Grammatica Bobbiese

Prefazione

Questa grammatica è nata dalla necessità di evidenziare nel “Vocabolario del Dialetto Bobbiese” tutte le possibili regole esistenti nella nostra parlata.

Utilizzando lo schema adoperato dalle maggiori opere sull’argomento sono riuscito ad analizzare ed approfondire tutti gli aspetti del dialetto anche se, molte volte, mi sono trovato nell’impossibilità di poter risolvere certi problemi.

Il Dialetto bobbiese è senza regole, quando si crede di averne individuata una, subito una frase lo smentisce. Il fatto è che si basa su delle consuetudini fissate nel tempo, le fa regole, ma queste sono nate dalla fantasia basata sulla armonia della parlata che, come musica, diventa uno spartito di note fisse senza alcuna variazione.

L’importante è stato entrare in queste consuetudini, capirne i suoni e trascriverle con umiltà, fissandole e mettendole a disposizioni di tutti gli studiosi che, in futuro, vorranno nuovamente affrontare lo studio di questo dialetto e con esso la storia subita dalla nostra Città.

Un ringraziamento vada all’amica Anna Manfredi che, con la sua pazienza e la padronanza del nostro linguaggio mi ha permesso di analizzare certi gruppi discorsivi e, con la sua competenza mi ha potuto, da subito, dare la convinzione che questa mio lavoro, serio ed approfondito, sarebbe riuscito nel modo migliore e ad essere convincente.

INTRODUZIONE

Il dialetto bobbiese fa parte dei dialetti settentrionali, noti col nome gallo-italici e come tutti gli altri dialetti deriva dalla trasformazione del latino volgare. Questo si trasformò, nel tempo, con gli influssi dei popoli che si avvicendarono sul nostro territorio. Nella parlata si riscontrano vocaboli e suoni che ci raccontano la nostra storia e su un substrato ligure, che si manifesta, a nostro avviso, con due dei cinque articoli determinativi «a» e «u» si uniscono nel tempo parole di origine piemontese, lombarda, spagnola, francese fino alle ultime tradotte dalla lingua italiana.

In questo libro abbiamo inserito tutto quanto è emerso da uno studio approfondito del nostro dialetto e rendiamo come regola grammaticale tutto quello che viene fissato dalla consuetudine.

Il nostro linguaggio ha la stranezza di possedere cinque articoli determinativi a e ra per l’articolo «la», u e ar per «il»; in più abbiamo che, davanti a parola che incomincia con vocale, viene utilizzato l’ come ad esempio in l’öv (l’uovo) e l’üga (l’uva). Ma la particolarità è che davanti ad un vocabolo deve essere utilizzato quel determinato articolo e solo quello. Ma se questo fatto appare, a prima vista, come regola generale viene poi smentito da certe espressioni. Un esempio il pagliaccio di tuo figlio viene così tradotto u paiàs d’u to fiö, ma se diciamo non fare il pagliaccio avremo fà mia ar paiàs. Forse la spiegazione dipende che in questa frase «pagliaccio» diventa una cosa astratta come la bontà, la felicità, la sfortuna, la sensazione che nel dialetto utilizzano tutte l’articolo ar o ra .

Un altro problema che si presenta ed è lasciato, alla sensibilità di ognuno, è quello della lettera «m» e «n» che quando si trovano in corpo di parola, davanti a consonante, vengono nasalizzate e appoggiando il suono sulla vocale che le precede vengono più o meno aspirate fino a non essere pronunciate. Questo succede anche quando si trovano a fine parola e si trovano davanti ad un vocabolo che incomincia con consonante. Ecco alcuni esempi: sentimént (sentimento), amb (ambo), sennsa (sentenza); I gh’han fam (hanno fame), la m e le n scritte in “apice” non vengono pronunciate o quasi.

Ma se per altri dialetti questo avviene solamente quando precedono delle consonanti sorde, nel nostro ognuno si esprime come crede a secondo le proprie capacità.

Insomma tanti sono i problemi che abbiamo dovuto affrontare ed approfondire, ma forse la bellezza della nostra parlata resta la fantasia, non la razionalità, e i vari suoni delle parole e dei costrutti restano legati all’immediatezza della comunicazione o dalla personalità di ciascuna persona.

In questa grammatica abbiamo voluto evidenziare tutto quello che ci ha meravigliato con la consapevolezza di non avere potuto risolvere e capire pienamente l’evolversi, nel tempo, del nostro meraviglioso dialetto.

Le vocali

Le vocali sono cinque come in italiano, ma i loro suoni vocalici sono in numero maggiore.

La vocale « A »

Questa vocale in italiano ha un suono unico ed è identico al suono dialettale della «a» atona.

Quando invece l’«a» è tonica, nel bobbiese può avere due suoni: un suono «à» aperto o meglio prolungato ed un suono «á» meno prolungato .

Esempio: suono aperto e un po’ prolungato.

– e bàl (le palle), u cavàl (il cavallo), u camàl (il camallo),ecc.

suono meno aperto me cánt (io canto).

La vocale « E »

In italiano può avere due suoni:uno chiuso «é» e uno aperto «è». Nel dialetto bobbiese ha anche un suono intermedio: è una «e» atona che nella pronuncia tende a diventare muta o quasi muta. Questo suono intermedio si presenta quando in una parola c’è lo spostamento dell’accento tonico su un’altra vocale, causato da un qualsiasi motivo, coniugazione, alterazione, ecc.

Esempi:

– mé a lèg (io leggo) nün a l’giuma (noi leggiamo)

– mé vèd (io vedo) nün a v’duma (noi vediamo)

– padèla (padella) padlìn (piccola padella)

– lègna (legna) l’gnèra (legnaia).

Può anche succedere che la «e» tonica di un tema verbale, si trasformi in «a» per lo spostamento dell’accento tonico.

Esempi:

– mé pèrl (io parlo) nün parlùma (noi parliamo)

– mé aśèrd (io azzardo) nün aśardùma (noi azzardiamo)

– mé bèś (io bacio) nün baśùma (noi baciamo)

– mé vèr (io valgo) nün varùma (noi valiamo)

mé tèś (io taccio) nün taśùma (noi tacciamo)

– mé spèr (io sparo) nün sparùma (noi spariamo)

– mé lèv (io lavo) nün lavùma (noi laviamo)

– mé pègh (io pago) nün pagùma (noi paghiamo)

– mé pèrt (io parto) nün partùma (noi partiamo)

sono verbi che hanno variazioni «nel tema».

Quando nella parola troviamo già una lettera accentata la «e» tonica viene indicata con il segno «ē», se il suono è stretto, e con il segno «ę» se il suono è aperto. Negli altri casi la «e» è sempre letta come chiusa.

Esempi:

– lü u vedrà (egli vedrà) cręiśmè (cresimare)

La vocale « I »

La vocale «i» non presenta alcuna difficoltà, si pronuncia come in italiano. L’accento grave è però obbligatorio solamente sulla «i» finale di parola se è tonica, come per esempio negli infiniti della III coniugazione. Es. finì (finire), murì ( morire), ecc.

Ma noi lo useremo anche sulla «i» tonica di parole non piane come «vistìs» (vestirsi), «brìscula» (gioco a carte), quando il non metterlo porterebbe confusione nella lettura delle parole.

La vocale « O »

La vocale «o» in posizione atona si pronuncia come in italiano. In posizione tonica, nel dialetto bobbiese, ha più sonorità:

abbiamo

una «ö» molto chiusa e variata come si evidenzia nelle parole: fiö (figlio), linguö (ramarro), ecc

una «ó» chiusa come nella parola: cómpit (compito), cógn (cuneo), ecc.

una «ò» aperta che troviamo in finale di parola: falò (falò), cumò (comò). ecc.

una «ô» chiusa con suono nasale: rôba (cosa, roba), vôta (volta), ecc.

Quando nella scrittura troviamo già una lettera accentata la «o» tonica viene indicata con il segno «ō», se il suono è stretto e come in italiano «o» normale se il suono è aperto.

La vocale « U »

La vocale «u» in posizione atona si pronuncia come in italiano. In posizione tonica invece abbiamo :

una «ü» con suono chiuso e variato:(egli), vün (uno), ecc.

una «ù» con suono aperto, si trova nella maggioranza dei casi in finali di parole: cucù (cuculo), ar sù (il sole), ecc.

una «ú» con un suono chiuso: parsút (prosciutto)

Le consonanti

La consonante « B »

Nel dialetto bobbiese viene pronunciata come nella lingua italiana.

La consonante « C »

Come consonante ha, come in italiano, un suono duro davanti alle vocali «a-o-u» e davanti a «h»; quando la «c» si trova a fine parola per ottenere il suono duro la si fa seguire dalla lettera «h» come ad esempio nelle parole «sèch» (secco), «lùch» (sciocco), ecc.; per ottenere invece un suono dolce non la si fa seguire dalla lettera « h » come nelle parole « vèc » (vecchio), «strìc» (lasca), «cùc» (accosciato), ecc.

Nei trigrammi «cia» (ciamè), «cio» (ciôsa), «ciu» (ciùch), la «i» è un semplice segno grafico e non deve essere pronunciata se non ha l’accento.

La consonante « D »

Questa consonante viene pronunciata come in italiano.

La consonante « F »

In dialetto si pronuncia come in italiano.

La consonante « G »

Ha un suono duro davanti a « a-o-u », davanti ad «h» ed ad altre consonanti «cme» (come). Quando la si trova in finale di parola, per indicare il suono duro la si fa seguire dalla lettera «h» ad esempio: «bègh» (verme), «lègh» (lago).

Ha invece un suono dolce davanti alle vocali «e-i». Si può trovare anche a fine parola come ad esempio nella parola «lèg» (leggere) ed anche in questo caso, come succede con la «c», per indicare il suono dolce la si scrive senza la « h ».

Nei trigrammi «gia» (giása), «gio» (giòstra), «giu» (giurnè), la «i» è un semplice segno grafico per indicare una pronuncia dolce.

La «g» davanti alla «n» rappresenta il suono nasale di «gnòch».

La consonante « H »

In bobbiese come in italiano l’«h» viene usata come segno distintivo della pronuncia gutturale della «c» e della «g» davanti alla «e» ed alla «i».

– Nelle cinque voci del verbo « avèi » al presente indicativo e nel passato prossimo dove nella pronuncia rimane muta : me a gh’hô, te at gh’hé, lü u gh’ha, nün a gh’ùma, viètar a gh’hì, lu i gh’hàn ; me a gh’hô avìd, te at gh’hé avìd, lü u gh’ha avìd, nün a gh’ùma avìd, viètar a gh’hì avìd, lu i gh’han avìd.

– Come elemento caratteristico di alcune esclamazioni: ah!, oh!, ohimè!, ohibò!, ecc.

La consonante « L »

È una consonante che viene pronunciata come in italiano: surèla (sorella), fradèl (fratello), cavàl (cavallo), ecc.

Una caratteristica del dialetto bobbiese e degli altri dialetti lombardi, è l’abbandono graduale del rotacismo . Sotto l’influsso della lingua italiana la «r» intervocale viene sostituita dalla «l»; il rotacismo si conserva invece ancora nelle seguenti parole:

Varèi (valere), vurèi (volere), scarògna (scalogna), s’réśa (ciliegia), curtèl (coltello), rigulìsia (liquiriśia), carimè (calamaio), candèira (candela), cariśna (caligine), gùra (gola), ar (il), ra (la), ecc.

Invece del trigramma «gli» che appare nella lingua italiana, davanti ad altre vocali il bobbiese presenta una «i» semivocalica, abbiamo così: familia (famiglia), vöia (voglia), ài (aglio), föia (foglia), bilièt (biglietto), bilièrd (bigliardo), miliùr (migliore), mèi (meglio), tvàia (tovaglia), ecc.

Si nota però che in alcuni casi, in una parlata più «dotta», forse in alcuni italianismi o in termini con grafia italianizzata, il trigramma viene utilizzato. Ad esempio nel congiuntivo imperfetto del verbo imbottigliare (embutiliè) si sente sempre più spesso: «ch’u l’embutiglìsa» invece di «ch’u l’embutili-ìsa» L’utilizzazione avviene più graficamente che foneticamente.

La consonante « M »

È una vocale che nel dialetto si pronuncia come in italiano.

In molti altri dialetti quando la «m» si trova davanti ad una consonante sorda, nella maggioranza dei casi si comporta come la «n»: si dilegua e nasalizza la vocale precedente.

Esempio: embacüchè, la «e» che precede la «m» si nasalizza e nella pronuncia viene prolungata sovrapponendosi alla pronuncia della «m»

Ma questa non è una regola, è una consuetudine legata al modo di esprimersi di alcuni e non di altri.

Nel vocabolario abbiamo solamente messo in evidenza questo fatto lasciando così libero il modo espressivo di ognuno

La consonante « N »

Nel dialetto bobbiese ha un suono come nella parola italiana « nono » quando:

è all’inizio di parola: num (nome), nuśa (noce), ecc

si trova tra due vocali: nonu (nonno), pana (panna), ecc.

segue un’altra consonante: mürnè (mugnaio), carìśna (caligine), ecc.

si trova in finale di parola: vśin (vicino), vìn (vino), pàn (pane), ecc.

Una caratteristica importante del nostro dialetto è il dileguamento con nasalizzazione della vocale precedente, quando la «n»si trova davanti ad una consonante «sorda»:

Andè (a’dè), tànt (tà’t), déntôr (dé’tôr), gnént (gné’t), marénda (maré’da), enàns (enà’s), véntidü (vé’tidü) e così via.

Nella pronuncia la vocale che precede la «n» si nasalizza e viene prolungata sovrapponendosi alla «n».

Ma da uno studio approfondito si nota che questa norma viene applicata sulla maggioranza delle parole, ma non su tutte ed inoltre questo dilenguamento con nasalizzazione resta un modo personale di esprimersi.

Resta difficile nasalizzare: sìngar, ànra, trìnca, vànga, ànca, anvìn, ràncio, bànca, deśmanghès, e moltissimi altri vocaboli.

Si rileva che anche nella parlata corrente, quando la «n», a fine di parola, precede un’altra consonante molti bobbiesi applicano questa norma; ad esempio:

I gh’han dàt I gh’ha’ dàt; pàn gratè pà’ gratè, ecc.

La consonante « P »

È una consonante che si pronuncia come in italiano.

Si noti la tendenza del dialetto di sonorizzare le sorde; è frequente il caso che parole italiane che iniziano con la «p», comincino poi nel dialetto con la «b».

Esempi:Prugna(brìgna), palla(bàla),prendere(brônchè),ecc.

Altre invece hanno la consonante «v» al posto della «p» italiana.

Esempi: Savòn (sapone), rèva (rapa), savurìd (saporito), cavì (capello), savèi (sapere), ecc.

Alcune volte avviene anche il dileguamento della «v»: sùra (sopra), cuèrta (coperta), quèrc (coperchio) ecc.

La consonante « Q »

È una consonante che è sempre seguita dalla vocale « u ». Si pronuncia come in italiano.

Il digramma «cq» viene scritto con la sola «q». Es.:Acqua (àqua).

Abbiamo parole che in italiano cominciano con la «c» che in dialetto si trasforma in «q»:

Esempio:Coprire (quatè), coprire (quarcè), coperchio (quèrc), ecc.

e ne abbiamo altre che cominciano in italiano con la «q» che si trasforma in «c»

Esempio:qui (ché), questo (che lü), questa (che lé), ecc.

La consonante « R »

È una consonante che nel dialetto rende lo stesso suono di quello italiano.

Mentre l’italiano ha conservato questa consonante presente nelle parole latine, il dialetto l’ha persa in moltissimi casi:

nell’infinito dei verbi: finì (finire), can (cantare), vèd (vedere), rìd (ridere), piànś (piangere), ecc.

nei sostantivi che in italiano terminano in «iere»: barbé (barbiere), purté (portiere), cantuné (cantoniere), curiéra (corriera),ecc.

Inoltre la consonante «r» è facilmente soggetta al fenomeno della «metatesi» (inversione nell’ordine di successione dei suoni in una parola).

Esempio: Cardénsa (credenśa), entrégh (integro), marùd (maturo), tarśént (trecento), nòstar (nostri), ecc.

La consonante « S »

Questa consonante, come in italiano ha due suoni, uno sordo ed uno dolce.

Ha un suono sordo come nella parole italiane: stanco stràch, corsa cùrsa, crescere crès,ecc.

Quando invece ha un suono dolce, come nelle parole italiane: sdentato śdentè, schiaffo śgiafòn, slavato ślavè, noi la indicheremo con il segno «ś»

La consonante « T »

Ha lo stesso suono che in italiano.

In molti casi, in posizione intervocalica ed in finale di parola, la « t» originaria latina da sorda si è trasformata in sonora diventando « d ». Il caso più evidente è il participio passato di alcuni verbi: finìd (finito), savìd (saputo), benedìd (benedetto), bęivìd (bevuto), pianśìd (pianto),ecc.

Altri casi: röda (ruota), nüdè (nuotare), dìd (dito), maridè (maritare), fradèl (fratello).

La consonante « V »

È una consonante che si pronuncia come in italiano.

Esempi: vün (uno), avèi (avere), avèrt (aperto), öv (uovo), növ (nuovo), vèduv (vedovo), sèrva (serva), ecc.

Frequente nel dialetto è la prostesi (aggiunta di una lettera all’inizio di parola) della «v»: vün (uno), vòt (otto), vès (essere), ecc.

La consonante « Z »

Nel dialetto questa consonante non viene utilizzata; si usano invece le consonanti « s » e « ś »:

a) quando ha il suono sordo nella pronuncia bobbiese si usa «s»

Esempio: zafferano (safràn), forza (fôrsa), zucca (süca), paśienza (pasiénsa), ecc.

b) quando ha il suono sonoro si pronuncia «ś» utilizzando il segno «ś»:

Esempio: mèśa (mezza), laśaròn (lazzarone), ecc., come nella parola italiana «zero».

Gli Articoli

Gli articoli servono a precisare il valore che si vuole dare al nome, a dar loro un valore determinato, indeterminato, generico.

Gli articoli sono di due specie: determinativi ed indeterminativi.

Articoli determinativi :

Nel dialetto bobbiese l’articolo determinativo ha più forme dell’italiano ed ha regole che vogliono unito ad un determinato nome un determinato articolo e solo quello. Queste norme che si evidenziano solo nella parlata non ne chiariscono il motivo e lasciano allo studioso solo la possibilità di fare deduzioni.

Questi articoli sono:

Italiano Bobbiese

singolare il lo u ar

– maschile

plurale i gli i

singolare la a ra

– femminile

plurale le e i

I vocaboli che cominciano con vocale hanno l’articolo determinativo « l’ », sia al femminile che al maschile:

l’òm(l’uomo) l’ôca(l’oca)

Per quanto riguarda l’articolo maschile plurale« i», viene utilizzato anche davanti a sostantivi femminili che incominciano con vocali , diremo infatti :

i òm(gli uomini) i ôch(le oche)

e in questi casi, nella pronuncia, l’articolo si unisce al sostantivo come fosse un’unica parola: iòm e iôch.

