La stazione del Groppo in Val Trebbia

La Redazione pubblica con piacere questo breve studio della prof. Pontiggia Biella, allieva del prof. Rittatore anche perché i ritrovamenti del Groppo permettono di istituire utili confronti con alcuni materiali comaschi.
Ai confini della provincia di Piacenza con quella di Pavia, in Val Trebbia e precisamente nel circondario di Bobbio, si eleva, non lontano dal noto Monte Penice, il Groppo che nonostante i suoi 1000 m. sul del mare, si può definire, per la sua forma e la sua posizione, più che un vero e proprio monte, un bastione roccioso ed isolato di serpentino nero. (1)
Esso fa parte, insieme ai boschi vicini, un tempo ricchi di faggi, della riserva di caccia del Marchese Malaspina di Vaccarezza.
Da qualunque parte lo si guardi, esso appare elevarsi, con pareti rocciose e scoscese, da una fitta boscaglia che lo circonda, mentre alla sommità presenta una specie di tavolato inclinato verso est dove la roccia del monte affiora spesso oppure è appena ricoperta da una magra coltre di humus.


In questa zona, ben difendibile da assalti perché isolata dallo strapiombo che da tutti i lati la circonda, con ottima visibilità sulla vallata sottostante e ricca di sorgenti nell’immediato sottobosco, rinvenni occasionalmente nella primavera del 1971, tracce di un abitato preistorico. La poca terra tra gli anfratti delle rocce ha conservato i resti di quello che doveva essere un villaggio preromano la cui vita è iniziata fin dal periodo di transizione dal Bronzo al Ferro ed ha proseguito fin in età romana, prosperando quindi per un lungo arco di tempo testimoniato numerosi frammenti di ceramica d’impasto sparsi su questo pendio e concentrati specialmente nei punti dove si può presupporre si ergessero le capanne.
Non è apparsa nessuna traccia di fortificazioni, ma la stessa posizione quasi inaccessibile e ben munita dalla natura, ci richiama i coevi castellieri della vicina Liguria. Una grande quantità di materiale indica la tipologia della suppellettile domestica preromana, ma pur numerosi laterizi interi o in frammenti e ceramica tipicamente romana testimoniano la lunga durata dell’abitato.
Vi si accedeva da due parti: da est attraverso uno stretto passaggio scavato nella roccia, e da ovest attraverso una salita più ampia e resa più agevole da rudimentali gradini ricavati nella pietra.
Il materiale rinvenuto, attualmente depositato nel Museo Nazionale di Parma in attesa di una definitiva sistemazione, comprende frammenti di ceramica, fusaiole fittili, selci lavorate ed altri elementi chiaramente preistorici, mescolati con tegoloni romani, grossi chiodi di ferri, piccoli pezzi di ceramica sigillata e perfino un lungo coltello di ferro che testimoniano una chiara appartenenza ad un’epoca posteriore.
Data la dispersione del materiale prodotto dalla dipendenza della roccia e dal basso strato di humus che la ricopre, non è stato possibile ricomporre alcun vaso e tanto meno determinare una regolare successione stratigrafica.

Ceramiche
L’interesse maggiore del recuperato è dato dalla ceramica abbondantissima. L’impasto nella maggior parte dei casi granuloso, più o meno compatto, talvolta ricco di degrassante formato da granelli di quarzo o di altra pietra, particelle micacee, d’aspetto per lo più brunastro con tonalità tra il rosso cupo, il grigio e il nero; talvolta invece appare leggerissimo e poroso di colore grigio chiaro.
Si distinguono prodotti a superfice grezza e ruvida e prodotti a superficie levigata e lucente ottenuta al brunitoio o col semplice uso della spatolo e rivestiti talvolta da una fine ingubbiata, quasi una vera vernice. (1)
Accanto a questi frammenti in genere piuttosto rozzi di vasi d’uso comune in terracotta grossolana plasmata a mano ed attribuibili a industrie locali di tradizione preromana, trovai anche, come ho già detto, prodotti tipicamente romani in cui è evidente l’uso del tornio e il suo impasto, se si esclude la ceramica sigillata tradizionalmente grigia, tende sempre piuttosto al rossiccio.
Per i motivi sopra citati non ho trovato nessun vaso intero, ma spesso anche dai frammenti si può individuare approssimativamente la forma dei recipienti: prevale quella delle olle ovoidali e biconiche con la maggior espansione del corpo a metà della loro altezza, ma non mancano neanche quelle sferoidali, come numerose dovevano pure essere le ciotole di forma conica e a scodella con gola sotto l’orlo e i vasetti di piccola dimensione.
