese presenta una «i» semivocalica, abbiamo così: familia (famiglia), vöia (voglia), ài (aglio), föia (foglia), bilièt (biglietto), bilièrd (bigliardo), miliùr (migliore), mèi (meglio), tvàia (tovaglia), ecc. 

Si nota però che in alcuni casi, in una parlata più «dotta», forse in alcuni italianismi o in termini con grafia italianizzata, il trigramma viene utilizzato. Ad esempio nel congiuntivo imperfetto del verbo imbottigliare (embutiliè) si sente sempre più spesso: «ch’u l’embutiglìsa» invece di «ch’u l’embutili-ìsa» L’utilizzazione avviene più graficamente che foneticamente. 

La consonante  « M »  

È una vocale che nel dialetto si pronuncia come in italiano.

In molti altri dialetti quando la «m» si trova davanti ad una consonante sorda, nella maggioranza dei casi si comporta come la «n»: si dilegua e nasalizza la vocale precedente.

Esempio: embacüchè, la «e» che precede la «m» si nasalizza e nella pronuncia viene prolungata sovrapponendosi alla pronuncia della «m»

Ma questa non è una regola, è una consuetudine legata al modo di esprimersi di alcuni e non di altri.

Nel vocabolario abbiamo solamente messo in evidenza questo fatto lasciando così libero il modo espressivo di ognuno 

La consonante  « N »  

Nel dialetto bobbiese ha un suono come nella parola italiana « nono » quando: 

– è all’inizio di parola: num (nome), nuśa (noce), ecc

– si trova tra due vocali: nonu (nonno), pana (panna), ecc.

– segue un’altra consonante: mürnè (mugnaio), carìśna (caligine), ecc.

– si trova in finale di parola: vśin (vicino), vìn (vino), pàn (pane), ecc. 

Una caratteristica importante del nostro dialetto è il dileguamento con nasalizzazione della vocale precedente, quando la «n»si trova davanti ad una  consonante «sorda»:

Andè (a’dè), tànt (tà’t), déntôr (dé’tôr), gnént (gné’t), marénda (maré’da), enàns (enà’s), véntidü (vé’tidü) e così via.

Nella pronuncia la vocale che precede la «n» si nasalizza e viene prolungata sovrapponendosi alla «n».

Ma da uno studio approfondito si nota che questa norma viene applicata sulla maggioranza delle parole, ma non su tutte ed inoltre questo dilenguamento con nasalizzazione resta un modo personale di esprimersi.

Resta difficile nasalizzare: sìngar, ànra, trìnca, vànga, ànca, anvìn, ràncio, bànca, deśmanghès, e moltissimi altri vocaboli.

Si rileva che anche nella parlata corrente, quando la «n», a fine di parola, precede un’altra consonante molti bobbiesi applicano questa norma; ad esempio: 

I gh’han dàt I gh’ha’ dàt; pàn gratè pà’ gratè, ecc. 

La consonante  « P » 

È una consonante che si pronuncia come in italiano.

Si noti la tendenza del dialetto di sonorizzare le sorde; è frequente il caso che parole italiane che iniziano con la «p», comincino poi nel dialetto con la «b». 

Esempi: Prugna (brìgna), palla (bàla), prendere (brônchè),ecc. 

Altre invece hanno la consonante «v» al posto della «p» italiana. 

Esempi: Savòn (sapone), rèva (rapa), savurìd (saporito), cavì (capello), savèi (sapere), ecc. 

Alcune volte avviene anche il dileguamento della «v»:  sùra (sopra), cuèrta (coperta), quèrc (coperchio) ecc. 
 
 
 

La consonante  « Q »  

È una consonante che è sempre seguita dalla vocale « u ». Si pronuncia come in italiano.

Il digramma «cq» viene scritto con la sola «q». Es.: Acqua (àqua). 

Abbiamo parole che in italiano cominciano con la «c» che in dialetto si trasforma in «q»:

Esempio: Coprire (quatè), coprire (quarcè), coperchio (quèrc), ecc. 

e ne abbiamo altre che cominciano in italiano con la «q» che si trasforma in «c»

Esempio: qui (ché), questo (che lü), questa (che lé), ecc. 

La consonante  « R » 

È una consonante che nel dialetto rende lo stesso suono di quello italiano. 

Mentre l’italiano ha conservato questa consonante presente nelle parole latine, il dialetto l’ha persa in moltissimi casi: 

– nell’infinito dei verbi: finì (finire), can (cantare), vèd (vedere), rìd (ridere), piànś  (piangere), ecc. 

– nei sostantivi che in italiano terminano in «iere»: barbé (barbiere), purté (portiere), cantuné (cantoniere), curiéra (corriera),ecc. 

Inoltre la consonante «r» è facilmente soggetta al fenomeno della «metatesi» (inversione nell’ordine di successione dei suoni in una parola).

Esempio: Cardénsa (credenśa), entrégh (integro), marùd (maturo), tarśént (trecento), nòstar (nostri), ecc. 

La consonante  « S »  

Questa consonante, come in italiano ha due suoni, uno sordo ed uno dolce.  

– Ha un suono sordo come nella parole italiane: stanco stràch, corsa cùrsa, crescere crès,  ecc. 

– Quando invece ha un suono dolce, come nelle parole italiane: sdentato śdentè, schiaffo śgiafòn, slavato ślavè, noi la indicheremo con il segno «ś» 
 

La consonante  « T » 

Ha lo stesso suono che in italiano.

In molti casi, in posizione intervocalica ed in finale di parola, la « t » originaria latina da sorda si è trasformata in sonora diventando « d ». Il caso più evidente è il participio passato di alcuni verbi: finìd (finito), savìd (saputo), benedìd (benedetto), bęivìd (bevuto), pianśìd (pianto),ecc.

Altri casi: röda (ruota), nüdè (nuotare), dìd (dito), maridè (maritare), fradèl (fratello). 

La consonante  « V » 

È una consonante che si pronuncia come in italiano. 

Esempi: vün (uno), avèi (avere), avèrt (aperto), öv (uovo), növ (nuovo), vèduv (vedovo), sèrva (serva), ecc.

Frequente nel dialetto è la prostesi (aggiunta di una lettera all’inizio di parola) della «v»: vün (uno), vòt (otto), vès (essere), ecc. 

La consonante  « Z »  

Nel dialetto questa consonante non viene utilizzata; si usano invece le consonanti  « s » e « ś »:  

a) quando ha il suono sordo nella pronuncia bobbiese si usa  «s»

      Esempio:  zafferano (safràn), forza (fôrsa), zucca (süca), paśienza  (pasiénsa), ecc. 

b) quando ha il suono sonoro si pronuncia «ś» utilizzando il segno «ś»:

      Esempio: mèśa (mezza), laśaròn (lazzarone), ecc., come il suono che si  utilizza nella parola italiana «zero». 
 

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