Il problema è capire quando si devono usare gli articoli a e u e quando gli altri due ar e ra? L’approfondita analisi della nostra parlata ci ha fatto conoscere che per determinati vocaboli vengono utilizzati solo gli articoli a e u e per altri ar e ra e questa è una condizione che non ammette deroghe. Il perché di tutto questo ci rimane ignoto, sicuramente il bobbiese deve aver avuto l’influsso ligure e gli articoli a e u potrebbero essere i segni di questo substrato, mentre l’evolversi del linguaggio con influenze celtiche, latine, longobarde, lombarde, piemontesi, hanno sicuramente inserito un altro modo di esprimersi, altre regole, queste non hanno saputo però cancellare quelle antiche. Il bobbiese è una parlata di frontiera senza regole scritte, ma tramandate solamente attraverso il parlare e tenendo presente sempre la sonorità armonica di questa lingua pur nella sua durezza. Un esempio viene dalla frase: « mi sono sporcato le mani » che viene espressa « am són spurchè ar màn », utilizzando l’articoloar(singolare e maschile) invece dell’articolo femminile pluralee.

Solo in questo modo si potranno spiegare certe espressioni, il perché di vocaboli pensati al maschile con articoli femminili e l’uso di un diverso articolo a secondo della posizione che il nome, a cui è riferito, occupa nella frase. Abbiamo cercato di capire se esistessero delle regole, ma le uniche di cui siamo certe sono:

a) ogni vocabolo vuole il suo articolo e solo quello.

Esempi: si dice ar su (il sole) e ra löna(la luna), ma a stèla (la stella). Si dice u prèv(il prete), u sacrìsta(il sacrestano), ma ar pèruch(il parroco) e ar vèsch(il vescovo). Si dice ra mèistra (la maestra), ra diretrìce (la direttrice), ra prufęsurèsa (la professoressa), ma u bidèl(il bidello) e a bidèla (la bidella). Si dice ra matemàtica (la matematica), ar disègn (il disegno), ar còmpit (il compito), ra lisiòn(la leśione), ma a matìta(la matita), a pèna (la penna), u quadęròn(il quaderno), a gùma (la gomma),u lìbar(il libro).

b) quando il vocabolo indica una cosa astratta, come la bontà (ra bon), la cattiveria (ra cativéria), la pretesa (ra partensiòn), la fortuna (ra furtüna), la felicità (ra contentèsa) usa l’articolo ar o ra. A questo proposito, a indicare che questa osservazione potrebbe essere giusta, le seguenti frasi:

U paiàs du tò fiö Fà mia ar paiàs

U balùrd du me fiö Fà mia ar balùrd

A castègna gròsa l’è da taiè Ra castègna an brüśa mìa

U confìn du mé càmp Ar confìn

U cristàl ch’at gh’é sùra ra pôrta Ar cristal l’è anca on minerèl

U diàlugh ch’uma péna cmensè Ar diàlugh l’è sémpar ütil

U guardiàn dar castèl U fà ar guardiàn d’ar castèl

U fà ar macàch U to fiö u fà ar macàch

U malè l’è mórt U fà ar malè

U pasàg ch’u gh’ha lasè U gh’ha dat ar pasàg

A plàia di balèt I balèt i gh’han ra plàia düra

A stàla növa Andè ent ra stàla

c) quando un vocabolo ha davanti l’aggettivo possessivo prende l’articolo a o u

Ho visto il paese hô vist ar pàiś

Io vado nel mio paese me vô ent u mé pàiś

Il professore ar prufesùr

Il mio professore u mé prufesùr

d)Un’ipotesi che abbiamo analizzato era che gli articoli ar e ra si usassero con sostantivi di origine lombarda; a e u invece con sostantivi di origine ligure. Analizzando meglio i dialetti lombardi questa tesi ci ha lascia perplessi e dubbiosi, infatti si trovano i seguenti articoli determinativi maschili:

– dialetto milanese El fiö straśún

– dialetto bergamasco Ol śùen tròp generùs

– dialetto comasco Ul fiöö pelandrun

– dialetto di Intra (No) Ul fieu spendaciun

– dialetto monzese Ul fioeu prodigh

– dialetto di Pavia Al fioe prodigh

– dialetto bosino di Varese Ur fioeu strasún

gli articoli a e u potrebbero derivare dalla contrazione di al e ul, ma è evidente che sono tutte supposizioni.

Secondo noi rimane valida quella del substrato ligure.

per quanto riguarda l’articolo determinativo davanti a nome che incomincia con vocale viene usato « l’ »

Quindi possiamo asserire che il dialetto bobbiese si fregia di ben 5 articoli determinativi.

e) L’elenco dei vocaboli che abbiamo presentato nel vocabolario, ci ha rilevato un fenomeno linguistico (già evidenziato nel libro « Il dialetto bobbiese » ) molto interessante.

Certi sostantivi di genere maschile si appropriano dell’articolo femminile. Eccovene l’elenco:

ra scàndul lo scandalo ra schìvi lo schifo

ra scrüpul lo scrupolo ra scür il buio

ra scurbìn la mancanza di vitamine ra sé il sale

ra sfé il fiele ra sfràt lo sfratto

ra sfröś l’inganno ra mnestròn il minestrone

ra spàsi lo spazio ra spatüs il lusso esagerato

ra spavént lo spavento ra spès il fitto

ra spesùr lo spessore ra spetàcul lo spettacolo

ra spìrit l’alcool ra spórch lo sporco

ra spòrt lo sport ra spròn l’incitamento

ra spüd lo sputo ra srèn il sereno

ra stàgn lo stagno ra strüt lo strutto

ra stüch lo stucco ra stüdi lo studio

ra stüfè lo stracotto ra śbagnüséri il fradiciume

ra śgaśaréri il rumoreggiare delle gazze ra snèvra la senape

Precisiamo che tutti questi sostantivi li pensiamo maschili e notiamo che quasi tutti incominciano con « s » o « ś », ma quando sono preceduti da un aggettivo possessivo si riprendono il loro giusto «genere» (maschile o femminile) e l’articolo usato diventa « a » o « u ».

u sò scàndul, u sò scrüpul, u tò scurbìn , u mé stüfè, u tò stüdi, u sò strüt, u sò śgaśaréri, u sò spròn, u tò spòrch, u tò spetàcul, u sò spatüs, u sò śbagnüséri, u mé stüfè, u tò stüch, u tò spüd, u mé spòrt, u tò spìrit, u sò spesùr, u mé spavént, u mé spàsi, u mé sfràt, u tò schìvi, u tò sfé, a sua sè, a sua snèvra, u mé mnéstròn, ecc.

L’articolo Indeterminativo

Gli articoli indeterminativi sono :

Italiano Bobbiese

per il maschile un uno on

per il femminile un’ una on’ ona

Si tratta di particelle atone e quindi si appoggiano sulla parola seguente, quando questa incomincia con vocale, fondendosi con essa nella pronuncia. Quando invece la parola che segue incomincia con consonante ed è di genere maschile, nella particella non si pronuncia la « n ».

Esempio: on òm (un uomo) si pronuncia onòm.

on mnestròn (un minestrone) si pronuncia omnestròn

Questo articolo non ha plurale vero e proprio; per esprimere la pluralità si ricorre ai numerali cardinali:(due), tri (tre), quàtar (quattro), ecc.

L’articolo indeterminativo onsi distingue nettamente dal numerale uno che in bobbiese si dice ün,nella conta, e vüne vüna,quando è usato come pronome.

Le preposizioni

Sono quelle parti del discorso che stabiliscono un rapporto, all’interno della proposizione, fra due o più membri di questa.

Le preposizioni si distinguono in :

Preposizioni proprie – cioè quelle che si usano solamente come preposizioni e sono:

di, a , da, in , con, su, per, tra (fra)

Di Preposizione propria semplice. Solitamente nella pronuncia tralascia la i diventando: «d’» oppure per ragioni di fonetica diventa « ad »

– L’è a màma d’ Màrio. L’è a màma ad Mario

– L’è u lìbar d’ Viturìn. L’è u lìbar ad Viturìn

Unendosi con gli articoli determinativi dà origine alle preposizioni articolate:

d’ar , d’u del, dello

d’ra , d’a della

d’i, d’e degli, dei, delle.

ma nella scrittura riteniamo valga la pena di scriverli uniti: dar, du, dra, da, di, de.

Esempi: U lìbar dar prufesùr, u lìbar du pupè, u lìbar dra prufęsurèsa, u lìbar da màma, i lìbar di sculèr, i cavì de dòn.

A Preposizione propria semplice. Può assumere la forma eufonica «ad» davanti a parola che comicia con vocale: Pensè ad l’ètar (pensare ad altro); andè ad Alesàndria (andare ad Alessandria).

Contrariamente alla lingua italiana che fondendosi agli articoli determinativi dà origine alle preposizioni articolate, nel dialetto bobbiese invece resta sempre separata dagli articoli: Andè a ra Ceśa (andare alla chiesa); andè a ‘r Pęnàś (andare al Penice); dìl a u pupè (dillo al papà); dìgōl cón a màma (diglielo alla mamma), in questo caso si preferisce usare la preposizione «con» in quanto « dìgōl a a màma » risulta faticoso nella pronuncia.

Da Preposizione propria semplice. Unendosi con gli articoli determinativi da origine alle preposizioni articolate.

d’ar, da u , da l’ dal, dallo

da ra , d’a , da l’ dalla

da i dagli, dai

da e dalle

che nella scrittura riteniamo logico diventino:

dar, du, dra, da, di, de

Esempi: me vô d’ ar séndich, me vô da u pupè, me vô da l’amiś, me vô da ra prufęsurèsa, me vô da a mama, me vô da l’amiśa, me vô da i fiö, me vô da e fiör.

En Preposizione propria semplice. In italiano «in».

Ponendosi con gli articoli determinativi dà origine alle prep. articolate sostituendo «en» in«ent» ? (latino: «intus»). La « e » davanti la « nt » è sempre di sono chiuso.

– Ent u, ar, l’ nel

– Ent a, ra, l’ nella

– Ent i nei

– Ent e nelle

Nella pronuncia la «n» di «ent» non viene quasi mai pronunciata.

Esempi: Me vèrd ent u casèt, ent ar còmpit a gh’éra on müc d’eśercìsi; ent l’öv a gh’éra dü rùs: ona surprèiśa! Ent ra cà d’Ugo hô vìst Marìa; bśögna crèd ent ra giüstìsia; bśögna crèd ent l’amicìsia; ent i fiàsch a gh’éra dar vìn gràm; ent e màn u gh’èva dü curtèi.

Cón Preposizione propria semplice. Nella parlata contrariamente all’italiano non si fonde con gli articoli determinativi per formare le preposizioni articolate: me vô cón ar vèsch, me vô cón i amiś, me vô cón ra prufęsurèsa, me vô cón u pupè, me vô cón a màma.

Nella parlata corrente si sente anche: me vô c’u pupè, me vô c’a mama.

Analizzando i pochi scritti che ci sono pervenuti abbiamo trovato « ménam cón » (portami con te), « gh’andèva cón Pasquéna » (ci andavo con Pasquina) ed in molte altre espressioni il « con » viene scritto per intero; abbiamo notato però che nella parlata, quando il «con» precede un vocabolo che incomincia con consonante la sua «n» viene quasi mai pronunciata o quantomeno ognuno si esprime come vuole.

Esempio: me vô cón Crombanìn pronuncia me vô có’ Cro’banìn

Ens Preposizione propria semplice. In italiano «su».

Unendosi con gli articoli determinativi dà origine alle preposizioni articolate:

Ens u, ar, l’ sul, sull’ per il maschile singolare

Ens a, ra, l’ sulla, sull’ per il femminile singolare

Ens i sui per il maschile plurale

Ens e sulle per il femminile plurale

Nella pronuncia la «n» di «ens» diviene quasi muta.

Esempi: Sôn andàt ens u carèt; sôn andàt ens ar Pęnàś; sôn andat ens l’èś; sôn andat ens a schèra e gh’èva di fiur ens ra tèsta; uma discüs ens ra lisiòn dra prufęsurèsa; u caminèva ens l’àqua; sôn andàt ens i tèc; ens e fnèstar a gh’era pìn ad gérani.

Par Preposizione propria semplice. In italiano: «per»

Unendosi con gli articoli determinativi dà origine alle preposizioni articolate:

Par per

Par u p’r’u par ar p’ar per il

Par ra p’ra per la

Par i p’r i per i

Par e p’r e per le

che nella scrittura riteniamo logico diventino:

par, pru, pri, pre

Esempi: Ma và par ciàp! L’hô fàt par ar(p’ar) prufesùr. M’het ciapè p’r u to paiàs? A m’ha ciapè p’r a so màma; u m’ha ciapè p’r i cavì; u g’ha on débul p’r e dòn.

Tra Preposizione propria semplice. In italiano «tra»

Esempio: tra me e te an gh’è pö gnént !

Preposizioni improprie. Cioè quelle che per loro natura sono o avverbi, o aggettivi, o participi verbali, che vengono talora usati in funzione di preposizioni.Le più comuni sono:

dòp, prìma, sùra, déntar, föra, vśìn, sénsa, lòntàn, dréra, ensèma, d’nàns, sicònd, raśént, tachè, ecc.

Esempi: dòp Pàsqua; prìma ad tüt, sùra ra cà, són caschè déntar a ra mèta, l’éra föra ad lü, ra ceśa l’è vśin a cà mìa, l’è sénsa sôd, lòntan da i öc, vün dréra l’ètar, vęgnàt ensèma a mé? Sicònd mé, da d’nàns a ra cà, raśént ar mür, l’ôratóri l’è tachè a ra ceśa.

I SOSTANTIVI

Nel dialetto la formazione del plurale per i sostantivi segue le seguenti norme :

– I sostantivi che terminano con vocale tonica (à – é – è – ì – ò – ó – ö – ô – ü – ù ) rimangono invariati siano essi maschili o femminili:

Esempi: u pupè, i pupè – ra cà, e cà – u cavì, i cavì – u cucù, i cucù – u fiö, i fiö – ra calè, e calè – u bavarö, i bavarö – ecc.

– Anche quelli che terminano con le vocali « i, u, o, » rimangono invariati .

I sostantivi che terminano con consonante nella maggioranza dei casi restano invariati .

Esempi: i öc, i öv, i màt, i gàl, i vagòn, i üs, i piöc.

– Solamente quelli che terminano con la consonante « l » possono al plurale mutare la

« l » nella vocale « i », però senza seguire una precisa regola, ma solamente la consuetudine di ciascuna persona.

Di seguito indichiamo quello che abbiamo appreso interrogando le persone. Si potrebbe anche dedurre che i sostantivi terminanti con la consonante «l» al plurale restino invariati con qualche eccezione.

L’aghiadèl pungolo per buoi i aghiadèi

L’agnèl agnello i agnèi

L’anèl anello i anèi

L’àngil angelo i àngil

L’arbièl piccolo abbeveratoio i arbièl o i arbièi

U bacarèl bastone i bacarèl

U bàl ballo i bàl

U bartavèl sorta di rete da pesca i bartavèl

U baül baule i baül

U bèl bello i bèi

U bidèl bidello i bidèi

U büdèl budello i büdèl o i büdèi

U bùl bollo i bùl

Ar burdèl schiamazzo i burdèl o i burdèi

U camàl cavallo i camàl

U camèl cammello i camèl o i camèi

U cantunèl armadio ad angolo i cantunèl

U capèl cappello i capèl

Ar capitèl capitale i capitèl

U capurèl caporale i capurèl

Ar cardinèl cardinale i cardinèl

U cartèl cartello i cartèl o i cartèi

U castèl castello i castèl o i castèi

U cavàl cavallo i cavàl o i cavai

U càl callo i càl

Ar còl collo (della persona) i còl

U crivèl setaccio i crivèl

Ar culunèl colonnello i culunèl

Ar curàl corallo i curài

– U curtèl coltello i curtèl o i curtèi

U fanèl fanale i fanèl o i fanèi

U farsèl formella per formaggi i farsèi

U fradèl fratello i fradèi

Ar funerèl funerale i funerèl

U furnèl fornello i furnèi

U gàl gallo i gàl

U gavdèl raggi di legno i gavdèi

Ar generèl generale i generèl o i generèi

U girèl girello i girèl

U giurnèl giornale i giurnèl o i giurnèi

U gumisèl gomitolo i gumisèl o i gumisèi

U martèl martello i martèl o i martèi

Ar maśèl macello i maśèl

U mèral merlo i mèral

U miràcul miracolo i miràcul

Ar Nadèl Natale i Nadèl

U pèl palo i pèl

Ra pèl pelle e pèl

U pivèl sbarbatello i pivèl

U pnèl pennello i pnèl o i pnèi

U prufìl profilo i prufìl

U quadrèl mattone i quadrèl o i quadrèi

U rastèl rastrello i rastèl o i rastèi

U regàl regalo i regàl o i regài

U sapèl callaia i sapèl

Ar sarvèl cervello i sarvèl o i sarvèi

U scoparèl scalpello i scoparèl

U sigìl sigillo i sigìl

U stivèl stivale i stivèl o i stivèi

U tasèl tassello i tasèl o i tasèi

Ar tribunèl tribunale i tribunèl o i tribunèi

L’uspidèl ospedale i uspidèl

Ra vàl valle e vàl

U vidèl vitello i vidèl o i vidèi

Ar vùl volo i vùl

U śbarśèl piolo i śbarśèl o i śbarśèi

U śbèral crepa, taglio nella stoffa i śbèral

In altri dialetti, come in quello milanese, notiamo che le parole che finiscono con accento tonico sull’ultima sillaba, al plurale mutano la “l” in “i”.

– I sostantivi che terminano con la vocale « a » atona possono essere di genere maschile e femminile.

Quando sono di genere maschile nel plurale restano invariati. Es.: u pianìsta, i pianìsta – u marmìsta, i marmìsta.

Quando invece sono di genere femminile, nel plurale, la « a » atona finale di parola, viene eliminata. Es.: Ra Ceśa, e Ceś – a fiöra, e fiör – a camìśa, e camìś – a canàpia, e canàpi – a péonia, e péoni.

Quelle che terminano con « -cia », « -gia », al plurale perdono non solo la « a » ma anche la «i» che la precede:

a brüs’cia – e brüs’c, a bùcia – e bùc, ra càcia – e càc, ra fàcia – e fàc, a lögia – e lög, ra mìcia – e mìc, a nìcia – e nìc, l’òngia – i òng, l’ôricia – i ôric, a röcia – e röc, a tìcia – e tìc, a śmàcia – e śmàc.