Le olle, come del resto anche tutti gli altri recipienti, hanno misure diversissime e presentano una sagomatura molto varia soprattutto nella parte superiore presso l’orlo. Esso appare infatti ora diritto, ora leggermente rientrante, ora sagomato e rovesciato in fuori in modo da formare una gola più o meno larga e profonda (tav. I, 1-5). Il carattere della varia suppellettile trovata è comunque sempre di uso tipicamente domestico.
Il fondo dei vasi è per lo più piatto e apodo, ma non mancano esempi a basso piede ad anello sagomato. Degno di rilievo è a questo proposito, l’esemplare numero 6 della tav. I, che, oltre ad avere nel fondo un forellino centrale, presenta la parte d’appoggio del piede impressa a tacche equidistanti.
Non meno frequenti sono le anse, che tuttavia non mancano e che, per le loro fogge, ricordano le industrie dell’età del Bronzo.
Accanto ai frammenti a «nastro» e a «cordone», appaino infatti esemplari di presine a «linguetta» (tav. I, 7), ad «ascia», canaliculate (tav. I, 8) e di tipo molto simile alle anse terramaricole (tav. I, 9).
Secondo la teoria del Castelfranco (2) che interpreta la presenza o l’assenza dell’ansa, nelle pignatte e soprattutto nei vasi cinerari, come un carattere etnografico che differenzia il gruppo orientale da quello occidentale, la presenza dei manici al Groppo prova, a mio avviso, l’appartenenza del nostro abitato al «gruppo orientale» che comprende all’incirca l’odierna Emilia-Romagna.
La presenza invece delle varie tipologie di anse può testimoniare il confluire di differenti tradizioni vascolari, provenienti da zone anche lontane, al Groppo, che, trovandosi nell’Appennino Emiliano-Ligure, poteva rappresentare un comodo punto di convergenza delle correnti occidentali, orientali e liguri (3).
La sintassi decorativa dei vasi comprende un repertorio ornamentale molto ricco e vario che si avvicina per molti aspetti ai ritrovamenti analoghi della regione ligure piemontese quali Guardamonte, Bec Berciassa e Rossiglione, e per altri, ai centri protovillanoviani della vicina provincia pavese, quali Bissone e Badia Pavese, o del più lontano Reggiano, quali Bismantova.
Oltre infatti agli elementi comuni a tutti gli abitanti del Bronzo-inizioFerro dell’Italia nord-occidentale quali la decorazione a cordoni, ad impressione, a «cordicella», ad incisione o a solcature, appaiono, anche se non molto frequenti le coppelle, le bugne (semplici o circondate da una linea di coppelle), che costituiscono un altro elemento valido a fare ascrivere il Groppo al sopracitato «gruppo orientale», accanto ai famosi «denti di lupo» di derivazione terramaricola e a dei cocci che, per quanto piccoli, indicano chiaramente la forma biconica preludente a quella tipica villanoviana, con il cono superiore dal diametro più piccolo di quello inferiore e quindi in esso contenuto.
L’elemento decorativo più rappresentato è il motivo dei cordoni applicati o ricavati plasticamente con le dita «pizzicando» l’argilla ancora cruda dei vasi.
Questi cordoni che dovevano presumibilmente correre orizzontali lungo la linea del maggiore diametro delle olle, o sull’orlo oppure immediatamente sotto, appaiono intaccati a tratti regolari dai polpastrelli o da qualche arnese che poteva presumibilmente essere una stecca (tav. II, 10-11). Varianti di questo motivo decorativo sono offerte da due frammenti ornati da una serie di tubercoli o sporgenza mammelliformi (tav. II, 12) allineati e da altri decorati a cordoni lineari, detti anche a «listello» (tav. II, 13). Questi ultimi assai comuni a Golasecca nella ceramica funeraria d’influenza atestina (4) sono impiegati nella ceramica domestica nell’età del Ferro. Qualche esemplare è stato infatti rinvenuto solo a Guardamonte (5), nello strato 2 delle Arene Candide (6) e sul monte Masma (7).