Si nota però che quando la parola femminile finisce in « ra » e queste due lettere sono precedute da una consonante, si evidenzia il fenomeno di «metatesi» cioè l’inversione nell’ordine di successione dei suoni nella parola:

l’ànra – i ànar, a calàstra – e calàstar, a càmra – e càmar, a furmìgra – e furmìgar, a lètra – e lètar, a lévra – e lévar , ra mnèstra – e mnèstar, a nüvra – e nüvar, a pégra – e pégar, a piàstra – e piàstar, a puciàcra – e puciàcar, a rùvra – e rùvar, ra sènra – e sènar, a sivètra – e sivètar, a söśra – e söśar, l’urchèstra – i urchèstar, a vìpra – e vìpar, a śgàśra – e śgàśar, a śnèstra – e śnèstar, a cögra – e cögar .

Si evidenzia che il cuocou cögar al plurale resta invariato i cögar .

Anche nelle seguenti parole si nota la stessa inversione:

a büsla – e büsal, a cùdga – e cùdagh, a fèmna – e fèman, a fùrma – e fùram, a mènga – e nènagh, a mònga – e mònagh, a pèrla – e pèrōl, a pèrtga e pèrtōgh, ra sègma e sègom, ra sèmna – e sèman, a tònga – e tònagh.

L’alterazione dl sostantivo

Anche nel dialetto bobbiese, come in italiano, il sostantivo può essere alterato mediante l’aggiunta di suffissi.

Vi sono tre forme di alterazioni: il diminutivo, l’accrescitivo, il vezzeggiativo e il peggiorativo.

Il diminutivo conferisce al sostantivo l’idea di piccolezza. Si ottiene con i suffissi «ìn» per il maschile e «èn(a)» «én(a)»o «èta» «òta» per il femminile :

esempi: u pès u pęslìn u cücièr u cücerìn u bicér u bicerìn

u piàt u piatìn u cavàl u cavalìn u gàt u gatìn

a gàta a gaténa a rèida a ręidéna a cavàla a cavaléna

a mìca a michèta a lévra a levròta a sèrva a servèta

u michìn a servòta

L’accrescitivo conferisce al sostantivo l’idea di grandezza. Si ottiene con i suffissi «òn» per il maschile e «òn(a)» per il femminile

esempi u bic u biceròn u pès u peslòn u cücièr u cücieròn

a mìca a micòna a fursèna a fursinòna a gàta a gatòna

Il peggiorativo conferisce al sostantivo l’idea di brutto, del peggiore. Si ottiene con i suffissi «às» per il maschile e «às(a)» per il femminile, ma anche «aìa» esempi:

u bicér on bicéràs u gàt on gatàs ar témp on tempàs

ar vìn on vinàs a nüvra ona nüvràsa a dòna ona dunàsa

a fnèstra a fnestràsa ar brö ona brödaia ra gént ona gentàia

Osservazioni sull’alterazione

Non è sempre possibile effettuare l’alterazione, infatti vi sono sostantivi che non l’ammettono, come ci sono sostantivi che non ammettono tutti i suffissi visti sopra. Il buon senso e la pratica del dialetto sono le uniche guide nella scelta dei suffissi.

Inoltre bisogna stare attenti alle varie sfumature di significato ad esempio fiulìn oltre ad indicare un bambino in giovane età può voler anche indicare un bambino gentile, di modo ecc.; come ancora butiliòn non vuole indicare una grossa bottiglia , ma un tipo di contenitore, cavalòna può essere indirizzato ad una formosa e bella ragazza, gaténa usato come vezzeggiativo di un’innamorata.

SOSTANTIVAZIONE

Anche nel dialetto bobbiese qualsiasi parola può essere usata come sostantivo, aggettivi, numerali, preposizioni, avverbi, congiunzioni, verbi e persino intere frasi, premettendo l’articolo. Il caso più frequente avviene negli aggettivi :

– ar bèl, ar brüt, ar biànch, ar nèigōr, on pôvar, i pôvar, ecc.

Anche il numerale viene spesso usato come sostantivo .

Il numero cardinale viene usato al maschile perchè si sottintende «ar nümar»

– l’ün, ar dü, ar sìncu, ar sént, u miliòn, ecc.

Il numero ordinale può essere invece sia maschile, sia femminile ed anche plurale :

– u prìm d’ar mèiś, a prìma d’ra scôla, i prìm d’ra scôla, ecc.

Anche il verbo viene facilmente sostantivato, nel modo all’infinito (sempre maschile) e al participio passato (maschile o femminile, singolare o plurale):

ar bèiv, u mórt, a mórta, i mórt, ecc.

Molti participi passati che terminano con « è » ed indicano una azione possono essere modificati in sostantivi femminili unendo al « tema » del verbo la desinenza « eda »

bagnè (bagnata) bagnèda (bagnata) U gh’ha dàt ona bagnèda.

bacaiè (ciarlato) bacaièda (ciarlata) U gh’ha fàt ona bacaièda.

biasè (masticato) biasèda (masticata) Che biasèda, bagài!

bśon (unto) bśontèda (cosparso di grasso)U gh’ha dat ona bśontèda

ecc., ecc.

Quelli invece che finiscono in « id » ed indicano una azione possono essere modificati in sostantivi femminili aggiungendo al « tema » del verbo la desinenza « a » :

buìd (bollito) Buìda (bollitura) Fàgh fè ona bèla buìda

brustulìd (abbrustolito) Brustulìda (abbrustolimento)Dàgh ona brustulìda.

durmìd (dormito) Durmìda (dormita) Ona bèla durmìda.

ecc.

Più rara è la sostantivazione delle altre parti del discorso, come per esempio il pronome personale :

lü um dà d’ar te, lü um dà d’ar vö, ecc.

o l’avverbio:

Iér l’è pasè, dmàn vidrùma!

o una preposizione:

l’ « a » a l’è ànca ona prepuśisiòn, ecc.

Gli aggettivi

Nei nostri discorsi accompagnamo con aggettivi un nome ogni volta che dobbiamo indicarne una qualità o desideriamo determinarlo con precisione.

Si dividono in :

Aggettivi qualificativi

sono quelli che usiamo molto spesso nei nostri discorsi per indicare la qualità di una cosa o di una persona.

Esempi: öc nèigōr, bèl òm, pùm vérd, fiö picìn, cavì biànch, ecc.

Alcuni aggettivi qualificativi possono essere usati con valore di sostantivo. Se poniamo davanti a bello, brutto, bianco, ecc. l’articolo determinativo, abbiamo degli aggettivi sostantivati

Esempi: ar bèl, ar brüt, i bèi, i brüt, ar biànch, ar nèigor, u pôvar, i pôvar ecc.

Gli aggettivi possono, nella forma maschile singolare, terminare in consonante o in vocale.

La terminazione in consonante è la più frequente; es.: bèl. nèigar, brüt, grànd, biànch, rùs, frèsch, ecc., e per la formazione del loro femminile basta aggiungere la desinenza « a », esempio: bèla, brüta, grànda, biànca, rùsa, fanno eccezione le parole che terminano in « ar » o in « or »; quando queste due lettere sono precedute da una consonante, queste per il fenomeno di «metatesi» trasformano la parola « nèigar » nel femminile « nèigra ».

Altri esempi: alégar – alégra, lüstar – lüstra, mègar – mègra, nüvar – nüvra, pôvar – pôvra, ulivàstar – ulivàstra, tènar – tènra.

Gli aggettivi che terminano con « in » al femminile si trasformano nel seguente modo:

Asasìn – asaséna, avśin – avśéna, aśnìn – aśnéna, balarìn – balaréna, beghìn – beghéna, fìn – féna, genuìn – genuéna, ladìn – ladéna, picìn – picéna, pìn – péna.

Quelli che finiscono in « an » si trasformano in diversi modi :

Ergastulàn – ergastulèna, fignàn – fignèna, italiàn – italièna, lontàn – lontèna, nustràn – nustrèna, ôrtlàn – ôrtlèna, republicàn – republichèna, san – sèna.

Oppure: Etèran – etèrna, giùvan – giùvna, mudèran – mudèrna.

Come si può notare il dialetto bobbiese non è soggetto a regole precostituite in analogia con qualche lingua e vale solamente il modo di parlare.

La terminazione in vocale è molta ridotta, il numero più folto è formato dai participi passati usati come aggettivi, ma questi terminando con la « è » tonica, restano invariati nel femminile :

abunè, adatè, eliminè, emanghè, embacüchè, embalsamè, ecc.

Gli aggettivi che terminano con la vocale « i » al femminile alcuni aggiungano la vocale «a»:

temerèri – temerèria, śmôrbi – śmôrbia, contrèri – contrèria, séri – séria, dùpi – dùpia, mèdi – mèdia, nuvìsi – nuvìsia, urdinèri – urdinèria, büdénfi – büdenfia, – supèrbi, supérbia.

Altriinvece sostituiscono la « i » con la « a »: avèri – avèra.

Fa eccezione e resta invariato: pèri.

La formazione del femminile plurale

Gli aggettivi maschili uscenti con consonante rimangono al plurale femminile generalmente invariati:

Dòn gràs, dòn brüt, dòn catìv, ecc.

fa eccezione: « bèl » che al plurale, sia maschile che femminile, diventa «bèi»:

D’i bèi òm, d’e bèi dòn.

Gli aggettivi che terminano al maschile con « in » si mutano al femminile in « éna »:

asasìn, asaséna che al plurale femminile, diventa d’e dòn asasén , perdono cioè la « a » finale.

Altri esempi: avśìn, avśéna, plurale femminile avśén; balarìn, balarén plurale femminile balarén; ecc.

Gli aggettivi che terminano al maschile con « ar » o con « or » al plurale femminile rimangano invariati:

On òm nèigar, ona dòna nèigra, plurale femminile (qui c’è unametatesi): d’e dòn nèigar.

Gli aggettivi uscenti con vocali toniche restano invariati sia al maschile, sia al femminile ed anche al plurale.

Aggettivi possessivi.

sono quelli ai quali dobbiamo ricorrere per indicare a chi appartiene un oggetto, un animale o una persona.

In italiano sono:

mio (mia, miei, mie)

tuo (tua, tuoi, tue)

suo (sua, suoi, sue)

nostro (nostra, nostri, nostre)

vostro (vostra, vostri, vostre)

loro (invariabile)

altrui (invariabile)

proprio (propria, propri, proprie)

E’ necessario usare proprio invece di suo quando con suo non determiniamo chiaramente il possessore.

Esempi

it. bob. it. bob.

il mio libro u me lìbar mia madre mia mèr o me mèr

i miei vecchi i me vèc le mie vecchie e mi vèc

il tuo libro u tò lìbar tua madre tò mèr

i tuoi vecchi i tò vèc le tue vecchie e tù vèc

il suo libro u sò lìbar sua madre sò mèr

i suoi vecchi i sò vèc le sue vecchie e sù vèc

il nostro libro u nòstar lìbar nostra madre nòstra mèr

i nostri vecchi i nòstar vèc le nostre vecchie e nòstar vèc

il vostro libro u vòstar lìbar vostra madre vòstra mèr

i vostri libri i vòstar lìbar le vostre vecchie e vòstar vèc

Loro ed altrui non si usano, per quanto riguarda loro si usa un’altra forma, come ad esempio: i lìbar ad lé lù (i loro libri).

Si fa notare che « lé lù » vale sia per il plurale maschile che femminile.

Anche per gli aggettivi:

proprio propria propri proprie

si usa la forma

u sò lìbar, a sò màma, i sò fiö, e sù fiör.

Aggettivi dimostrativi

sono quelli che usiamo nei nostri discorsi:

a)quando ci occorre determinare se il luogo dove si trova una cosa, persona, animale, è lontano da noi o vicino:

italiano bobbiese

– Per indicare che la cosa è questo cul ché stu

vicina a noi che parliamo questa cula ché sta

questi chi ché sti

queste che ché ste

– Per indicare che la cosa è quello cul là

lontana da noi ed anche da quella cula là

chi ascolta quelli chil là

quelle chil là

Esempi: cul pàn ché; cula pèna ché; chi pàgn ché; che pèn ché.

ma si sente anche dire: cu cücièr ché, ca dòna ché, cu cücièr là, ca dòna là.

Gli aggettivi stu, sta, ste, sti,si usano quando si pretende una risposta e si sa già spiacevole. È un modo un po’ arrogante di chiedere.

Esempio:

Côśa vöral stu òm?

– Côśa vörla sta dòna?

– Côśa vörai sti òm?

– Côśa vörai ste don ?

b ) quando ci occorre determinare una relazione di identità, di somiglianza:

Italiano stesso stessa stessi stesse

Bobbiese u stès a stèsa i stès e stès

poco usato

Italiano medesimo medesima medesimi medesime

Bobbiese u medéśim a medéśima i medéśim e medéśim

Italiano altro altra altri altre

Bobbiese ètar ètra ètōr ètar

Italiano tale tali tale quale

Bobbiese tèl tèl tèl quèl

Gli aggettivi interrogativi

che usiamoogni qualvolta abbiamo bisogno di determinare un nome, indicando una interrogazione rispetto alla qualità, alla natura, alla quantità di una cosa, di un animale, di una persona.

Esempi:

che uomo èche òm èl?

che donna èche dòna èla?

che uomini sono?che òm èi?

che donne sono?che dòn èia?

quale uomo è?quàr’èl l’òm?

quale donna è?quàr’èla a dòna?

quali uomini sono?quàr’èia i òm?

quali donne sono?quàr’èi e dòn?

quanto lavoro hai?quànt lavú a gh’het?

quanta brace hai?quànta brèśa a gh’het?

quanti cavalli hai? quànti cavàl a gh’het?

quante caldarroste hai mangiato?quànti büstarné het màngè?

Gli aggettivi esclamativi

servono per determinare un nome, un moto dell’anima, in forma esclamativa.

Sono:ItalianoBobbiese

cheche

quanto quàntquanta quànta

quanti quànti

Esempi:

che bella casa!che bèla cà!

quanta gente! quànta gént!

quanto è bello!cm’a l’è bèl!

quante donne! quànti dòn!

Gli aggettivi indefiniti

servono quando desideriamo indicare in modo generico, non definito, la quantità o la qualità di persone, cose o animali.

Italiano bobbiese

– di qualità qualunque qualùnque

qualsiasi qualsìasi

come in italiano hanno la stessa forma sia nel maschile, che nel femminile e nel plurale:

– An l’è pròpi mìa on parsunàg, l’è on òm qualùnque!

– Qualsìasi rôba at ma daré, l’andrà sicüramént bèn!

– di quantità:

singolare plurale

maschile femminile maschile femminile

altro altra altri altre italiano

ètar ètra ètar ètar Bobbiese

qualche qualche italiano

quèiche quèiche Bobbiese

ogni ogni italiano

tüt-i tüt-e Bobbiese

nessuno nessuna italiano

nsün nsünaBobbiese

tanto tanta tanti tante italiano

tànt tànta tànti tànti Bobbiese

poco poca pochi poche italiano

pôch pôca pôchi pôchi Bobbiese

tutto tutta tutti tutte italiano

tüt tüta tüt-i tüt-e Bobbiese

troppo troppa troppi troppe italiano

tròp tròpa tròpi tròpi Bobbiese

altrettanto altrettanta altrettanti altrettante \italiano

ętartànt ętartànta ętartànt ętartànt Bobbiese

certo certa certi certe italiano

sèrt sèrta sèrti sèrti Bobbiese

quanto quanta quanti quante italiano

quànt quànta quànti quànti Bobbiese

uno una italiano

ün üna Bobbiese

più italiano

püsèBobbiese

pö Bobbiese

Note:

L’aggettivo sèrt (certo) davanti ad un nome che incomincia con consonante prende la vocale eufonica u diventando sèrtu.

Esempio: è un certo personaggio = a l’è on sèrtu parsunàg

Gli aggettivi numerali

con gli aggettivi numerali si determina un nome in modo preciso, in quanto indichiamo una quantità di cose, di persone, di animali.

Essi sono di più specie:

– Cardinali: indicano una quantità numerica in modo assoluto.

uno due tre quattro cinque sei sette otto nove dieci

ün dü trì quota sìncu séś sèt òt növ déś

undici dodici tredici ecc. venti ventuno ventidue ecc.

ündōś dudōś tredōś ecc. vént véntün véntidü ecc.

trenta sessanta settanta ottanta novanta cento duecento

trénta sésànta sétànta utànta nuvànta sént duśént

trecento quattrocento ecc.

tarśént quatarsént ecc.

Come in italiano essi vengono usati non solo come numeri, ma spesso come sostantivi e rimangono in genere invariati. Si considerano tutti maschili eccetto: üna , du e trèi.

Inoltrealcuni aggettivi cardinali possono diventare sostantivi e, se sono seguiti da sostantivo prendono la preposizione « ‘d » .

Esempio:Un milione di lire = On miliòn ad frànch

la preposizione non si usa se invece sono seguiti da altri numeri:

Esempio:

Un milione e cento mila lire = on miliòn e sént mìla frànch

– Ordinali: indicano l’ordine, la successione, il posto che occupa in una numerazione una persona, una cosa, un animale. Sono:

primo secondo terzo quarto quinto sesto settimo

prìm sicònd tèrs quèrt quìnt sèst sètim

ottavo nono decimo undicesimo ecc.

utèv nònu décim ündicéśim ecc.

Gli ordinali hanno tutti il femminile che termina in « a » e possono essere sostantivati.

Esempi: prima, sicònda, tèrsa, ……décima, ündicéśima, ecc.

– Moltiplicativi: si usano per indicare quante volte si moltiplica una cosa. Sono:

semplice doppio triplo

maschilempi dùpi trìpōl

femminile – dùpia trìpla

Non ne esistono altri, in bobbiese si usa una circonlocuzione:« quàtar vôt, sìncu vôt, ecc.».

– Distributivi: indicano in che modo è distribuita numericamente una cosa. Sono:

uno per volta due per volta tre per volta ecc. italiano

ün par vôta dü par vôta tri par vôta ecc. Bobbiese

I gradi dell’aggettivo

con l’aggettivo qualificativo possiamo esprimere non soltando la qualità di una cosa, di una persona, di un animale, ma anche in quale misura, o grado, quella qualità è posseduta.

Grado positivo: si ha quando esprimiamo la qualità della cosa senza indicarne la misura.

Esempio:Egli è bello lü l’è bèl

Grado comparativo: una qualità di una persona, di una cosa, di un animale è messa a confronto con la stessa qualità di un’altra persona, di un’altra cosa o di un altroanimale.