Oltre al motivo a «cordoni» un altro elemento decorativo molto diffuso al Groppo è dato dalla tecnica ad «impressione» rappresentata nella citata ceramica decorata a «cordoni», dalle intaccature ottenute sull’impasto ancora crudo col solo impiego delle dita e talvolta con le unghie o con l’uso di qualche modesto oggetto quale una stecca; si trova però frequentemente anche sotto forma di file di tacche verticali o oblique che corrono parallele su quella che doveva essere la linea di maggiore espansione delle olle (tav. II, 14),oppure appaiono sull’orlo dei vasi o talvolta anche al di sotto dei loro piedi (tav. I, 6) (8).
Simili intaccature, per la forte pressione praticata coi le dita, conferiscono talvolta all’orlo un profilo ondulato. Altra variante è data dai filari orizzontali resi a pizzicato (tav. II, 10) e dal motivo delle unghiate o ditate allineate in senso orizzontale (tav. I, 5) o composte nei due sensi, orizzontali e verticale (tav. II, 15).
Un’altra tecnica ornamentale comunissima al Groppo, come nei prodotti vascolari in genere dell’età del Ferro, è quella delle incisioni rettilinee o oblique praticate, mediante uno strumento affilato, sull’impasto ancora fresco, in genere nella parte della maggiore espansine delle olle ma presenti anche nella zona immediatamente sotto l’orlo.
I motivi più frequenti sono costituiti da brevi incisioni disposte a spina di pesce (tav, II, 16), da una, o due o più linee parallele (tav. II, 17), da una linea spezzata corrente a zig-zag e costituita da segmenti uniti o disuniti (tav. II, 18), da fasci di linee parallele con lo stesso andamento e sovente compresi tra una o due strisce orizzonta motivo a lkli di linee rette pure parallele (tav. II, 19-20), dal motivo dei «denti di lupo», da profonde e sottili taglietti equidistanti sullo spigolo esterno dell’orlo (tav. I, 2) e sulla linea del maggior diametro (tav. II, 21; tav. III, 22) e dal singolarissimo motivo a linee parallele continue intramezzate da linee di punti regolarmente distanziati tra loro (tav. III, 23). Quest’ultimo è un elemento decorativo caratteristico dell’ambiente appenninico e quindi molto importante per i rapporti stilistici intercorrenti tra il Groppo e le vicine civiltà.
Un’altra tecnica decorativa è quella chiamata a «cordicella» o a «rotella» ce veniva praticata sull’impasto crudo mediante l’impiego di un rullino ricavato probabilmente da materia corruttibile come legno duro o osso e lavorata a dentelli regolari e paralleli più o meno inclinati in modo da dare l’illusione di un’impressione a cordicella (tav. III, 24-25). Con questa tecnica è reso il motivo di una fascia orizzontale di lineette parallele verticali o oblique e quello dei «denti a lupo» semplici o riempiti di trattini paralleli tav. III, 25).
Questo tipo di decorazione è assai frequente nella ceramica funeraria della tarda del Bronzo e prima dell’età del Ferro. Si ha infatti notizia soltanto di qualche sporadico esempio rinvenuto nell’industria vascolare di uso domestico a Guardamonte (9) , sul monte Mesma(10) presso Ameno nel Novarese repubblicana a Rossiglione, ai confini delle province di Genova e di Alessandria (11) .
Altra tecnica appare nella ceramica decorata a «pettine», che si trova eccezionalmente anche nelle ceramiche d’uso domestico della prima età del Ferro a Guardamenten(12) , ma frequente soprattutto nelle necropoli di età repubblicana delle regioni subalpine (13) e negli strati del I sec. a.C. ad Albintimilium «dove la sua presenza può essere indice di persistenza di un motivo ornamentale di tradizione preromana, come appare in prodotti analoghi della Provenza»(14) (15) .
Tale tecnica nota in Italia occidentale e, come ha già detto nella Provenza negli strati d’età repubblicana, appare, al Groppo, applicata a pochi frammenti di vasi a forma tondeggiante con pareti spesse, impasto granuloso a tinta rossiccia. Questa decorazione che rivestiva forse l’intera superfice esterna dei vasi, forma fasce di linee superficiali che si intersecano in direzione diverse con andamento rettilineo o curveggiante.
Alla tarda età del Bronzo si ricollega con un gruppo di ceramiche dalle forme non ben identificabili, decorate a larghe solcature parallele ad andamento rettilineo o curvilineo (tav. I, 3; tav. III, 26). Tale decorazione appare o sotto l’orlo, come in alcuni vasi della necropoli golasecchiane o sulla pancia delle olle . Un parallelo si può fare, a proposito delle solcature multiple, con alcuni frammenti di urne del Museo di Torino (inv. n. 234-236) provenienti dalla necropoli di Bissone Pavese, risalente ad una fase arcaica della prima età del Ferro (16) e con un urna situliforme da Castelletto Ticino di una fase più avanzata del Ferro (17) .
Sempre alla tarda età del Bronzo risalgono pure le già menzionate coppelle che (tav. III, 27) con la forma regolarmente tonda, ritroviamo sia a Badia Pavese sia a Bismantova, necropoli definite entrambe protovillanoviane.
Non mancano poi frammenti do rozzo impasto bruno-nerastro, assai vicini essi pure ai prodotti del tardo Bronzo, accanto ad altri decorati sulla superfice esterna con una fine ingub biatura nera, resa assai brillante dall’impiego della stecca e del brunitoio secondo la tecnica dello «stralucido» applicata principalmente nei prodotti fittili d’uso funerario, attribuiti dal Castelfranco (18) ad una fase recente della cultura di Golasecca, e che conferisce ai vasi la caratteristica decorazione geometrica che pare sostituisca quella incisa ed impressa.
Tale tecnica non è però evidentemente riservata alla ceramica funeraria in quanto sia al Groppo su un coccio in cui con lo stralucido è ottenuta una decorazione geometrica a reticolato, sia al Guardamonte dove è applicata su cocci ingubbiati non solo di nero, ma anche ed anzi molto più spesso, di giallo-rossastro (19) . Considerando quindi che il Groppo quanto il Guardamonte erano due abitati, si può dedurre che la tecnica a stralucido veniva promiscuamente impiegata sia nella ceramica funeraria, sia nei prodotti vascolari casalinghi.
All’inizio ho accennato alla lunga persistenza del nostro abitato: l’epoca romana vi è di infatti testimonianza non solo da un gran numero di mattoni e tegoloni ad incastro tipici di un’ epoca, ma anche da cocci di ceramica dipinta.
B) Altri fittili
Tra gli altri prodotti di terracotta rinvenuti al Groppo son da menzionare i pesi da telaio e fusarole, testimonianti entrambi chiaramente l’economia del luogo.
I pesi da telaio sono rappresentati da due elementi moto significativi in quanto, anche se incompleti, provano essi pure la co 2,6ntinuità dell’abitato in due epoche successive.
Il primo (tav. III, 28) spesso cm. 3,5 alto cm. 6,5 e lungo presumibilmente 10 cm., di impasto brunastro molto grezzo, richiama, nella forma, un parallelepipedo, con due fori di sospensione ai due capi, con le due estremità più ristrette e impresse, nei due lati minori, da una grossa tacca rotonda di 2 cm. di diametro.
Tale peso, di cui abbiamo soltanto una metà e per di più frammentaria, potrebbe appartenere al tardo Bronzo o alla primissima età del Ferro ed è palesemente più rozzo e antico del secondo esemplare che, per le sue caratteristiche, è senz’altro posteriore. Esso infatti (tav. III, 29) è di un impasto rossiccio molto più fine e la sua forma tronco-piramidale a sezione quadrata (misurante cm. 4 di altezza e cm. 3,7 e cm. 2,6. rispettivamente ai lati delle basi) e presumibilmente con foro in alto nella parte ora mancante, prova un maggior sviluppo di una tecnica più geometrica e funzionale.
Molto più numerose sono le fusarole trovate in abbondanza sia intere che frammentarie. La loro forma è molto varia: ce ne sono delle tonde (tav. III, 30), delle appiattite, alcune formate da due specie di tronchi di cono di diversa altezza uniti per la base maggiore (tav. III, 31), alcune allungate a tronco di cono altre composte da due tronchi di cono uguali ed altre ancora molto schiacciate, incavate da un lato e concave dall’altro.
Simili fusarole sono comunissime nelle necropoli dell’età del Farro, dove figurano come eredità da industrie terramaricole, e non sono rare nemmeno nelle necropoli di età repubblicana (20) . Nelle stazioni dell’età del Ferro sono documentate dai ritrovamenti sul monte Mesma (21), Rossiglione (22), nel Castelliere di monte Pignone (23) e al Guardamonte (24).


Manufatti litici
La maggior parte di essi è rappresentata dalla selce che, grezza o lavorata, è piuttosto abbondante sul Groppo, benché non provenga da una cava del luogo; ma sassi di selce non mancano nei greti dei vicini torrenti quali Trebbia e Tidone.