Può essere:

a ) di uguaglianza

si forma con l’aggettivo preceduto, ma anche seguito dall’avverbio «n: Il secondo termine di paragone è introdotto da «c’me» (come)

Esempio: E’ bravo come te L’è brèv tànt c‘me té

l’avverbiontviene di solito tralasciato e la frase diventa: a l’è brèv c’me té

La prima sillaba di come si elimina (aferesi) e può diventare ’me

b ) di maggioranza

il comparativo si forma premettendo all’aggettivo l’avverbio « püsè» (più). Qualcuno usa anche l’avverbio « pö ».Ma il primo conferisce al giudizio maggior serietà e credibilità, perchè non scivola sull’aggettivo che segue, è staccato nelle due componenti, più lento e più importante: « püsè bèl ».

Il secondo invece è più veloce e scivola sull’aggettivo che segue, diventando con esso una sola parola : « pö bèl ».

Il secondo termine di paragone si introduce con la congiunzione « che », ma si usa anche la preposizione « ad », che corrisponde al « di » italiano o la preposizione « d’u » (del) per il maschile e « d’a » (della) per il femminile.

Esempi:

E’ più bravo di me l’è pö brèv che me

Mio figlio è più svelto del tuou me fiö l’è püsè śvèlt d’u to

Mia figlia è più svelta della tua a mia fiöra l’è püsè śvèlta d’a tua

La tua amica è più vecchia di tea to amìśa l’è püsè vècia ad te

Maria è più vecchia di AnnaMarìa l’è püsè vècia d’Àna

c ) di minoranza

il comparativo di minoranza si forma usando l’avverbio « ménu » (meno).

Esempio:Tu sei meno vecchia di lei te t’é ménu vècia ad le

Il grado superlativo

a) Il superlativo relativo

si ha quando una qualità posseduta in grado eminente da una persona, cosa o animale,viene messa a confronto con quella di tutte le altre persone, cose o animali, della medesima specie.

Si forma con il comparativo di maggioranza o minoranza premettendogli l’ articolo determinativo:

Esempio: Il più bello u püsè bèl

Il meno bello u ménu bèl

Il secondo termine di paragone è introdotto da « ad », « d’» (di)

Esempio:Il più bello di tutti u püsè bèl ad tüti

b) Il superlativo assoluto

si ha quando una qualità è posseduta in massimo grado da una persona, cosa o animale, senza alcun confronto. Il superlativo assoluto in bobbiese si può formare in diversi modi. Aggiungendo la desinenza « ìsim »al positivo, questa forma però è poco usata e quel poco non con tutti gli aggettivi.

Esempio:

Grànd grandìsim

Bèl bęlìsim

Brüt brütìsim

In italiano si premette all’aggettivo l’avverbio molto, che in bobbiese non esiste. Si potrebbe usare « abòta » , ma questo termine che esprime ammirazione, non si può usare con tutti gli aggettivi e in tutte le occasioni.

Esempio :

E’ molto bello a l’è bèl, bèl abòta

E’ molto ricco a l’è siùr, siùr abòta

si usano quindi altre forme:

E’ molto ricco a l’è on siuràs

E’ bravissimo l’è pròpi brèv

Un modo molto popolare, per esprimere ammirazione, è quello d’indugiare sulla vocale finale dell’aggettivo:

Che bello! che bèl!

la « è » di bèl è prolungata.

Una forma di superlativo, anch’essa molto popolare, è la seguente:

E’ tanto buono che non ti dico l’è tànt bòn ch’an ta dìś

l’è tant bòn ch’an ta dìgh

Un altro modo, tutto particolare nel bobbiese, è il raddoppiamento dell’aggettivo con l’aggiunta di un suffisso « ént »:

Biànch bianchént bianchissimo

Növ nuvént nuovissimo

Dür durént durissimo

Pìn pinènt pienissimo

o con altri suffissi:

Sùl sulèt (solo soletto), cöt e stracöt (cotto e stracotto), strachèrgh (stracarico),ecc.

L’uso di immagini e paragoni è anche abbastanza comune:

Rùs c’m’on bśiòn rosso come un calabrone

Nèigar c’m’ar carbòn nero come il carbone

Gràs c’m’on gugnìn grasso come un maiale

Alterazione dell’aggettivo

Anche l’aggettivo può subire l’alterazione nelle forme del diminutivo, accrescitivo, vezzeggiativo e peggiorativo.

Esempi :

chèr – carìn; gràs – grasòn – gràsòt; pôvar – pôvrìn –pôvràs; malè – maltìc; stüpìd – stüpidìn – stüpidòt.

Posizione dell’aggettivo

Nella parlata bobbiese di solito l’aggettivo viene posto dopo il sostantivo cui si riferisce, ma certe volte vengono utilizzati prima come d esempio:

on bèl òm; ona brùta dòna; on brèv fiö; ona granda pagüra; ona lònga discüsòn; ona gràma figüra

alcuni hanno la capacità di mutare il significato a seconda che vengano preposti al sostantivo o posposti:

on pôvar òm (un uomo sfortunato) on òm pôvar (un uomo povero)

on grand òm (un uomo importante) on òm grand (un uomo alto

on gentilòm (un gentiluomo) on òm gentìl (un uomo cortese)

on galantòm (un galantuomo) on òm galànt (un uomo galante)

on vèc amiś (un amico di vacchia data) on amiś vèc (un amico anziano)

on prìm minüt (il primo minuto) on minüt prìm (un minuto primo)

ona brüta dòna (un’arpia) ona dòna brüta (una donna brutta)

pôca rôba (cosa in piccola quantità) rôba da pôch ( cosa di poco conto)

I pronomi

Può sostituire un nome già espresso o indicare un pensiero esposto precedentemente, come pure un nome o un pensiero che si sta per esporre.

Si dividono in:

a) Pronomi personali

Tonici soggettoio

tu

egli ella lü lé

noi nün

voi viètar

loro

Atoni soggetto io a

tu a t’

egli ella u a

noi a

voi a

loro i e

Il pronome atono soggetto, che non esiste in italiano, viene sempre usato nella coniugazione dei verbi anche se viene omesso il pronome tonico. I pronomi atoni « a » e « u » quando si trovano davanti a verbi che incominciano con vocale, per ragioni di sonorità, vengono omessi e davanti alla terza persona singolare, in alcuni casi si ricorre a particelle o pleonastiche o pronominali

Esempi

Io grido: mé a vùś; tu gridi: té at vùś; egli grida: lü u vùśa; ella grida: lé a vùśa; noi gridiamo: nün a vuśùma; voi gridate: viètar a vuśì; essi gridano: lu i vùśa; egli rifiuta: lü l’arfüda; io raccolgo: mé argöi; ecc.

Tonici complementome

te

lui lei lü lé * (di riguardo)

noi nün

voi viètar vö * (di riguardo)

loro

riflessivosès’

Atoni complementome ma m’

te ta t’

lui lei lo laa l’ gh’ gha ne

noi na n’

voi va v’

loro i e gh’ gha ne

I pronomi personali atoni esprimono solamente il caso accusativo (complemento oggetto) e il caso dativo (complemento di termine). Per gli altri complementi non esistono forme atone

Pronomi atoni

che svolgono soltanto la funzione di complemento oggetto o di complemento di termine:

Complemento oggetto Complemento di termine

1° persona singolaremi = m’ a me = m’

Egli mi chiamami hanno regalato un libro

Lü u m’ ciamai m’han regalè on lìbar

2° persona singolare ti = t’ ta a te = t’ ta

Io ti chiamo ti dico tutto

Mé a t’ciàm mé a t’dìś tüt

riflessivosi = s’a sé = s’

Luigi si lavasi è dato dello stupido

Luìg u s’lèvau s’è dàt d’ar lùch

1° persona pluraleci = n’ na – gh’ noi = n’ na gh’

Ci chiamici dice tutto

Té at na ciàm u n’ dìśa tüt

Chiamacidicci tutto

Ciàmna dìśna tüt

N.B: Bisogna far attenzione a non confondere forme italiane identiche ma con significato diverso:

Dacci dentroDacci (a noi )

Dàgh déntarDàn-na

Pensaci su Pensaci (pensa a noi ) Pénsagh sö Pénsna

Abbiamo inoltre l’avverbio di luogo:

Io ci vado

Mé a gh vô

Io ci sto

Mé gha stô

ed il dativo plurale:Lui ci dà

Lü u n’ dà

2° persona pluralevi = v’ – a voi = v’ – va

Vi chiamovi dico la verità non vi dico

A v’ ciàmv’ dìś ra veritè an va dìś

riflessivo si = s’ a sè = s

Si lavano con acqua e sapone loro si dicono tutto

I s’lèva cón àqua e savònlu i s‘dìśa tüt

Altri pronomi:

Lo (lui) = l’ – ucomplemento oggetto: L’ho chiamato = L’hô ciamè

Lo chiamo = U ciàm

Gli (a lui) = gh’complemento di termine: Gli ho detto: bravo!

a gh’hô dìt: brèv!

La (lei) = a – l’ – gh’complemento oggetto:Tutti la vogliono.

tüti i la vö.

La chiamo

a ciàm

La ho abbandonata

mé l’hô abandunè

Le (a lei) = gh’complemento di termine: Le ho detto tutto

a gh’hô dìt tüt

Le (loro) = complemento oggetto:Le vedo tutti i giorni

e vèd tüti i dé

Li (loro) = icomplemento oggetto: Li vedo tutti i giorni

i vèd tüti i dé

Le particella pronominale « ne » con valore di pronome personale:

– singolare: di lui, di lei, di loro, di esso, di essa .

Esempi:

Carlo è un povero ragazzo: ne (di lui) conosco tutta la vita.

Carlo l’è on pôvar fiö: ne cunùs tüta ra vìta

E di Maria? Perchè non ne (di lei) parli?

E d’Marìa ? Parchè at ne pèral mìa?

Ho scritto un libro, ora te ne (di esso) dico la fine.

Hô scrìt on lìbar, adès at ne dìś ra fìn.

Plurale: di loro, di essi, di esse.

Esempio:

Ho visto molti ragazzi, ma ne (di loro) conosco pochi.

Hô vist tànti fiö, ma ne cunùs pôchi.

Quando corrisponde all’italiano « ne » nel senso di « di ciò, di questo » :

Parlamene. Ne hai molte ? Cosa ne dici ?

Pèrlaman . Gh’n’ het a bòta? Côśa ne dìśta?

Anche pleonastico:

Ne hai di soldi! Ne dice di parole!

Ta gh’n’hé di sôd! U ne diśa d’e paròl!

Quando corrisponde all’italiano « ne » nel senso di «da qui, da là»

( particella pronominale di luogo ):

Sono andato a Roma, ma me ne sono ripartito subito.

Sôn andàt a Rùma, ma m’ne sôn gnìd via sübit.

Non so come uscirne!

An sôn mìa cme gnìn föra!

N.B.: La particella atona « ne » non va confusa con la congiunzione copulativa negativa

« né » :

Né io né tu. Non è né carne né pesce !.

Né me né te An l’è né chèran né pès!

Quando le particelle pronominali seguono il verbo, formando con esso una sola parola, si dicono enclitiche.

Ciò avviene :

a )Quando esse sono complementi di un imperativo presente:

Parlami = Pèrlam Venitemi a prendere = Gnìm a piè

Pensaci = Pénsagh’

b )Quando sono complementi di un infinito:

Parlarti = Parlèt Parlargli = Parlègh

Camminargli vicino = Caminègh’a vśìn

Pronomi tonici complemento e pronomi atoni soggetto

di me mi fido d’mé am fìd.di me ti fidi ad mé at ta fìd

di te mi fido ad té am fìddi te ti fidi ad té at ta fìd

di lui mi fido ad lü am fìd. di lui ti fidi ad lü at ta fìd

di noi mi fido ad nün am fìd di noi ti fidi ad nün at ta fìd.

di voi mi fido ad viètar am fìd

di loro mi fido ad lu am fìd di loro ti fidi ad lu at ta fìd.

di me si fida (lui) ad me u s’ fìda.

di te si fida (lei) ad te a s’ fìda.

di lui si fida ad lü u s’ fìda.

di noi si fida ad nün u s’fìda.

di voi si fida ad viètar u s’fìda.

di loro si fida ad lu u s’ fìda.

Il pronome « Ghe »

Merita una particolare attenzione in quanto usato nel nostro dialetto con significati diversi.

Il pronome «ghe» è una particella atona, priva di accento e ha bisogno di appoggiarsi o al verbo che la precede o ad un pronome.

Il pronome «ghe» davanti ad un verbo che incomincia con vocale o con «h», si elide e perde cioè la «e» finale e a lui si appoggia nella pronuncia :

Esempio: u gh’avrìsa da dìt ona rôba avrebbe da dirti una cosa

a gh’hô dàt on lìbar gli ho dato un libro

Quando invece il verbo incomincia con consonante il « ghe » pur perdendo sempre la «e» finale si appoggia come pronuncia al pronome atono che lo precede.

Esempio: A gh’ dô on lìbar gli dò un libro

U gh’ dìśa tüt gli dice tutto

Quando si accoppia con i pronomi la, lo, li, le e la particella pronominale ne, perde sempre la « e » esi muta in:

Glielo = ghu, gh’l’, ghōl

Gliela = gha, gh’l’, ghal

Glieli = ghi

Gliele = ghe, gh’, ghia

Gliene = gh’ne, gh’n’, gh’na

Esempi :

Glielo dite Ghu dśì Gliel’ho data Gh’l’hô data

Diglielo DighōlGliela date? Gha dìv?

Glieli dai? Ghi dét?Dagliele Dàghia

Gliele dai? Ghe dét?Dagliene Dàgh’na

Gliene dai? Gh’ne dét? Gliela dite Gha dśì

Daglieli DàghiaGliel’ ho dato Gh’l’hô dàt

Glielo dite? Ghu dśìv?Digliela Dìgh’la

Il « ghe » può essere:

a) Pronome personale complemento (dativo)

Viene usato come complemento di termine sia al femminile sia al maschile e serve anche per il plurale di ambedue i generi . Corrisponde ai pronomi italiani « gli – le – loro ».

Esempi:gli do un libro agh dô on lìbar

le darei un bacio agh darìsa on baśìn

b) Particella avverbiale di luogo:corrisponde alla particella « ci – vi »

Esempi:io abito a Bobbio e ci sto bene

me stô a Bòbi e gha stô bèn

quando vieni a Bobbio? Ci vengo domani.

quànd vègnat a Bòbi? A gh vègn dmàn

Viene anche usata frequentemente (come in italiano) con il verbo « iès »:

Esempi:

in questa casa ci sono tante grida en cùla cà ché a gh‘è on gràn śgaśarè c’era una volta …. a gh’éra ona vôta

c’è n’è di piùgh’n’è püsè

c) Come enclitica:

Esempi:ho dovuto metterci del mio m’è tuchè mètgha d’u mé

ci può essere anche lui u pö ièsgha ànca lü

vacci oggigh’ incö

d) Particella pleonastica

Esempi: non ci vede u’n gha vèda mìa

non ci sento da un’orecchia an ghant mìa d’ona ôrìcia

non ci vado più an gha vô pö

e) Pronome dimostrativo:corrispondente all’italiano « ci – vi »

Esempi:non ci (a ciò) credi an ta gha crèd mìa

non ci (a ciò) penso an ghans mìa

non ci (a ciò) poteva far niente an gha pudìva mìa fè gnént

f) Particella accompagnatoria del verbo « avèi » quando non viene usato come ausiliare ed ha il senso di possedere

Esempi:io ho avuto me gh’hô avìd

hai fame?gh’ hét fàm?

dovevo andare a casa a gh‘èva d’andè a cà

Osservazioni: questo uso di «ghe» con «avèi» è tipico del dialetto e molte volte influisce sull’italiano parlato.

Qualche volta si ode ciò avuto, ciò fame, ecc.

Le particelle pronominale: mi, ti, si, ci, vi,

quando si accoppiano con i pronomi lo, la, li, le e la particella ne, si mutano come segue :

mi

Me lo impresti? mu prèstat?.

Me l’ha dato Mario u m’l’ ha dàt Màrio.

Fammelo vedere! mōl vèd!

Me la fai vedere? ma fét vèd?

Me l’ha data Mario u m’l’ ha dàta Mario.

Fammela vedere! m’la vèd!

Me li fai vedere? mi fét vèd ?.

Me li ha dati Mario u mi ha dàt Màrio.

Fammeli vedere! mia vèd!

Me le fai vedere? me fét vèd?

Me le ha date Mario u mi ha dàt Màrio.

Fammele vedere! famia vèd !.

Dammene ancora! m’n’ ancamò!

Me ne dai ? m’ne dét?

ti

Te lo presto tu prèst.

Te l’ho dato t’l’hô dàt.

Vedrò di fartelo avere vidrô d’fètōl avèi.

Te la presto ta prèst.

Te l’ho data t’l’hô dàta.

Vedrò di fartela vedere vidrô d’fèt’la vèd.

Te li presto ti prèst.

Te li ho dati ti hô dàt.

Vedrò di farteli vedere vidrô d’fètia vèd.

Te le presto te prèst.

Te le ho date ti hô dàt.

Vedrò di fartele vedere vidrô d’fètia vèd.

Te ne presterò ancora t’ne prestarô ancamò.

Portartene purtèt’na.

si

Se lo mangia u s’langia.

Se l’è preso u s’l’è piè.

Mangiarselo mangèsōl

Se la prende u s’la pìa.

Se l’è presa u s’l’è piè.

Prendersela piès’la.

Se li gode u sia gôda.

Se li è presi u si è piè.

Goderseli gôdsia.

Se le gode u sia gôda.

Se le è prese u si è piè.

Godersele gôdasia.

Se ne va u s’ne và o u se n’và.

Andarsene andès’na.

Particella passivante: che dà significato passivo al verbo.

I negozi si aprono di buon mattino.

I nìgosi i s’ drèva a ra maténa bônùra.

Le patate si comprano a chili.

E patèt e s’ cròmpa a chìlu.

Pronome indefinito: viene usato solo alla III persona singolare e precede sempre il verbo:

In casa mia non si fuma.

En cà mìa an sa füma mìa

Si è mangiato male.

A s’è màngè mè.

Non gli si può dire niente.

An sa gh pö dì gnént.

ci(a noi)

Ce lo fai vedere? ghu fét vèd?

Ce lo ha dato u gh’l’ha dàt.

Ce la fai vedere? gha fét vèd?

Ce l’hai data a gh’l’het dàta.

Ce li dai? ghi dét?

Ce li hai? ghi het ?

Ce le dai? ghe dét?

Ce le hai? ghi het?

Ce ne dai? gh’ne dét?

Ce ne hai? gh’n’ het ?.

Daccene! gh’na!

Come avverbi di luogo:

Siamo a Bobbio e ci stiamo bene Sùma a Bòbi e gh’a stùma bèn.

Quando vieni a Milano? Ci vengo domani Quànd vègnta a Milan ?A gh vègn dmàn.

Come enclitica:

Ho dovuto mettercene del mio M’è tuchè mètghan d’u mé.

Ci può essere anche lui U pö vèsgha ànca lü .

Come particella pleonastica .

Non ci vede An gha vèda mìa.