Un po’ dappertutto, ma specialmente concentrata verso nord-est, in un raggio di qualche metro. Abbiamo trovato, mescolata a cocci di svariato tipo, la selce in forma di blocchetto ben squadrato, di nucleo, di frammenti sfogliettati, di cultri (tav. III, 32), di punte di freccia (tav. III, 33-34-35) e di raschiatoi (tav. III, 36).
Tre le punte di freccia ne appaiono di monofacciali, bifacciali, foggiate a foglia di lauro, munite o no di peduncolo e alette, di vario colore quali bianco, grigio, giallino, rosa o rossastro, ma comunque sempre di proporzioni aggirantisi sui 3 o 4 cm. di lungezza.
Tra gli altri manufatti litici appaiono numerosi frammenti di talcoscisto grezzi, che potevano venir impiegati come lisciatoi, oppure lavatoi. Abbiamo trovato un curioso, quanto accuratamente levigato, dischetto rotondo, alcuni elementi di collana a forma cilindrica (tav. III, 37) o ad anello schiacciato (tav. III, 38) tutti forati per essere infilati e un piccolo parallelepipedo ben squadrato e levigato con due fori che potrebbe essere stato usato come bottone tav. III, 39).
Tutto ciò è la testimonianza di un povero abitato che viveva presumibilmente di pastorizia ( ne sono la prova le numerose fusarole) e di caccia (vedi le punte di freccia) e in cui le donne si adornavano con poveri ninnoli di pietra, resi preziosi soltanto dal lungo lavoro di pazienza che costava il dar loro una forma.
Quanto alla persistenza dell’impiego della selce per le punte di freccia, è difficile dire se ad un certo punto il loro uso sia cessato o meno. La mancanza assoluta di stratigrafia e la più completa mescolanza del materiale impediscono infatti una qualsiasi ipotesi in proposito. Penso comunque che dal momento che le punte di freccia furono gli ultimi utensili litici a scomparire ed ancora in tutta l’età del Bronzo si presentano bellissime, con una tecnica di taglio perfetta, ammirevoli nell’armonia della forma e delle proporzioni e continuarono ad essere utilizzate anche in piena età dei metalli, la loro presenza al Groppo testimonia una volta di più il tradizionalismo e la povertà di una popolazione che, lontana dalle principali via di traffici, ha conservato per molti anni l’arte della loro fabbricazione ed ha continuato lungamente ad usarle.

Oggetti metallici
Oltre a numerosi grossi chiodi di ferro a sezione quadrata, tutti più o meno lunghi 8 cm. e di epoca piuttosto tarda, trovammo altri più interessanti reperti quali: due spilloni incompleti di bronzo con estremità a ricciolo (tav. III, 40), comuni anche a molte stazioni terramaricole, una punta spezzata di bronzo lunga cm. 3,4 e larga nel punto massimo cm. o,5 con sezione romboidale schiacciata, un frammento incurvato di ferro lungo cm. 5,2 con sezione circolare di o,5 cm. di diametro, costituente forse l’arco di una rozza fibula romana, una fibbia sempre di ferro dalla forma vagamente ovale e legata per un lato ad una fascetta rettangolare dello stesso metallo, ripiegata alla metà con due estremità unite da due chiodini.
Quest’ultima appare nell’insieme piuttosto tarda; soltanto la decorazione presente su di una sola faccia e costituita da trattini incisi a due a due paralleli, potrebbe rialzarne la datazione per la sua elementare semplicità.
Devi infine ricordare il ritrovamento, a 20 cm. circa di profondità, di un coltello in ferro di cm. 31,5 di lunghezza e 3,3 cm. di larghezza massima, con lama vagamente triangolare, ad un solo taglio, restringentesi leggermente all’estremità per l’immanicatura, testimoniata ancora da due chiodini che la dovevano tenere ben salda (fig. 2) La forma di questo coltello ci richiama alla tradizione



d’Oltralpe di La Thène e potrebbe quindi testimoniare nel luogo, se non proprio la presenza reale di Celti, almeno la diffusione delle loro tecniche lavorative e della tipologia dei loro vari manufatti. Simili coltelli non sono infatti rari nemmeno tra i corredi delle tombe golasecchiane (25) e galliche (26) probabilmente arrivati in Italia, con altri elementi celtici transalpini, dalla Valle del Rodano.

Elementi vari

Si raccolsero ciottoli di fiume di cui alcuni lisciati ed altri con una faccia completamente spianata e quindi evidentemente usati come macina, parecchi denti molari di equidi, una grande quantità di semi carbonizzati di frumento concentrati tutti in un sol punto, a 40 cm. circa di profondità, sotto uno strato di pietre scistose bianche, appartenenti forse ad una costruzione d’epoca romana, carboni frammisti a «concotto» e pezzettini di ossa combuste provenienti da focolari sconvolti, piccolissimi frammenti di vetro leggermente azzurrognolo ed un frammento di 2,2 cm. di lunghezza e 1,8 cm. di larghezza di un braccialetto di pasta vitrea blu (tav. III, 41). Si tratta di una parte di armilla, probabilmente gallica, la cui superfice esterna è ornata da una fascia a sbalzo di baccellature oblique, limitata da due cordoncini paralleli rilevati.
Un confronto calzante si ha con un’armilla di età gallica della Valle d’Aosta (37) e con un’altra identica alla nostra, conservata nel Museo Archeologico di Modena e facente parte del corredo di una tomba inumato, sempre della stessa epoca, proveniente dagli scavi del 1876 alle fornaci Benassati di Saliceto San Giuliano (provincia di Modena)(28)
Questa armilla vitrea in cui vivo è il gusto per il colore, costituisce un’altra prova sicura della presenza al Groppo della tradizione celtica e dell’arrivo con essa forse di un etbnos o forse più semplicemente della loro arte e del loro gusto.

Conclusione
La scoperta del tutto casuale della stazione del Groppo non resta isolata nel territorio bobbiese in quanto, qua e là nei dintorni, si hanno tracce della presenza dell’uomo. L’epoca neo-eneolitica è testimoniata da armo litiche oggi conservate al Museo Archeologico do Genova-Pegli; il tardo Bronzo dal ritrovamento sporadico di una punta di lancia di Bronzo; la prima età del Ferro dall’ascia di Piancasale, da quella della Diga Renati a San Salvatore, da un’altra «Pellegrini» conservata presso l’Istituto di Geologia dell’Università di Genova, dalla varia suppellettile enea proveniente da una non bene definita tomba e dalle tracce d’insediamento e di piccolo ripostiglio di Zerba con le famose otto armille bronzee di cui sei conservate nel Museo Civico di Milano, una nel Museo di Como e un’altra nel Museo Pigorini di Roma. Inoltre nella vicina Pianelli fu rivenuto parecchio materiale sporadico che, dalla seconda età del Ferro, giunge fino all’epoca romana.
Indubbiamente quindi tutta la zona vicina al Groppo e soprattutto la sottostante Val Trebbia, è stata fin da epoche remote, abitata dall’uomo e scelta, per la sua ampiezza, quale via di traffici e scambi tra la Liguria e la Valle Padana. La scoperta del Groppo assume non di meno una importanza notevole nel campo dell’archeologia preromana subalpina per l’aspetto tipicamente protovillanoviano di parte del materiale rinvenuto che collega agli altri analoghi centri culturali dell’Emilia e del vicino Pavese.
La ceramica decorata a «solcature», a «finta cordicella» o a coppelle appare qui al Groppo come a Bissone, a Badia Pavese o a Bismantova e Motta Balestri(29) nel Reggiano. La stessa forma dei vasi ricollega il ns. abitato alle tecniche presenti nella ceramica dei già menzionati centri protovillanoviani.
Si viene così a spezzare quella tradizione del vuoto demografico e culturale attribuito all’Emilia occidentale tra la fine dell’età del Bronzo e l’inizio di quella del Ferro e si arricchisce di un’unità la rete dei centri protovillanoviani padani che tra il Reggiano e il Pavese, con le località già ricordate, presentava un «vuoto» enigmatico. Se infatti la zona dell’Emilia considerata era, nella tarda età del Bronzo, interessata dal fenomeno delle Terramare, non aveva fino ad ora dato trovamenti di tipologia chiaramente protovillanoviana, all’infuori di quelli già citati del Pavese e del Reggiano.
La cosa è inoltre ancora più strana trovandosi la nostra regione tra Veneto, Transpadana e l’Italia centrale, dove tale fase ha invece lasciato resti numerosissimi, vari e scaglionati cronologicamente in un periodo di alcuni secoli almeno.
Tenendo conto di questo, il ritrovamento del Groppo contribuisce dunque a rendere ancora più chiara, per il periodo tra l’età del Bronzo e quella del Ferro, la visione di una forma culturale unica (unicità basata specialmente su forme e decorazioni delle ceramiche) che, come conferma il prof. Ferrante Rittatoire Vonwiller, ha interessato tutta la penisola dalle Alpi fino a Milazzo unificandola, possiamo così dire, culturalmente, pur con alcune differenze locali.