Tu a tuo figlio non ci pensi? Té a u tò fiö an gha pénsat mìa?

Non ci sento An gha sént mìa.

Come pronome dimostrativo:

Non ci ho fatto caso An gh’hô mìa fàt chèś.

Non ci penso nemmeno An gha péns gnànca.

Non ci credi? An t’gha crèd mìa?

Pronome reciproco:

Ci vogliamo bene As vurùma bèn

Ci siamo salutati As sùma salutè

vi

Ve lo dico vu diś.

Ve l’ha detto u v’l’ha dìt.

Dirvelo vōl.

Ve la dico v’la dìś.

Ve l’ha data u v’l’ha dàta.

Dirvela v’la.

Ve li mando vind.

Ve l’ha data u v’l’ha dàta

Ve li ha dati u vi ha dàt.

Mandarveli manvia.

Ve le mando vend.

Ve le ha date u vi ha dàt.Darvele via.

Ve ne do v’ne dô.

Ve ne è ancora a gh’n’è ancamò.

Darvene v’na.

Queste particelle pronominali accoppiandosi con lo – la – li – le – ne in fondo ad un verbo all’infinito o all’imperativo presente diventano:

dirmelo mōldirmela mla dirmeli miadirmele mia

dirtelo tōl dirtela tladirteli tiadirtele tia

– dirselo sōldirsela sladirseli siadirsele sia

dircelo nōldircela nladirceli niadircele nia

dirvelo vōldirvela vladirveli viadirvele via

dirglielo gōldirgliela gladirglieli ghia dirgliele ghia

La particella « ne » diventa:

dirmene mnadirtene tnadirgliene ghnadircene nia

dirvene vnadirgliene ghna

Esempi: Mi sono arrabbiato, voglio dirgliene quattro!

Am sôn rabiè, vöi dighna quàtar!

Se ne sono dette!

Is n’èn dìt!

La particella riflessiva di terza persona < sè>

in italiano si usa quando il pronome si riferisce al soggetto della proposizione in cui si trova.

Esempi: Disse a Ugo che il compito lo aveva fatto da sè.

Carla mi voleva con sè.

Mario aveva con sè molti amici

In bobbiese invece si usa

L’èva dìt a Ugo che ar còmpit u l’èva fàt da sùl (o da par lü)

Càrla am vurìva cón

Màrio u gh’èva cón lü tànti amìś

N.B. = Non bisogna confondere il pronome « se » con la congiunzione:

Se mia nonna fosse viva, avrebbe cent’anni

Se me nòna a fisa vìva, a gh’avrìsa sént’àn.

I pronomi relativi

I pronomi relativi riferendosi ad un nome o ad un pronome di una proposizione antecedente, mettono in relazione o congiungono la proposizione alla quale appartengono con quella antecedente :

Che = che

è invariabile, vale per il maschile come per il femminile, per il singolare come per il plurale, significa secondo i casi: il quale, la quale, i quali, le quali .

Si usa, di regola, soltanto come soggetto e come complemento oggetto.

Eccezionalmente può essere usato invece di «in cui» con valore temporale e «per cui» (mezzo):

Esempi :

Ho visto un bambino che piangeva Hô vìst on fiulìn ch’u pianśìva

Il ragazzo che hai visto è mio nipote U fiö ch’at t’he vìst l’è u mé nvùd

Un giorno che (in cui) ero solo On dé che s’éra da par mé

Ti faccio vedere una strada attraverso la quale arriverai subito

At fô vèd ona strè che at farà rivè sùbit

Cui = che

è invariabile, serve per il maschile e per il femminile, per il singolare e per il plurale.

Si adopera soltanto come complemento indiretto, mai come soggetto e nemmeno come complemento oggetto.

Esempi:

L’uomo a cui davi la chiave, chi è? L’òm ch’at gha dèv ra cièv, chi èl?

Quella questione di cui ti ho parlato ieri Cùla quistiòn ch’at n’hô parlè iér

Il grano con cui si fa il pane Ar gràn ch’as fà ar pàn

I pronomi misti

Il pronome « chi », è un pronome misto invariabile, singolare, sia maschile, sia femminile: ha valore di pronome dimostrativo (colui, colei) e di pronome relativo.

Chi , colui, il quale = chi, cùl ché

data la sua qualità di pronome misto, può essere:

– soggetto di due proposizioni:

Chi ha studiato è contento

Cùl ch’ha stüdiè l’è connt,ma si ode anche, cùl ch’l’ha stüdiè l’è connt

Chi ti ha detto questa cosa è un bel pagliaccio

Cùl ch’u t’ha dìt cùla rôba lé, a lè on bèl paiàs

– complemento di una proposizione e soggetto di un’altra:

Stimiamo chi lavora

Nün a stimùma chi a lavùra

– complemento di una proposizione e complemento della stessa specie di un’altra:

Doniamo il libro a chi lo usa

Nün a dùma u lìbar a chi la dröva

Nün a dùma u libar a chi ul dröva

Pronomi interrogativi

Servono a chidere il nome di una persona, di un animale, di una cosa, con una domanda diretta o indiretta. Sono:

Chi che cosa quale quali quanto quanta quante quanti

Un’alternativa a « côśa » è « rôba » :

Che cosa è? Che rôba èla? Côś’èla?

Cosa dici? Côś dìśta?

Essi si pongono sempre in principio di proposizione.

Esempi:

Chi è? Chi èl?

Che fai? Côśa fét?

Che cosa fai? Côśa fèt? che rôba fèt?

Cosa è successo? Côś’è sucès? côś’èl sucès?

Quali sono? Quàr èi?

Qual’è? Quàr èl?

Quanto costa? Quànt’a cùsta?

quànt a cùstla (rivolto a cosa femminile)

Quanto costa? Quànt custōl? (rivolto a cosa maschile)

Quante sono? Quànt’ èia?

Quanti sono? Quànt’èi?

I pronomi esclamativi

I pronomi esclamativi introducono un’esclamazione. Sono:

Che côśa quànt quànta quànti cme

Esempio:

Che bèllo! Che bèl!

Cosa hai mai detto! Côśa t’hé mèi dìt!

Quanto costa! Quànt custal!

Quante belle cose! Quànta bèla rôba!

Quanti erano! Quànti i éra!

Quanto è brutto! Cm’a l’è brüt!

Essi si pongono sempre all’inizio della proposizione.

I pronomi possessivi

hanno la stessa forma degli aggettivi possessivi ed indicano a chi appartiene una persona, cosa o animale. Sono :

1° persona 2° persona 3° persona

Sing. il mio il nostro il tuo il vostro il loro il proprio l’altrui

u mé u nòstra u tò u vòstar u sò u sò

la mia la nostra la tua la vostra la loro la propria

a mia a nòstra a tua a vòstra a sò a sua

Plur. i miei i nostri i tuoi i vostri i loro i propri gli altrui

i mé i nòstar i tò i vòstar i sò i sò

le mie le nostre le tue le vostre le loro le proprie

e mi e nòstar e tu e vòs e sò e sù

Pronomi dimostrativi

I pronomi dimostrativi (detti anche « indicativi ») indicano il luogo dove si trova una cosa o un animale o una persona

italianoBobbiese

persona cosa

Per indicare che la cosa oquesto che lü cùsti ché

la persona è vicina a noi questa che lé cùsta ché

che parliamo questi chìsti ché chìsti ché

queste chìsti ché chìsti ché

– Per indicare che la cosa o quello lé lü cùl là

la persona è lontana da noi quella lé lé cùla là

ed anche da chi ascolta quelli lé lù chìl là

quelle lé lù chìl là

Esempi: dàm cùsti; dàm cùsta; dàm chìsti.

ciàmam cùl là; ciàmam cùla là; ciàmam chìl là.

Nella parlata si usa anche la forma contratta:

– Ca rôba là, ca rôba lé, che rôb là, che rôb lé,

– Cu paìś là, cu paìś lé, chi paìś là, chi paìś lé

Quando occorre determinare una relazione di identità e di somiglianza:

Italiano altro altra altri altre

Bobbiese ètōr ètra ètōr ètar

Italiano il tale la tale i tali le tali

Bobbiese u tèl a tèl i tèl e tèl

Esempi: dàmna on ètar; dàmna on ètra; dàmna d’i ètar.

Ch èl? On tèl; ch’èia? D’i tèl.

I pronomi indefiniti

Indicano in modo approssimativo, indeterminato, persone, cose, animali. Sono formati nella maggior parte da aggettivi indefiniti, quando questi sono usati da soli e fanno le veci di un nome.

sono soltanto pronomi sono pronomi ed aggettivi

uno una altro altra altri altre

ün üna ètar ètra ètor ètar

qualcuno troppo troppa troppi troppe

queicdün tròp tròpa tròpi tròpi

ogni tanto tanta tanti tante

tüt itant tanta tanti tañti

ognuno tutto tutta tutti tutte

ognidün tüt tüta tüti tüti

chiunque quanto quanta quanti quante

chiunque quant quanta quanti quanti

chicchessia altrettanto altrettanta altrettanti altrettante

chichésia ètartant ètartanta ètartant ètartant

altri (singolare) nessuno nessuna

ètor nsün nsüna

qualcosa certi

queicôśa sèrti

niente tale tale tali tali

gnént on tèl ona tèl d’i tèl d’e tèl

L’avverbio

Se il verbo indica un’azione, l’avverbio invece la precisa e con il verbo forma unità. Oltre che il verbo, con l’avverbio possiamo determinare un aggettivo o un altro avverbio, dando loro particolari significati.

Esempio: Colombanino scrive benissimo

Crombanìn u scrìva benìsim

Il tuo amico è un uomo abbastanza bravo

U tò amìś l’è on òm bastànsa brèv

Gino e Maria studiano poco seriamente

Gino e Maria i stüdia pôch seriamént

Gli avverbi possono essere:

di modo: bòn(buono), mèi (meglio), benìsim (benissimo), seriamént (seriamente), ecc.

di affermazione: (si), sicüramént (certamente), pròpi (proprio), dabòn (davvero), ecc.

di tempo: dmàn (domani), adès (adesso), iér (ieri), dsé dès (poco fa), incö (oggi), ecc.

di negazione: no (no), gnànca (nemmeno), mèi (mai), ecc.

di luogo: ché(qui),(là), (lì), sùra(sopra), sùta (sotto); föra (fuori), vśìn (vicino),ntàr (dentro), ecc.

di dubbio: sé mèi (semmai), chisà (chissà), ecc.

di quantità: bastànsa(abbastanza),ancamò(ancora), asè (abbastanza), quèśi (quasi), püsè (di più),nt (tanto), pôch(poco), ecc.

possono inoltre aggiungere qualche cosa ad un verbo o ad una frase:Gnan (ancora)

o indicare una somiglianza: c’me( come ), adsé (così )

Tra gli avverbi di luogo vanno ricordate le particelle «ci, vi, ne » che non possono essere confuse con le particelle pronominali di uguale forma:

Esempi:Tu non ci pensi che… te an t’a gh’a péns mìa che…

Qui ci siamo noi ché gh’a stùma nün

Non vi sto bene an gh’a stô mìa bèn

Me ne vado via m’né vô vìa

Tra gli avverbi di negazione si osservano il « no » atono e il « nò » tonico, negli altri casi il «non» italiano viene sostituito da « mia »:

Esempi:

Non tutti sanno nuotare mìa tüti i sàn nüdè

Ti piace camminare? Non tanto at pièśa caminè?Mìant

Non è brutto quel ragazzo An l’è mia brüt cùl fiö lé

Vieni a casa? Vęgnàt a cà?

Non gliel’ho detto an gh’l’hô mìa dìt

La doppia negazione: in italiano si usa il «non» quando nella frase ci sono parole negative come nessuno, niente, mai, né, ecc. poste dopo il verbo, nel bobbiese

Esempio:

Non ho visto nessuno a n’hô vìst ansün

Non ho mangiato niente a n’hô màngè gnént

Non abbiamo preso neanche un pesce a n’uma ciapè gnànca on pès

Non sono andati a casa in chiesa a n’ièn mìa andàt né a cà encésa

La negazione « né » si pronuncia come in italiano

Esempio:Non sei carne pesce an t’è chèran pès

La negazione « pö » in dialetto premette al verbo l’atono « non »

Esempio:A casa non ci vado più a cà an gha vô

La negazione « mai » in dialetto « mèi »

Esempio: Chi l’avrebbe mai pensato chi l’avrìsa mèi pēn

Conosci Mario? Mai visto cunùsta Mario? Mèi vìst

Locuzioni avverbiali

Oltre agli avverbi veri e propri possiamo ricorrere ad espressioni formate di due o più parole legate tra loro, che assumono valore avverbiale. Eccone alcune:

di modo:a ra bèl e mèi (alla meglio), ad cùrsa (di corsa), a pé (a piedi), a quàtr’ öc (a quattr’occhi), ecc.

di quantità: a pôch a pôch (a poco poco), ad pö (di più). ecc.

di luogo: ad sùra (di sopra), ad sùta (di sotto), a vśìn (vicino), ad fiànch (di fianco), ecc.

di affermazione: par dabòn (per davvero), sì sicüramént (si certamente), sicüra che (certo che). ecc.

di tempo: dsé dès (poco fa), a muménti (tra poco), quèiche vôta (qualche volta), ona vôta ol’ètra (una volta o l’altra), l’è bèl e partìd (è gia partito), ecc.

di negazione: nò dabòn (no davvero),gnént afàt(niente affatto), gnànca par sögn (nemmeno per sogno), ecc.

– di dubbio: par chèś(per caso), quèśi quèśi(quasi quasi), ecc.

Locuzioni prepositive

nascono dall’unione di un avverbio e una preposizione; di un nome con una preposizione.

Le più comuni sono:

föra da, vśìn a, lòntan da, dréra a, ènsèma a, en mèś a, rispèt a, par chèuśa ad, entùran a, ecc.

Il verbo

È la parte del discorso variabile, che definisce un’azione, fatta o subita, od una condizione. Possono essere:

Intransitivi

Quando esprimono in modo completo l’azione di una persona, cosa o animale, e l’azione si esaurisce nel medesimo soggetto che la compie e non passa in un complemento oggetto.

Esempio: me (a) camén (io corro)

il pronome atono impersonale può essere tralasciato.

Transitivi

Quando l’azione compiuta dal soggetto passa su uno o più oggetti .

Esempio: me (a) lèg on lìbar (io leggo un libro)

Possono avere:

la forma attiva

quando il soggetto compie l’azione; possono averla sia i verbi transitivi, sia quelli intransitivi.

Esempio: me lèv i pàgn (io lavo i panni)

me (a) camén(io corro)

la forma passiva

quando il soggetto subisce o riceve da parte di altri l’azione espressa dal verbo.

Esempio: i pàgn ièn stàt lavè (i panni sono stati lavati).

nel dialetto, alcune volte, la forma passiva si rende con la forma attiva.

Esempio: i m’han vüśè (sono stato sgridato)

la forma riflessiva

Si divide:

Riflessiva propria:quando l’azione compiuta dal soggetto ricade sul soggetto stesso

Esempio: lü u sa spècia (egli si specchia).

la forma riflessiva apparente:quando il soggetto non coincide con il complemento oggetto. Il verbo è transitivo.

Esempio: me am màng on tòch ad pàn (mi mangio un pezzo di pane)

la forma riflessiva reciproca

Esempio: Mario e Gina i s’ vö bèn (Mario e Gina si amano)

nella scrittura troviamo opportuno unirlo al pronome atono: is

la forma pronominale

è una variante della forma riflessiva in quanto questa azione o questi sentimenti si esercitano sul soggetto stesso.

Esempio:

me am lèv qui il verbo è transitivo la forma è quindi riflessiva.

me am diś qui il verbo è intransitivo la forma quindi è pronominale.

La coniugazione del verbo

Le variazioni del verbo, durante un discorso, rispetto alle persone, ai modi ed ai tempi si chiamano coniugazioni.

Quando il verbo viene coniugato, in italiano una parte, il tema, rimane immutata, mentre un’altra parte, la desinenza, varia secondo la coniugazione, il modo, la persona, il numero.

I verbi italiani si riuniscono in quattro gruppi, ognuno dei quali segue una propria coniugazione.

Per distinguere a quale coniugazione appartiene un verbo si guarda con quale desinenza termina il tempo presente del modo infinito.

Se il latino e l’italiano presentano quattro coniugazioni, il bobbiese ne indica solo tre.

con. lat. Desinenza verbo italiano desinenza verbo bobbiese

I are cantare è cantè

II ere vedere – vèd

III ere scrivere – scriv

IV ire finire ì finì

In bobbiese non c’è una differenza tra la II e la III coniugazione, inoltre, se in italiano il «tema» resta invariato, tranne che per i verbi irregolari, nel nostro dialetto invece notiamo delle eccezioni con variazioni di lettere che da «è» si trasformano in «a», e da «o» in «u»; inoltre, molte volte nella pronuncia, spostandosi l’accento tonico da una vocale all’altra, la prima vocale che perde l’accento, diventa muta:

Esempio:

Il presente indicativo del verbo « baśè »è mé bèś

L’imperfetto invece mé baśèva

Il presente indicativo del verbo « śmursè » è mé śmôrs

L’imperfetto invece mé śmursèva

Il presente indicativo del verbo« vèd » è me vèd

L’imperfetto indicativo è me v’dìva

Nella prina coniugazione la desinenza italiana in « are », in bobbiese diventa « é ».

Nella seconda coniugazione la desinenza italiana in « ere », in bobbiese cade e nel tempo passato del modo infinito è rimasto solo il « tema ».

Nella terza coniugazione con desinenza in « ire » in bobbiese diventa « ì ».

Le desinenze della I coniugazione sono:

Singolare Plurale

1 2 3 1 2 3

Presente indicativo: a uma ì a

Imperfetto indicativo: èva èv èva èvma èv-va èva

Futuro anteriore: arô aré arà arùma arì aràn

Condizionale presente: arìsa arìs arìsa arìsma arìsta arìsa

Congiuntivo presente: a – a uma ì a

Congiuntivo imperfetto:isa is isa isma isva isa

Le desinenze della II coniugazione sono:

Singolare Plurale

1 2 3 1 2 3

Presente indicativo: – – a uma ì a

Imperfetto indicativo: ìva ìv ìva ìvma ìv-va ìva

Futuro anteriore: arô aré arà arùma arì aràn

Condizionale presente: arìsa arìs arìsa arìsma arìsta arìsa

Congiuntivo presente: a – a uma ì a

Congiuntivo imperfetto: isa is isa isma isva isa

Le desinenze della III coniugazione sono:

Singolare Plurale

1 2 3 1 2 3

Presente indicativo: ìs ìs ìsa ùma ì ìsa

Imperfetto indicativo: ìva ìv ìva ìvma ìv-va ìva

Futuro anteriore: irô iré irà irùma irì iràn

Condizionale presente: irìsa irìs irìsa irìsma irìsva irìsa

Congiuntivo presente: isa is isa uma ì isa

Congiuntivo imperfetto isisa isis isisa isisma isisva isisa

Il congiuntivo imperfetto, nelle terza coniugazione, non esiste per la maggioranza dei verbi.