Con la scoperta del Groppo, non solo non si può, quindi più ritenere deserto, nell’epoca suddetta, l’estremo lembo occidentale dell’Emilia, ma bisogna anche prendere atto della presenza di un abitato protostorico collegato, attraverso il Trebbia ed il Po, con gli altriu centri della stessa cultura, ed aperto, soprattutto nell’età del Ferro, alle varie influenze delle civiltà vicine quali la golasecchiana, attraverso la Val Staffora, e quelle meridionali, attraverso la vicina Liguria.
La stessa posizione geografica del Groppo, arroccato su un picco alto e roccioso ma anche collegato, attraverso la sottostante Val Trebbi, con la Valle Padana, aperta fin dai tempi più antichi agli influssi culturali che per vie diverse s’irraggiavano in essa, ben si prestava al sorgere di un abitato ligure non dissimile, per caratteri peculiari di civiltà e manifestazione artistica, dalle coeve stazioni più volte ricordate, quali Guardamonte, Bec Berciassa, Rossiglione ed altri.
Nella tarda età del Ferro l’apporto culturale gallico pare ski riduca ad una infiltrazione sporadica di prodotti tipici transalpini, mentre negli ultimi tre secoli anteriori a Cristo la nostra stazione non dovette rimanere estranea alle vicende storiche che culminano con la romanizzazione e la conquista della Valle Padana superiore e della Liguria. Il ritrovamento dei frammenti romani d’età imperiale documentano una continuità di vita nel nostro abitato che nono dovette però protrarsi , a giudicare dagli avanzi di terra sigillata raccolti, oltre il II sec. d.C. In quell’epoca cade infatti in disuso, nel clima pacifico del dominio romano, l’antica consuetudine ligure degli stanziamenti sulle alture impervie ma sicure.
Se comunque ho sottolineato la presenza al Groppo delle testimonianze non solo di varie epoche, ma anche di diversa provenienza culturale, devo ricordare ancora la dominante semplicità del materiale in genere e soprattutto degli elementi decorativi che confermano il gusto provinciale di quelle genti che, abituate a vivere di caccia e pastorizia, tendono a sintetizzare agli apporti culturali provenienti dalle zone vicine ed a concretizzarli in prodotti indigeni d’impronta alquanto elementare (30) .

Sandra Pontiggia Biella



LA STAZIONE DEL GROPPO IN VAL TREBBIA

N O T E
PORTO
P. CASTELFRANCO, Necropoli di Bissone nella provincia di Pavia, in «Bull. Palen. Ital.», 1897, pp. 26-30Anse a linguetta sono state trovate nell’abitato dell’età del Fero di del Ferro Guardamonte (Prov. di Alessandria) (v. G.F. LO PORTO, op. cit., p. 171) nella stazione del Molinaccio (Prov. di Varese) del periodo di transizione dell’età del Bronzo a quella del Ferro (v. P. CASTEFRANCO, in «Atti della Società Italiana di scienze naturali», XVI (1873), p.59; L.BERNABÒ BREA «Riv. di Scienze Preistoriche», II (1947), pp. 68—69, fig. 8 E-F) nello strato dell’età del Ferro della Caverna delle Arene Candide (Prov. Di Savona) (L. BERNABÒ BREA, Gli scavi nella Caverna delle Arene Candide, I. p. 36, tav. VIII,1) in alcuni vasetti a «pisside» del sepolcreto di Ameno (Priv. di Novara) (v. P. BARONCELLI, in «Atti della Soc. Piem.Arch. e B.A.», XI (1929), tav. III, 24 e nel Castelliere ligure presso Pignone (Prov. di La Spezia) (L. BERNABÒ BREA, «Riv. Ing. E Int.», VII (1941), p.36, fig. 3 e 2). Una grossa presa a «linguetta», (inv. n. 8857) ed un’ansa a « F.» (inv. n, 8923) entrambe appartenenti a grandi olle di uso domestico, furono