L’Indicativo

L’indicativo è il modo della realtà.

Il tempo presente

Indica: l’azione del verbo nel momento in cui si parla:

Adès a scrìv (ora scrivo)

ma anche uno svolgersi virtuale:

Mé śiu u scrìva on lìbar (mio zio scrive un libro)

o il ripetersi periodico, un’azione abituale:

Mario u gìra tüt ar dé (Mario gironzola tutto il giorno)

ma può indicare persino il futuro:

Dmàn vègn a Rùma (domani vengo a Roma)

o il passato ( specialmente nei racconti ) sostituendo anche il passato remoto:

E dòp lü um dìśa…(e poi lui mi dice…)

o una citazione o un detto:

Ar Signùr u na dìśa ad vurèisa bèn (il Signore ci dice di volersi bene)

o esprimere un comando o un desiderio:

Adès at tèś e at ma sté a sentì (adesso taci e mi ascolti)

ma anche

Adès at tèś e at ma dé da trè

Nel dialetto per esprimere un’azione che si svolge mentre si parla si può anche usare la locuzione «iès adré» (forma progressiva):

Côś fét? Sôn drér’ a scrìv! (Cosa fai? Sto scrivendo!)

L’Imperfetto

L’imperfetto indica un’azione del passato ed esprime:

a ) Lo svolgersi di un’azione del passato, il perdurare di essa messa a confronto con un’altra. In questo caso si può anche usare la forma progressiva con la locuzione « iès adré », naturalmente con il verbo all’imperfetto:

Ennt ch’a l’gìva, Mario u sunèva u viülìn (intanto che io leggevo, Mario suonava il violino)

come si vede anche l’azione confrontata viene espressa all’imperfetto se si vuole indicarne la durata.

b ) Serve in un racconto a descrivere un’azione, un modo, una situazione che accompagna l’azione principale:

A piuvìva e nün as suma tüt bagnè (pioveva e noi ci siamo bagnati molto)

c ) Serve ad esprimere l’abitudine nel passato:

Me andèva a teàtar tüti i dé (andavo tutti i giorni a teatro)

I me vèc i fümèva cme d’i türch (i miei vecchi fumavano come turchi)

d ) Serve anche ad esprimere:

1 ) Il condizionale passato: At pudìv ànca scrìvma ona cartuléna !

T’avrìs pudìd scrìvma ona cartuléna!.

2 ) Il congiuntivo trapassato: Se at ma dèv da trè!

Se at m’avìs dàt da trè!

e ) In casi limitati esprime anche una domanda o un desiderio: Vurìva on tòch ad pàn

f ) O a sostituire il passato remoto: Ent ar 1810 murìva Napuleòn

Il Passato prossimo

Formato dai verbi ausiliari « iès » o « avèi » nel dialetto oltre a servire un’azione che si è svolta di recente, viene utilizzato per indicare anche il «passato remoto» in quanto questo manca nel dialetto bobbiese.

L’è mórt vént’àn fà

Morì vent’anni fa

S.Culombàn l’è mórt a Bòbi i 23 ad nuvémbar d’ar 615

S.Colombano è morto a Bobbio il 23 novembre 615

Il Futuro semplice

a ) Indica un’azione che si svolgerà nel futuro:

Dmàn pàsa andrô a Milàn (domani l’altro andrò a Milano)

b ) Ma anche un’ordine o un comando dato con una certa forza:

Adès at gniré sübit da mé, adsé t’empararé! (adesso verrai subito da me, così imparerai!)

c ) Può anche esprimere una supposizione o una concessione:

Cùl ch’at dìś u sarà ànca vèira, ma mé an ta crèd mìa! (quello che dici sarà anche vero, ma io non ti credo!)

Osservazione

1 ) Il presente, come abbiamo già detto, viene utilizzato anche quando esprime il futuro:

Dmàn a vègn a truvèt ( domani verrò a farti visita)

2 ) La locuzione « iès lé lé par » indica l’incombere di un’azione (stare per) o l’intenzione di compierla immediatamente, ma questa locuzione viene utilizzata anche per esprimere anche l’imminenza di un’azione nel passato:

S’éra lé lé par vuśèt! (sono stato sul punto di sgridarti)

Il Trapassato prossimo

Questo tempo usato con gli ausiliari « iès » o « avèi » uniti al participio del verbo in questione, esprime un’azione che si è svolta prima di un’altra, pure passata.

In dialetto viene usato anche in sostituzione del trapassato remoto che in dialetto non esiste.

Mé séra apéna partìd, quànd ha tachè a piöv

Ero appena partito, quando comiciò a piovere

Èvma apéna màngè quànd l’è rivè Lisàndar

Avevamo appena mangiato, quando arrivò Sandro.

Il Futuro anteriore

È un tempo composto dal futuro semplice del verbo ausiliare « iès » o « avèi » e dal participio del verbo interessato :

1) Esprime un’azione che avverrà nel futuro prima che ne avvenga un’altra sempre futura:

Quànd a partirùma, lé lü u sarà śamò rivè (quando partiremo, egli sarà già arrivato)

oppure presuppone la conclusione futura di un’azione:

Mé sôn dréra a lèg on lìbar, mé péns che a trì bòt l’avrô finìd (sto leggendo un libro. penso che lo terminerò alle tre)

2) Esprime anche una supposizione o una valutazione con riferimento ad un’azione che sarebbe dovuta avvenire nel passato

A gh’l’hô bèn dìt, ma an sô mìa côśa l’avrà capìd .(Glielo ho ben detto, ma non so cosa avrà capito).

Il Congiuntivo

Il congiuntivo è il modo che esprime il dubbio, il desiderio, l’esortazione desiderata o supposta di un’azione.

Al congiuntivo può trovarsi sia il verbo di una proposizione principale sia quello di una proposizione dipendente.

Nelle proposizioni principali può esprimere:

1) Un desiderio,e il tempo in questo caso è solitamente il presente:

Vìva Bòbi! (Evviva Bobbio!)

Ché lü u pôsa iès connt! (Che possa essere contento!)

Se il desiderio è irrealizzabile o difficile da realizzarsi si usa il congiuntivo imperfetto:

S’u fìsa ché lü! (se fosse qui lui!)

Pasiénsa, fìsal alménu gnìd da par lü! (Pazienza, fosse almeno arrivato da solo!)

2) Un dubbio, circa la possibilità che un’azione avvenga:

Ch’a gh’ sìa capitè ona disgrasia?(Che gli sia capitata una disgrazia?)

Ch’u gh’àbìa avìd paüra? (che abbia avuto paura?)

3) Un’esortazione, se viene espresso in forma energica il congiuntivo presta la sua forma all’imperativo:

Ch’u dìśa ra vritè! (Che dica la verità )

Nelle proposizioni dipendenti il congiuntivo viene più frequentemente usato nelle proposizioni secondarie di vario tipo:

1) Nelle proposizioni soggettive collegate alla principale mediante la congiunzione « che », dopo verbi impersonali o locuzioni verbali che esprimono « opinione »:

L’è mèi ch’u pìa ona dòna (È meglio che prenda moglie)

Bśögna ch’u vègna ché sübit (Bisogna che venga subito)

Quando si esprime un concetto non riferito a persone determinate si può anche usare l’infinito:

Bśögna an(Occorre andare)

2) Nelle proposizioni soggettive ed oggettive dopo verbi o locuzione verbali che esprimono «timore, gioia o simili sentimenti» la proposizione dipendente è introdotta da « che »:

Gh’hô pagüra ch’un sìa mìa rivè (Temo che non sia arrivato)

Am dispièśa ch’u sìa partìd. (Mi dispiace che sia partito)

Sùma connt ch’u sìa rivè (Siamo contenti che sia arrivato)

Se la principale e la secondaria hanno lo stesso soggetto, il verbo della proposizione secondaria va all’infinito:

Gh’hô paüra d’avèi fàt ona brüta figüra (Temo di aver fatto una brutta figura)

n connt da partì (Sono contento di partire)

Am dispièśa dìtōl (Mi spiace dirtelo)

3) Nelle proposizione oggettive dopo verbi o locuzioni verbali che esprimono volontà, desiderio, speranza, esse sono congiunte alle principali con la congiunzione « che »:

A vöi ch’u vègna cón (Voglio che venga con me)

Vurùma ch’at vègn a cà (Vogliamo che tu venga a casa)

Spér ch’at ma pègh (Spero che tu mi paghi)

Se la principale e la dipendente hanno lo stesso soggetto, il verbo di quest’ultima va all’infinito:

Vurùma gnì cón(Vogliamo venire con te)

Vurìsa bèn savèi (Vorrei ben sapere)

T’aùgur da guarì (T’auguro di guarire)

4) Nelle proposizioni oggettive dopo verbi o locuzioni verbali esprimenti supposizione, dubbio, sospetto come crèd, pensè, dübitè, iès d’acôrdi, as dìśa, ecc., queste proposizioni sono collegate con la principale mediante la congiunzione « che »

ns ch’u na stàgha mìa bèn (Penso che non stia bene)

As dìśa ch’u sìa pròpi brèv (Si dice che sia proprio bravo)

An sôn mìa sicür ch’l’abìa paghè (Non sono sicuro che abbia pagato)

Sùma d’acôrdi ch’u vègna a cà mìa (Siamo d’accordo che venga a casa mia)

A péns che se u gh’avìsa avìd ra machìna, sarìsa stàt tüt divèrs (Penso che se avesse avuto la macchina, sarebbe stato tutto diverso)

Se la principale e la dipendente hanno lo stesso soggetto, il verbo della proposizione dipendente va usato all’infinito con la preposizione « da »:

ns da gnì dmàn (Penso di venire domani)

An sôn mìa sicür da pudèi paghè (Non sono sicuro di poter pagare)

U dìśa da iès malè (Dice di essere ammalato)

Osservazione: Quando l’azione della dipendente è futura rispetto a quella principale, il dialetto usa frequentemente l’indicativo futuro invece del congiuntivo:

Gh’hô paüra ch’u gnirà (Temo che venga)

ns ch’u gnirà dmàn (Penso che venga domani)

An crèd mìa ch’u scrivrà (Non credo che scriva)

5) Nelle proposizioni oggettive dipendenti da un qualsiasi verbo quando precedono la proposizione principale:

Ch’u sìa brèv, u vedrùma (Che sia bravo, lo vedremo)

Ch’a sìa ona fürba, u sèva ànca mé (che sia furba, lo sapevo anch’io)

6) Nelle proposizioni finaliintrodotto dalla congiunzione « parchè »:

A gh’hô dàt di sôd parchè u s’ crompìsa ona bèla màia (Gli ho dato dei soldi perchè si comprasse una bella maglia)

7) Nelle proposizioni concessive introdotto dalla congiunzione « ànca sé »:

Ànca sé u m’ha parlè adréra, l’hô pardunè (Anche se ha sparlato di me, l’ho perdonato)

8) Nelle proposizioni condizionali introdotte dalle congiunzioni «a pàt ché» e «mpar ché»:

U cròmp a pàt ché at ma fàgh on scönt (Lo compro a patto che tu mi faccia uno sconto)

A gnirô sémpar ch’an piöva (Verrò, sempre che non piova)

9) Nelle proposizioni temporaliintrodotte da« prìma ché », « dòp ché »:

Prìma ch’u vègna, a gh’hô da parlèt (Prima che venga, ti devo parlare)

Dòp ché l’è gnìd, u s’è fàt envidè (Dopo essere arrivato, si è fatto invitare)

Se la proposizione principale ha lo stesso soggetto della secondaria, si usa l’infinito preceduto da « prìma da »e« dòp da »:

Prìma dagnì, ta scrivarô (Prima di venire, ti scriverò)

Dòp d’avèita scrìt, am sôn pentìd (Dopo averti scritto, mi sono pentito)

10) Nelle proposizioni modali introdotto da«nsa ché »:

U gnirà sénsa ch’u ciàma (Verrà senza che lo chiami)

11) Nelle proposizioni relative introdotto da« qualsìasi»:

Par qualsìasi parsòna ch’a vègna, dìgh ch’an gha sôn mìa (Qualsiasi persona venga, dille che non ci sono)

12) Nelle proposizioni interrogative introdotto da « se », « parchè », «cmé»:

A n’u sôn mìa se l’è stàt a cà (Non so se è stato a casa)

A n’u sôn mìa parchè u sìa gnìd adès (Non so perchè sia venuto ora)

At gh’é da dìm cm’ u fà ad ès sémpar adsé tranquìl (Devi dirmi come fa ad essere sempre così tranquillo)

13) Nelle proposizioni consecutive introdotto dalla congiunzione « parchè » in correlazione con l’avverbio « tròp »:

U gh’ha tròp da fè parchè u pösagnì (Ha troppo da fare, perchè possa venire)

L’è tròp sùrd parchè u pösa séntat (È troppo sordo, perchè possa sentirti)

Il condizionale

Esprime un’azione che solitamente dipende dall’avverarsi di una condizione. Oggi è un modo usato frequentemente come formula di cortesia, per rendere meno decisa un’affermazione. Spesso si inizia l’esposizione con: vurìsa dì… oppure dirìsa che..

Il condizionale può trovarsi sia in una proposizione principale sia in una secondaria.

Nelle proposizioni principali può esprimere:

1) Un desiderio o una proposta con tono di gentilezza :

Mé vurìsa mèś d’u tò salàm (Vorrei mezzo del tuo salame)

Mé am pięśarìsa parlègh a quàtr’öc (Mi piacerebbe parlargli a quattr’occhi)

Mé avrìsa finìd, e té? (Io avrei finito e tu?)

A gh’avrìsa avìd ona vöia! (Avrei avuto un desiderio!)

2) Un’asserzione di dubbio:

Mé an dirìsa mìa ch’u gh’àbia raśòn (Io non direi che abbia ragione)

Mé vurìsa pròpi vèd se l’è adsé (Vorrei proprio vedere se è così)

Quando la proposizione principale usa un verbo al «condizionale presente» e la proposizione secondaria esprime un’azione contemporanea o posteriore alla principale, la secondaria usa un verbo al «congiuntivo imperfetto»:

Lü u vurìsa ch’at lavurìs püsè (Egli vorrebbe che tu lavorassi di più)

quando invece la proposizione secondaria esprime un’azione anteriore a quella della proposizione principale, allora usa un verbo al «congiuntivo trapassato»:

Lü u vurìsa ch’a t’avìs lavurè püsè (Egli avrebbe voluto che tu avessi lavorato di più)

Quando la proposizione principale usa un verbo al «condizionale passato» e la secondaria esprime un’azione contemporanea o posteriore a quella della principale allora la secondaria usa un verbo al «congiuntivo imperfetto»:

Lü l’avrìsa vurìd ch’at lavurìs püsè (Egli avrebbe voluto che tu lavorassi di più)

quando la secondaria esprime invece un’azione anteriore a quella della principale usa allora il «congiuntivo trapassato»:

Lü l’avrìsa vurìd ch’a t’avìs lavurè püsè (Egli avrebbe voluto che tu avessi lavorato di più)

Nelle proposizioni dipendenti:

1) Nel discorso indiretto quando l’azione espressa dalla proposizione dipendente è posteriore a quella espressa dal verbo principale e questo si trovi in un tempo passato, il verbo reggente sarà un verbo come « », «pen », « crèd », ecc. che esprimono un’opinione o un’affermazione :

U m’ha dìt ch’u sarìsa gnìd sübit (Mi ha detto che sarebbe venuto subito)

Mé pensèva ch’u sarìsa partìd dmàn (Io pensavo che sarebbe partito domani)

Nel dialetto si usa al posto del condizionale passato anche l’imperfetto indicativo o anche il congiuntivo imperfetto:

U m’ha dìt ch’u partìva sübit (Mi ha detto che partiva subito)

Mé pensèva ch’u partìsa dmàn (Io pensavo che egli partisse domani)

2) Nel discorso indiretto se il verbo della proposizione principale si trova al presente e quello della secondaria esprime un’azione con una condizione solitamente sottintesa:

A crèd ch’u sarìsa connt! sottinteso s’ul savìsa. (Se sapesse,credo che sarebbe contento)

Il Gerundio

Bisogna osservare che l’uso del gerundio nel dialetto bobbiese è molto meno frequente che in italiano. Nel dialetto ad una proposizione col verbo al gerundio se ne preferisce una col verbo finito (indicativo o congiuntivo) o con altre costruzioni:

– Piovendo starò a casa: Se piuvarà mé starô a cà.

– Andando a casa è caduto: Ennt che l’andèva a cà, l’’è caschè.

Il gerundio, se vogliamo, corrisponde alle seguenti proposizioni :

– Condizionali, nelle quali il gerundio può essere sostituito dalla congiunzione « se » seguita dal verbo in un modo finito o dalla preposizione « a » seguita dall’infinito :

– Piovendo staremo a casa : Se piüvarà nün starùma a cà.

– Pensandoci bene mi ricordo : A pensègh bèn, am ricôrd.

Causali, solitamente col gerundio passato, facilmente sostituibile con congiunzioni causali, parchè, sicùma, par vìa, vìst ché, e il verbo al trapassato prossimo:

– Essendo arrivato troppo tardi, non l’ho visto

sicùma séra rivè tròp tèrdi, an l’hô mìa vìst .

Concessive,facilmente sostituibile da un verbo in modo finito preceduto da una congiunzione concessiva (par quànt, cón tüt ché, anca sé),ecc.

– Anche essendo povero è contento

n tüt ché l’è pôvar l’è connt l’istès.

– Temporali,sostituibile da un modo finito introdotto da una congiunzione temporale quànd, ennt ché, apéna, prìma ché, da quànd, ecc.:

– Andando a casa ho visto Gigi

Ennt ch’andèva a cà hô vìst Gigi.

Modali,sostituibile dall’infinito preceduto dalla preposizione « a »:

– S’è coricata sul letto per traverso piangendo

-: A s’è crughè éns u lèt par travèrs a piànś.

L’imperativo

Il modo imperativo esprime un comando, una richiesta, una preghiera, un consiglio, una minaccia, ecc. e solitamente il significato dipende dal tono della voce e dal contesto della frase.

Nella coniugazione dell’imperativo, nel dialetto esiste solamente una forma di imperativo presente che per quanto riguarda la II persona singolare, la I persona e II persona plurale viene espresso con l’uso dell’indicativo presente:

Pérla!(Parla!) Parlùma! (Parliamo!) – Parlì! (Parlate!).

per quanto riguarda invece la III persona singolare e plurale viene usato il congiuntivo presente preceduto dalla congiunzione che :

Ch’u pérla cièr! (Parli chiaro!) – Ch’i pérla cièr! (Che parlino chiaro!).

per dare più forza al comando nel dialetto, unito al participio passato, vengono usati e coniugati dei verbi ausiliari. come ad esempio:

duvèi (dovere), mèt (mettere), tachè (incominciare), vardè (guardare)

Nel imperativo molto importante è il tono di voce che deve essere di comando.

L’Infinito

Il modo infinito esprime diverse funzioni :

Come sostantivo e può quindi essere preceduto dall’articolo, dal dimostrativo o dal possessivo. Può anche essere accompagnato da aggettivi, e può essere anche usato come soggetto o come complemento di ogni tipo :

– L’è pròpi on mangè da siùr.(È proprio un mangiare da signori)

– U tò parlè l’è da lùch. (Il tuo parlare è da poco furbo)

Ar parlè, ar mangè, ar bèiv, ar durmì, ecc., ma nel dialetto non tutti hanno un’unica forma per l’infinito e per il sostantivo alcuni hanno due forme ben distinte: ad esempio

– Ar duvér l’infinito è duvèi

Ar putér l’infinitoè pudèi

– Ar piaśì l’infinito è piaśèi

L’èsar l’infinito è iès

Come verbo può essere usato in proposizioni principali e dipendenti :

In frasi interrogative per indicare una situazione di dubbio quasi si volesse un consiglio:

– Ra dumànda a l’è: dònda piè i sôd?(La domanda è: dove prendere i soldi?)

– Parchè andè vìa sübit? (Perchè andare via subito?)

In frasi esclamativeper indicare meraviglia, incredulità o scetticismo:

– An sôn mìa màt, andè föra cón lé! (Non sono matto, uscire con lei!)

– U gh’ha da vargugnès, gnì a cà adsé ciùch! (Deve vergognarsi di venire a casa così ubriaco !)

In proposizioni disgiuntive per esprimere un dilemma ed attendere un risposta:

– Stè o andè? (Fermarsi o andare?)

Scapè o fermès? (Scappare o fermarsi?)

Come infinito storico per rendere più vivo il racconto di un’azione passata ed è normalmente preceduto da « a »:

– Mé s’éra dréra a mangè, quànd l’è rivè lü cón Mario. (Stavo mangiando, quando è arrivato Mario con lui)

– Mé a dì a mìa, lü a dì a sua: an finìvma mèi da parlè. (Io a dire la mia, lui la sua: non finivamo mai di parlare)

In alcune locuzioniche costituiscono già delle frasi fatte:

– E pènsè ch’u gh’èva śamò dàt tüt! (E pensare che gli aveva già dato tutto!)

– Figürès se um dèva raśon! (Figurarsi se mi dava ragione!)

In proposizioni dipendenti :

L’uso più frequente dell’infinito viene fatto nelle proposizioni secondarie .

Proposizioni soggettive: si chiama soggettiva la proposizione che funge da soggetto della proposizione da cui dipende, questa può avere forma implicita con l’infinito preceduto o no dalla preposizione « d’ ».

– Bśögna avèigha pagüra.(Bisogna aver paura)

– Bàsta paghè! (Basta pagare!)

– Mé am piaśiva avèigha di lìbar (A me piaceva avere dei libri)

Proposizioni oggettive si chiamano oggettive in quanto compiono l’ufficio di complemento oggetto della proposizione da cui dipendono. Può avere anche forma implicita con l’infinito preceduto o no dalle preposizioni « a », « di », « da »:

senza preposizione: A vöi gnì ànca mé. (Voglio venire anch’io)

Mé vöi stèmna a cà. (Io voglio stare a casa)

con la preposizione a: Hô enparè a taśèi (Ho imparato a tacere)

Enpèra a scrìv! (Impara a scrivere!)

con la preposizione a: Sérca ad fè prèst! (Cerca di far presto!)

con la preposizione da: U m’ha paghè da bèiv.(Mi ha pagato da bere) L’ha truvè da durmì (Ha trovato dove dormire)

Proposizioni interrogative indirette, queste contengono un’interrogazione formulata in modo indiretto

– An sô mìa dònda an

Non so dove andare

– An sô mìa se l’è giúst a pénsègh sémpar

Non so se è giusto pensarci sempre

– U sarà Mario a ciamèm?

– Sarà Mario a chiamarmi?

dopo il verbo « essere »l’infinito è preceduto dalla preposizione « a »

Proposizioni limitative, queste indicano una restrizione, una limitazione a ciò che è detto nella proposizione reggente. Con la forma esplicita si usa l’infinito preceduto da: quànt a, ar, da:

– En quànt a lavurè, u lavura

Per quanto riguarda lavorare, lavora

– Bèiv u bèiva l’è ar mangè ch’u n’pö mìa vèd

Per quanto bere, beve, è il mangiare che non può vedere

– En quànt a ra decisiòn da piè, vidrô!

– Quanto alla decisione da prendere, vedrò!

Proposizioni condizionali, indicano la condizione dalla quale dipende che si realizzi ciò che è detto nella proposizione principale. Davanti al verbo all’infinito si ha la preposizione « a »:

– A dì ra vritè, n’u cunùs mìa

A dir la verità, non lo conosco)

– A séntōl lü u gh’ha sémpar raśon

– A sentire lui, ha sempre ragione

Proposizioni temporali , sono introdotte da « ent ar » « prìma da »« dòp »:

– Prìma da gnì, scriva

Prima di venire, scivimi

– Dòp avèi mangè, hô durmìd tüta ra nöt

Dopo aver mangiato, ho dormito tutta la notte

– Ent ar gnì a cà, hô vìst Crombanìn

-Mentre venivo a casa, ho visto Colombano

Proposizioni modali, indicano il modo nel quale viene fatta un’azione; sono introdotte dalla preposizione « a»:

– U pàsa ar témp a durmì

Passa il tempo a dormire

– A l’è ent l’àqua a nüdè

È nell’acqua a nuotare

Proposizioni finali indicano il fine per cui viene fatta un’azione espressa nella proposizione principale. Possono avere la forma implicita con l’infinito introdotto dalle preposizioni «par», «a», «da»:

– At prégh da stè ché

– Ti prego di stare qui

U vègna par fè d’ar bèn

Viene per far del bene

– U và a scôla a lèg ar dialèt

Va a scuola a leggere il dialetto

Proposizioni consecutive, indicano la conseguenza di quanto è detto nella proposizione principale. L’infinito viene introdotto dalle preposizioni «da », «d», «par»:

– L’è tròp brèv par fès vuśè.

È troppo bravo per farsi sgridare

– L’éra adsé stràch da pudèi mìa stè en

Èra tanto stanco da non potere stare in piedi

– L’éra tànta stràch da ‘n pudèi pö lavurè

Era tanto stanco da non poter più lavorare

Proposizioni causali, indicano la causa, il motivo dell’azione espressa nella proposizione principale; L’infinito viene preceduto dalle preposizioni «par», « a », «d’ »:

– T’he fat bèn a firmè. (Hai fatto bene a firmare)

– L’è tròp gràs par brasèl sö. (È troppo grasso per abbracciarlo)

– A sôn connt d’avèita ciamè. (Sono contento di averti chiamato)

Proposizioni concessive, indicano un fatto, una circostanza, un pensiero che si concede che si verifichi nonostante sia in contrasto con quanto è detto nella proposizione principale. Si può usare l’infinito, nella forma implicita, retto da « par »:

– Par iès on prufesùr u sa pôch e gnént. (Per essere un professore sa poco e niente)

– Par avèigha utànt’àn, l’è àncamò bèn mìs. (Per avere ottant’anni, è ancora ben messo)

Proposizioni esclusive, in queste proposizioni l’infinito è introdotto dall’avverbio «nsa»:

– L’è andàt vìa sénsa paghè. (Se n’è andato senza pagare)

– L’è restè sénsa parlè d’ra pagüra. (È rimasto senza parlare dalla paura)

Osservazioni: con l’infinito vengono usate anche altre locuzioni avverbiali seguite da «da »:

– Envéci da rìd, lavùra! (Invece di ridere, lavora!)

Envéci da andè a Vègn va a S. Maria. (Invece di andare a Vegni, va a S.Maria)

Il Participio

Il participio possiede due tempi: presente e passato.

Quest’ultimo serve a coniugare assieme all’ausiliare il verbo nei suoi tempi composti.

Il participio presente

si forma aggiungendo al tema del verbo il suffisso « ànt » per la I coniugazione (cantànt) e «ént» per le altre coniugazioni (scrivént – finént) Non viene quasi mai usato.

Il femminile, con valore di aggettivo, si forma con l’aggiunta della « a ».

nt curént

Àqua curénta

Anche nel dialetto il participio presente ha perso il suo carattere verbale e molti participi presenti vengono solo utilizzati con funzioni di aggettivi (übidiént, brilànt, trasparént, ecc) o di sostantivi (u brillànt, ra curént , u rapresennt, ecc.) .

La funzione verbale del participio presente viene assunta dalla proposizione relativa, specialmente se è presente anche il complemento oggetto:

Il dottore che dirige l’ospedale è ammalato .

Ar dutùr ch’u dirìgia l’uspidèl, l’è malè.

Si ricorre inoltre a proposizioni dipendenti, in genere temporali o a locuzioni appropriate, secondo il caso :

Vivente nostra madre, noi stavamo tutti in casa.

Quànd l’éra ancamò en vìta nòstra mèr, nün stèvma tüti en cà.

Volente o nolente è così.

Vurèi o n’vurèi l’è adsé.

Il participio passato

Il participio passato si manifesta con il suffisso « è »per la prima coniugazione (Cantè –Cantato), con i suffisso « id » per la seconda e terza coniugazione (vivìd – vissuto,vendìd venduto,übidìd ubbidito). Il femminile, con valore di aggettivo, per il participio passato della I coniugazione resta invariato, per la II e III coniugazione si forma con l’aggiunta del suffisso « a ».

Il plurale per il participio passato, usato come aggettivo, delle tre coniugazioni resta invariato.

Molti però sono i verbi che hanno il participio irregolare. Eccone alcuni:

Asòlv asòlt Murì mórt

– Armètgha armìs Möv muvìd o mös

– Comprumèt comprumìs Parmèt parmìs

– Costrénś custrèt Preténd pretèiś o pretendìd

– Cöś cöt Prumèt prumìs

– Concéd concès o concedìd Pèrd pèrs

– Conclüd conclùś o conclüdìd Pruteg prutèt

– Curèg curèt Ridüś ridùt

– Daśmèt daśmìs Rispônd rispôndìd o rispòst

– Decìd deciś Romp rùt

– Dè dat Scriv scrìt

– Divìd diviś Stravèd stravìst

– Difénd difèiś Strénś strénśìd o strèt

– Dirigg dirèt o dirigìd Trascrìv trascrìt

– Distrug distrüt Traśmèt traśmìs

– Drèv drevìd o drevèrt Ufénd ufèiś

– Eleg elèt Vèd vìst

– Encìd encìś Curòmp curùt

– Mèt mìs Dipénd dipèiś

– Friś frìt o friśìd Tradüś tradüt

– Scumèt scumìs

Come gli altri aggettivi, il participio passato può venire sostantivato: u ferìd, u mórt, ra difèiśa, ra prumìsa, l’ufèiśa, ra mòsa, ecc.

Quelli della prima coniugazione uniscono al tema la desinenza « eda » diventando così sostantivi:

Esempi: rampighé rampighèda vanghè vanghèda travaśè travaśèda

saptè saptèda sapè sapèda schivè schivèda

arvôtè arvôtèda arśéntè arśéntèda ecc.

I coniugazione ( – è )

Verbo Cantè (cantare) la « n » è semimuta.

Indicativo

Presente me cànt io canto

te t’cànt tu canti

lü u cànta gli canta

nün cantùma noi cantiamo

viètar cantì voi cantate

lu i cànta essi cantano

Imperfetto me cantèva io cantavo

te t’cantèv tu cantavi

lü u cantèva egli cantava

nün cantèvma noi cantavamo

viètar cantèv-va voi cantavate

lu i cantèva essi cantavano

Nota: La forma cantèv-va dell’imperfetto l’abbiamo trascritta staccando con una lineetta una parte cantèv dall’altra va, perchè così si pronuncia (con un leggerissimo stacco fonico) e perchè non si pensasse a una doppia.

Futuro me cantarô io canterò

te t’cantaré tu canterai

lü u cantarà egli canterà

nün cantarùma noi canteremo

viètar cantarì voi canterete

lu i cantaràn essi canteranno

Passato prossimo me hô cantè io ho cantato

te t’hé cantè tu hai cantato

lü l’hà cantè egli ha cantato

nün ùma cantè noi abbiamo cantato

viètar hì cantè voi avete cantato

lu i hàn cantè essi hanno cantato

Trapassato prossimo me èva cantè io avevo cantato

te t’èv cantè tu avevi cantato

lü l’èva cantè egli aveva cantato

nün èvma cantè noi avevamo cantato

viètar èv-va cantè voi avevate cantato

lu i èva cantè essi avevano cantato

Futuro anteriore me avrô cantè io avrò cantato

te t’avré cantè tu avrai cantato

lü l’avrà cantè egli avrà cantato

nün avrùma cantè noi avremo cantato

viètar avrì cantè voi avrete cantato

lu i avràn cantè essi avranno cantato

Condizionale

Presente me cantrìsa io canterei

te at cantrìs tu canteresti

lü u cantrìsa egli canterebbe

nün cantrìsma noi canteremmo

viètar cantrìsva voicantereste

lu i cantrìsa essi canterebbero

Passato me avrìsa cantè io avrei cantato

te t’avrìs cantè tu avresti cantato

lü l’avrìsa cantè egli avrebbe cantato

nün avrìsma cantè noi avremmo cantato

viètar avrìsva cantè voi avreste cantato

lu i avrìsa cantè essi avrebbero cantato

Congiuntivo

Presente che me cànta che io canti

che te at’cànt che tu canti

che lü u cànta che egli canti

che nün cantùma che noi cantiamo

che viètar cantì che voi cantiate

che lu i cànta che essi cantino

Passato che me àbia cantè che io abbia cantato

che te t’àbi cantè che tu abbia cantato

che lü l’àbia cantè che tu abbia cantato

che nün abiùma cantè chenoi abbiamo cantato

che viètar abìi cantè chevoi abbiate cantato

che lu i àbia cantè che essi abbiano cantato

Imperfetto che me cantìsa che io cantassi

che te at cantìs che tu cantassi

che lü u cantìsa che egli cantasse

che nün cantìsma che noi cantassimo

che viètar cantìsva che voi cantaste

che lu i cantìsa che essi cantassero

Trapassato che me avìsa cantè che io avessi cantato

che te t’avìs cantè che tu avessi cantato

che lü l’ avìsa cantè che egli avesse cantato

che nün avìsma cantè che noi avessimo cantato

che viètar avìsva cantè che voi aveste cantato

che lu i avìsa cantè che essi avessero cantato

Infinito presente cantè cantare

Infinito passato avèi cantè aver cantato

Participio passato cantè cantato

Gerundio presente cannd cantando

Gerundio passato avénd o avénda cantè avendo cantato

II coniugazione

– Verbo scriv (scrivere)

Indicativo

Presente me scrìv io scrivo

te ta scrìv tu scrivi

lü u scrìva egli scrive

nün scrivùma noi scriviamo

viètar scrivì voi scrivete

lu i scrìva essi scrivono

Imperfetto me scrivìva io scrivevo

te ta scrivìv tu scrivevi

lü u scrivìva egli scriveva

nün scrivìvma noi scrivevamo

viètar scrivìv-va voi scrivevate

lu i scrivìva essi scrivevano

Futuro me scrivrô io scriverò

te ta scrivré tu scriverai

lü u scrivrà egli scriverà

nün scrivrùma noi scriveremo

viètar scrivrì voi scriverete

lu i scrivràn essi scriveranno

Passato prossimo me hô scrìt io ho scritto

te t’hé scrìt tu hai scritto

lü l’hà scrìt egli ha scritto

nün ùma scrìt noi abbiamo scritto

viètar hì scrìt voi avete scritto

lu i hàn scrìt essi hanno scritto

Trapassato prossimo me èva scrìt io avevo scritto

te t’èv scrìt tu avevi scritto

lü l’èva scrìt egli aveva scritto

nün èvma scrìt noi avevamo scritto

viètar èv-va scrìt voi avevate scritto

lu i èva scrìt essi avevano scritto

Futuro anteriore me avrô scrìt io avrò scritto

te t’avré scrìt tu avrai scritto

lü l’avrà scrìt egli avrà scritto

nün avrùma scrìt noi avremo scritto

viètar avrì scrìt voi avrete scritto

lu i avràn scrìt essi avranno scritto

Congiuntivo

Presente che me scrìva che io scriva

che te ta scrìv che tu scriva

che lü u scrìva che egli scriva

che nün scrivùma che noi scriviamo

che viètar scrivì che voi scriviate

che lu i scrìva che essi scrivano

Imperfetto che me scrivìsa che io scrivessi

che te ta scrivìs che tu scrivessi

che lü u scrivìsa che egli scrivesse

che nün scrivìsma che noi scrivessimo

che viètar scrivìsva che voi scriveste

che lu i scrivìsa che essi scrivessero

Passato che me àbia scrìt che io abbia scritto

che te t’àbi scrìt che tu abbia scritto

che lü l’àbia scrìt che egli abbia scritto

che nün abiùma scrìt che noi abbiamo scritto

che viètar abìi scrìt che voi abbiate scritto

che lu i àbia scrìt che essi abbiano scritto

Trapassato che me avìsa scrìt che io avessi scritto

che te t’avìs scrìt che tu avessi scritto

che lü l’avìsa scrìt che egli avesse scritto

che nün avìsma scrìt che noi avessimo scritto

che viètar avìsva scrìt che voi aveste scritto

che lu i avìsa scrìt che essi avessero scritt

Condizionale

Presente me scrivrìsa io scriverei

te ta scrivrìs tu scriveresti

lü u scrivrìsa egli scriverebbe

nün scrivrìsma noi scriveremmo

viètar scrivrìsva voi scrivereste

lu i scrivrìsa essi scriverebbero

Passato me avrìsa scrìt io avrei scritto

te t’avrìs scrìt tu avresti scritto

lü l’avrìsa scrìt egli avrebbe scritto

nün avrìsma scrìt noi avremmo scritto

viètar avrìsva scrìt voi avreste scritto

lu i avrìsa scrìt essi avrebbero scritto

Infinito presente scrìv scrivere

Infinito passato avèi scrìt aver scritto

Gerundio presente scrivénd scrivendo

Gerundio passato avénd scrìt avendo scritto

III Coniugazione

Verbo Finì (finire)