rinvenute tra il terriccio dei tumuli XII e XVI nella necropoli dell’età del Ferro di S. Bernardino di Briona (Prov. di Novcara) (P. BARONCELLI, in «Boll. Stor.per la Provincia di Novara», XXI, p. 39 ss.). Anse verticali a cordone furono invece rinvenute nella stazione dell’età del Ferro di Rossiglione (Prov. di Genova) (L. BERNABÒ BREA, in «Riv. Si. Lig.», VIII (1942), p. 39). v. LAVIOSA ZAMBOTTI, «Studi Etruschi», XI (1935), p. 381 ss. v. G. F.LOPORTO, op. cit., p. 178.v. L. BERNABÒ BREA, «Riv. St. Lig.», tav. VII, 1. Si tratta di un frammento appartenente ad un gruppo di ceramiche raccolte dall’Ing. Decio sul monte Mesma ed ora consevate nel Museo di Torino (inv. n.9538). Cfr. L, BERNABÒ BREA, «Riv. Sc. Preist.», III, p. 58 ss. Decorazioni analoghe si riscontrano anche nella ceramica di Guardamonte (v. G. F. PORTO, op. cit., p.179, fig. 11 – !/5/15/16) al Becciassa (v. F. RITTATORE , Ricerche sull’età del Ferro nel Cuneense, In «Riv. S scavi nella caverna delle Arene Candide, tav. LV 2, «Riv. Sc. Pr.», II, p.6, fig. 7 C; p.68, fig. 8 A-B; «Riv. St. Lig.», VIII, p.141v.G.F. LO PORTO, op. cit., p. 181.v. L. BERRNABÒ BREA, « Riv. Sc. Pr.-», II, p. 61, fig. 2v. L. BERNABÒ BREA, «Riv. St. Lig.», VII, p. 140v. G.F. LO PORTO, op. cit., p. 182v. BIANCHETTI, I sepolcreti di Ornavasso, tav. XX, 7; M. BERTOLON «rRass St. del Seprio», IX. X, p. 69, fig. 2, 10-11 Teoria ripresa da G.F. LO PORTO, op. cit,, pp. 182-183ROLLAN, Observasions sur la céramique indigéne, in «Atti del I Congresso di Studi Liguri», p. 69 ss.v. P. CASTELFRANCO, «Bull. Paletn.Ital.», XXIII (1897). P. 19 ss.v. P. BARONCELLI, «Bull. Paletn. Ital.», XLVII, tav. V, 9.v. P. CASTELFRANCO, «Bull. Paletn. Ital.», II,p. 96 ss. P. BARONCELLI ibid.,XLVII, p. 69 ss.v. G.,F. LO PORTO, op. cit, p. 187.BIANBCHETTI, I sepolcreti di Ornavasso, p. 44, tav. XXIII, 12-15L. BARNABÒ BREA, «Riv. Sc. Preist.», II, p. 63, fig. 4.L. BARNABÒ BREA, «Riv.St. Lig.», VIII, p. 144.L. BARNABÒ BREA, «Riv. Ing. E Int.», VII. P. 36.G,F. LO PORTO, op. citr., p. 195, fig. 20.P. BARONCELLI, «Buu. Paletn. Ital.», XLKVII, p. 85.BIANCHETTI, I Sepolcreti di Ornavasso, tav. XX, 7.() MONTELIUS, La civilisation primitiv en Italie depuis l’intruducti dex mètaux, Stockolm 1895, Vol. 1°, P. I, 65 n.1-B. BENEDETTI, Civiltà preistoriche e protostoriche del Modenese, pp. 100, A. CRESPELLANI, Oggetti gallo-celtici del Modenese, Modena 1887, tav, n.6; O. MONTELIUS, op. cit., vol, 1*, p. 113, fig. 2; P. DUCATI, Storia di Bologna, I, p. 330M. DEGANI, Scavi preistorici alla Motta Balestri di Brescello, in Studi in onore di P. Laviosa Zambotti, estratto dai «Rendiconti dell’Istituto Lombardo», vol. 101, fasc. II (1968), pp. 128-153. M. DEGANI, Scavi preistorici alla Motta Balestri di Brescello, in «Atti della riunione scientifica . Ist. It. di preistoria e Protost. In memora di Francesco Zorzi» Verona 1965, pp. 211-216.Desidero ricordare il prof. Gentili, Soprintendente alla Antichità dell’Emilia Romagna per le agevolazioni concessemi e vorrei ringraziare vivamente il dr. Sergio Pontiggia, mio fratello Giulio e tutti gli amici per il valido aiuto offertomi nella raccolta del materiale e il sig. Franco Cantaluppi del Museo di Como per gli accurati disegni. Un pensiero particolarmente riconoscente va al compianto prof. F. Rittatore Vonwilkler per l’incoraggiamento e aiuto dato a questo lavoro.























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