Indicativo

Presente me finìs io finisco

te t’finìs tu finisci

lü u finìsa egli finisce

nün finùma noi finiamo

viètar finì voi finite

lu i finìsa essi finiscono

Imperfetto me finìva io finivo

te t’finìv tu finivi

lü u finìva egli finiva

nün finìvma noi finivamo

viètar finìv-va voi finivate

lu i finìva essi finivano

Futuro me finirô io finirò

te t’finiré tu finirai

lü u finirà egli finirà

nün finirùma noi finiremo

viètar finirì voi finirete

lu i finiràn essi finiranno

Passato prossimo me hô finìd io ho finito

te t’hé finìd tu hai finito

lü l’hà finìd egli ha finito

nün ùma (ùm)finìd noi abbiamo finito

viètar hì finìd voi avete finito

lu i hàn finìd essi hanno finito

Trapassato me èva finìd io avevo finito

te t’èv finìd tu avevi finito

lü l’èva finìd egli aveva finito

nün èvma finìd noi avevamo finito

viètar èv-va finìd voi avevate finito

lu i èva finìd essi avevano finito

Futuro anteriore me avrô finìd io avrò finito

te t’avré finìd tu avrai finito

lü l’avrà finìd egli avrà finito

nün avrùma finìd noi avremo finito

viètar avrì finìd voi avrete finito

lu i avràn finìd essi avranno finito

Congiuntivo

Presente che me finìsa che io finisca

che te t’finìs che tu finisca

che lü u finìsa che egli finisca

che nün finùma che noi finiamo

che viètar finì che voi finiate

che lu i finìsa che essi finiscano

Imperfetto che me finìsa che io finissi

che te t’finìs che tu finissi

che lü u finìsa che egli finisse

che nün finìsma che noi finissimo

che viètar finìsva che voi finiste

che lu i finìsa che essi finissero

Passato che me àbia finìd che io abbia finito

che te t’àbi finìd che tu abbia finito

che lü l’àbia finìd che egli abbia finito

che nün abiùma finìd che noi abbiamo finito

che viètar abìi finìd che voi abbiate finito

che lu i àbia finìd che essi abbiano finito

Trapassato che me avìsa finìd che io avessi finito

che te t’avìs finìd che tu avessi finito

che lü l’avìsa finìd che egli avesse finito

che nün avìsma finìd che noi avessimo finito

che viètar avìsva finìd che voi aveste finito

che lu i avìsa finìd che essi avessero finit

Condizionale

Presente me finrìsa io finirei

te t’finrìs tu finiresti

lü u finrìsa egli finirebbe

nün finrìsma noi finiremmo

viètarfinrìsva voi finireste

lu i finrìsa essi finirebbero

Passato me avrìsa finìd io avrei finito

te t’avrìs finìd tu avresti finito

lü l’avrìsa finìd egli avrebbe finito

nün avrìsma finìd noi avremmo finito

viètar avrìsva finìd voi avreste finito

lu i avrìsa finìd essi avrebbero finito

Infinito presente finì finire

Infinito passato avèi finìd aver finito

Gerundio presente finénd finendo

Gerundio passato avénd o avénda finìd avendo finito

La coniugazione dei verbi ausiliari

Nella coniugazione dei verbi si usano gli stessi ausiliari che in italiano: Essere (iès o vès) e avere (avèì). Naturalmente anche negli ausiliari mancano il passato remoto e i suoi composti.

Verbo « Iès » (essere)

Indicativo

Presente me sôn io sono

te t’é tu sei

lü l’è egli è

nün sùma noi siamo

viètar sì voi siete

lu i èn essi sono

Imperfetto me séra io ero

te t’ér tu eri

lü l’éra egli era

nün sérma noi eravamo

viètar sérva voi eravate

lu i éra essi erano

Futuro me sarô io sarò

te t’saré tu sarai

lü u sarà egli sarà

nün sarùma noi saremo

viètar sarì voi sarete

lu i saràn essi saranno

Passato prossimo me sôn stàt io sono stato

te t’é stàt tu sei stato

lü l’è stàt egli è stato

nün sùma stàt noi siamo stati

viètar sì stàt voi siete stati

lu i én stàt essi saranno stati

Trapassato prossimo me séra stàt io ero stato

te t’ér stàt tu eri stato

lü l’éra stàt egli era stato

nün sérma stàt noi eravamo stati

viètar sérva stàt voi eravate stati

lu i éra stàt essi erano stati

Futuro anteriore me sarô stàt io sarò stato

te t’saré stàt tu sarai stato

lü u sarà stàt egli sarà stato

nün sarùma stàt noi saremo stati

viètar sarì stàt voi sarete stati

lu i saràn stàt essi saranno stati

Congiuntivo

Presente che me sìa che io sia

che te t’sìi che tu sia

che lü u sìa che egli sia

che nün siùma che noi siamo

che viètar sìi che voi siate

oppureche viètar sìav che voi siate

che lu i sìa che essi siano

Imperfetto che me fìsa che io fossi

che te t’fìs che tu fossi

che lü u fìsa che egli fosse

che nün fìsma che noi fossimo

che viètar fìsva che voi foste

che lu i fìsa che essi fossero

Passato che me sìa stàt che io sia stato

che te t’sìi stàt che tu sia stato

che lü u sìa stàt che egli sia stato

che nün siùma stàt che noi siamo stati

che viètar sìi stàt (sìav) che voi siate stati

che lu i sìa stàt che essi siano stati

Trapassato che me fìsa stàt che io fossi stato

che te t’fìs stàt che tu fossi stato

che lü u fìsa stàt che egli fosse stato

che nün fìsma stàt che noi fossimo stati

che viètar fìsva stàt che voi foste stati

che lu i fìsa stàt che essi fossero stati

Condizionale

Presente me sarìsa io sarei

te t’sarìs tu saresti

lü u sarìsa egli sarebbe

nün sarìsma noi saremmo

viètar sarìsva voi sareste

lu i sarìsa essi sarebbero

Passato me sarìsa stàt io sarei stato

te t’sarìs stàt tu saresti stato

lü u sarìsa stàt egli sarebbe stato

nün sarìsma stàt noi saremmo stati

viètar sarìsva stàt voi sareste stati

lu i sarìsa stàt essi sarebbero stati

Infinito Presente iès essere

Participio passato stàt stato

Gerundio presente (e)sénd essendo

Gerundio passato (e)sénd stàt essendo stato

N.B.: Nella parlata abbiamo notato che, in alcuni casi, nel condizionale viene usata anche una forma contratta del verbo.

Esempio:

A sentire loro io sarei stato ammalato

A sentia lu me sarìsa stat malè.

A sentia lu me sìsa stat malè.

Lo abbiamo notato anche nel congiuntivo imperfetto:

Esempio:

Che io fossi

Che me fìsa ma anche che me sìsa.

Verbo Avèi (Avere) = Possedere – Dovere

Indicativo

Presente me a gh’ hô io ho

te at gh’ hé tu hai

lü u gh’hà egli ha

nün a gh’ùma noi abbiamo

viètar a gh’hì voi avete

lu i gh’hàn essi hanno

Imperfetto me a gh’èva io avevo

te at gh’èv tu avevi

lü u gh’èva egli aveva

nün a gh’èvma noi avevamo

viètar a gh’èv-va voi avevate

lu i gh’èva essi avevano

Futuro me a gh’avrô io avrò

te a gh’avré tu avrai

lü u gh’avrà egli avrà

nün a gh’avrùma noi avremo

viètar a gh’avrì voi avrete

lu i gh’avràn essi avranno

Passato prossimo me a gh’hô avìd io ho avuto

te at gh’hé avìd tu hai avuto

lü u gh’hà avìd egli ha avuto

nün a gh’ùma avìd noi abbiamo avuto

viètar a gh’hì avìd voi avete avuto

lu i gh’hàn avìd essi hanno avuto

Trapassato prossimo me a gh’èva avìd io avevo avuto

te at gh’èv avìd tu avevi avuto

lü u gh’èva avìd egli aveva avuto

nün a gh’èvma avìd noi avevamo avuto

viètar a gh’èv-va avìd voi avevate avuto

lu i gh’èva avìd essi avevano avuto

Futuro anteriore me a gh’avrô avìd io avrò avuto

te at gh’avré avìd tu avrai avuto

lü u gh’avrà avìd egli avrà avuto

nün a gh’avrùma avìd noi avremo avuto

viètar a gh’avrì avìd voi avrete avuto

lu i gh’avràn avìd essi avranno avuto

Congiuntivo

Presente che me a gh’àbia che io abbia

che te at gh’abi che tu abbia

che lü u gh’àbia che egli abbia

che nün a gh’abiùma che noi abbiamo

che viètar a gh’abìi che voi abbiate

che lu i gh’àbia che essi abbiano

Imperfetto che me a gh’avìsa che io avessi

che te at gh’avìs che tu avessi

che lü u gh’avìsa che egli avesse

che nün a gh’avìsma che noi avessimo

che viètar a gh’avìsva che voi aveste

che lu i gh’avìsa che essi avessero

Passato che me a gh’àbia avìd che io abbia avuto

che te at gh’àbi avìd che tu abbia avuto

che lü u gh’àbia avìd che egli abbia avuto

che nün a gh’abiùma avìd che noi abbiamo avuto

che viètar a gh’abìi avìd che voi abbiate avuto

che lu i gh’àbia avìd che essi abbiano avuto

Trapassato che me a gh’avìsa avìd che io avessi avuto

che te at gh’avìs avìd che tu avessi avuto

che lü u gh’avìsa avìd che egli avesse avuto

che nün a gh’avìsma avìd che noi avessimo avuto

che viètar a gh’avìsva avìd che voi aveste avuto

che lu i gh’avìsa avìd che essi avessero avuto

Condizionale

Presente me a gh’avrìsa io avrei

te at gh’avrìs tu avresti

lü u gh’avrìsa egli avrebbe

nün a gh’avrìsma noi avremmo

viètar a gh’avrìsva voi avreste

lu i gh’avrìsa essi avrebbero

Passato me a gh’avrìsa avìd io avrei avuto

te at gh’avrìs avìd tu avresti avuto

lü u gh’avrìsa avìd egli avrebbe avuto

nün a gh’avrìsma avìd noi avremmo avuto

viètar a gh’avrìsva avìd voi avreste avuto

lu i gh’avrìsa avìd essi avrebbero avuto

Infinito presente Avèi avere

Infinito passato Avèi avìd aver avuto

Gerundio presente Avénd avendo

Gerundio passato Avénd avìd avendo avuto

Quando il verbo avere ha un suo significato specifico come « possedere » o quando è seguito dalla preposizione « da » col significato di « dovere », è sempre accompagnato dalla particella « ghe ».

Negli altri casi la particella « ghe » non viene utilizzata.

Es.: Io ho un libro: me a gh’hô on libar.

Io devo andare: me a gh’hô d’andè.

Io ho sentito una brutta storia: me hô sentìd ona brüta stôria.

I verbi irregolari

Verbi irregolari in italiano

– Andè (andare),(dare),(dire), duvèi (dovere),(fare), parèi (parere), pudèi (potere), savèi (sapere), stè (stare), tègn (tenere), vègn (venire).

A questi verbi vanno aggiunti tutti quelli che, nella coniugazione, la vocale del tema muta di valore a seconda dell’accento tonico.

Abbiamo così, nel dialetto bobbiese, una moltitudine di verbi, che interessati a questo fenomeno fonetico, hanno variazioni nel « tema ».

Esempi:

Pruvè (provare) me prôv nün pruvùma

Murì (morire) me môr nün murùma

Arè (arare) me èr nün arùma

ecc., ecc.

Abbiamo analizzato tutti i verbi e dal nostro controllo effettuato sui pochi scritti ritrovati e ascoltando « il parlare » della gente, possiamo enunciare che

– Il plurale del verbo viene fatto utilizzando i pronomi « atoni », infatti si dice: egli parla – u perla, essi parlano – i pèrla; egli dice – u diśa, essi dicono – i diśa.

Le uniche eccezioni ritrovate sono: ivàn (essi vanno); i gh’hàn (essi hanno); i sàn (essi sanno); ièn (essi sono), i fàn (essi fanno), i stàn (essi stanno), i dàn (essi danno), inoltre i verbi che, alla terza persona plurale, terminano con la « n » finale sono l’indicativo futuro, il futuro anteriore

Esempi:

I gh’avràn (essi avranno); i avràn avìd (essi avranno avuto) i saràn (essi saranno), i saràn stàt (essi saranno stati), i cantaràn (essi canteranno), i avràn can(essi avranno cantato), ec.

Il Passivo dei verbi regolare

Dal libro del Professor Enrico Mandelli «Il dialetto bobbiese» prendiamo quanto da lui chiaramente specificato a questo riguardo:

Il verbo passivo è formato dall’ausiliare « iès » nei suoi vari modi e tempi seguito dal participio passato del verbo che si vuole usare. Generalmente il verbo « iès » si sa come ausiliare quando l’azione è statica:

Esempio: la porta è chiusa , ra pôrta l’è sarè

Si può fare il passivo anche con il verbo « vègn » (venire). L’ausiliare

« vègn » si usa quando l’azione è dinamica:

Esempio: La porta viene chiusa tutte le mattine dal bidello, ra pôrta a vègna sarè tüt e matén.

Talvolta viene usato pure il verbo « andare »

Esempi: La lettera è andata perduta, a lètra l’è andata pèrsa.

Nella conversazione è molto usato il « si passivante », che nella parlata comune si unisce foneticamente ai pronomi atoni diventando un’unica parola.

Esempio: Qui si gioca a carte, non si lavora, ché as śöga e chèrt, an sa lavura mia.

« As » e « sa » hanno anche il plurale maschile e femminile « is » e « es »:

Esempi:

Guarda che i vetri si rompono vèrda che i vèidar is ròmpa

Le scatole si rompono con l’acqua e scatul es ròmpa cón l’aqua.

Il verbo riflessivo

Quando l’azione compiuta dal soggetto ricade sul soggetto stesso, si dice che il verbo è riflessivo.

Esempio:Egli si lava lü u s’lèva lü us lèva

Ella si lava lé a s’leva Lé as lèva

Essi si lavano lu i s’lèva lu is lèva

Esse si lavano lu e s’lèva lu es lèva

Osservazioni: I pronomi riflessivi di norma precedono il verbo, ma non riteniamo dovere considerare errore quando la « s » viene unita ai pronomi atoni a cui, nella parlata, appoggia il suono.

Riteniamo pertanto che anche « as » «us» « es » « is » siano pronomi atoni dove la « s » è enclitica con valore riflessivo.

I verbi impersonali

Sono impersonali quei verbi che hanno come soggetto una « a » atona. Vengono usati alla III persona singolare.

Esempi:

Piove a piôva

Fa freddo a fa frèd

C’è poco da dire a gh’è pôch da dì

C’è fuori la luna a gh’è föra ra löna

Il « si » passivante

È la particella « s » che dà significato passivo al verbo e solitamente si appoggia nel suono sui vari pronomi atoni « u » « a » « i » « e » diventando così « us » « as » « is » «es» venendo usati solamente con la III persona singola e plurale.

La forma indefinita è « s’ »:

Esempio Non si vede An s’a vèda mia

Il pronome reciproco

Esprime la reciprocità dell’azione compiuta da diverse persone

Esempi Ci vogliamo un gran bene nün as vuruma on gran bèn

Vi volete un gran bene viètar av vurì on gran bèn

Voi non vi siete salutati viètar an va si mia saütè

Essi si vogliono un gran bene lu is vô on gran bèn

Esse si vogliono bene lu es vô bèn

Non ci siamo salutati nün an sa suma mia salütè

Io e te ci vogliamo bene mé e te as vuruma bèn

Noi e voi non ci capiamo nün e viètar an sa capuma mia

Osservazioni: i pronomi, come si può constatare, si comportano come i pronomi personali atoni e precedono sempre il verbo.

Il « se » si può combinare con altri pronomi atoni precedendoli se questi sono complementi oggetto:

Esempi: Se l’è lavato u s’l’è lavè

Se li sono lavati i s’ièn lavè

Se la cava u s’la chèva

Se ne dicono di tutti i colori i s’ne diśa ad tüti i culur

Pronome indefinito

Corrisponde all’italiano « si ». Si usa solo per la III persona singolare:

Esempi: Qui si muore dal caldo chimò as móra d’ar chèd

In casa non si fuma en cà an sa füma mia

A Bobbio si legge poco a Bobi as lègia pôch

Questo pronome precede sempre il verbo, che va coniugato nei tempi composti con l’ausiliare « iès »

Il plurale dei verbi

Il pronome atono serve anche per determinare il plurale nella coniugazione dei verbi. Esempi:

essi cantano viene tradotto lu i cànta

essi scrivono lu i scrìva

essi finiscono lu i finìsa

l’eccezione avviene nella terza persona plurale del tempo futuro che

essi canteranno viene tradotto lu i cantaràn

essi scriveranno lu i scrivaràn

essi finiranno lu i finiràn

così pure i verbi ausiliari

essi saranno lu i saràn

essi avranno lu i gh’avràn

Ecco di seguito i verbi che oltre alle suddette regole si comportano diversamente anche nella terza persona singolare :

Ès (essere)

Ind. pres.: me a sôn, te t’é, lü u l’è, nün a suma, viètar a sìì, lu i èn

Imperfetto: me a séra, te a t’ér, lü u l’éra, nün a sérna, vietar a sérva, lu i éra.

Futuro: me a sarô, te at saré, lü u sarà, nün a saruma, vièrat a sarì, lu i saran

Pass. pross: me sôn stat, te t’e stat, lü l’è stat, nün a suma stat, viètar a sì stat, lu i èn stat.

Fur. Ant. : me a sarô stat, te at saré stat, lü u sarà stat, nün a saruma stat, lu i saran stat

Il verbo ausiliare essere nella pronuncia dialettale (ès) si unisce al pronome atono « i » quando questo inizia con vocale. Anche nella pronuncia del verbo infinito si preferisce pronunciarlo unito ad una « i » probabilmente per renderlo più sonoro iès.

Stè (stare)

Ind. pres.: me a stô, te ta sté, lü u sta, nün a stuma , viètar a stì, lu i stan

Imperfetto: me a stèva, te ta stèv; lü u stèva. Nün a stèvma viètar a stèv-va, lu i stèva.

Futuro : me a starô, te ta staré; lü u starà, nün a staruma, vietar a starì, lu i staran

Pass. Pross.:me a sôn stat, te t’è stat, lü l’è stat, nün a suma stat, viètar a si stat, lu i èn stat.

Fut. Ant. me a sarô stat, te at saré stat; lü u sarà stat; nün a saruma stat, viètar a sarì stat, lu i saran stat.

Avèi (avere)

Ind.pres. me g’hô, te at g’he, lü u g.ha, nün a gh’uma, viètar a g’hi, lu i g’han.

Imperfetto: me gh’èva, te at gh’èv, lü u gh’èva, nün a gh’èvma, viètar a gh’èv-va, lu i gh’èva.

Futuro: me a gh’avrô, te at gh’avré, lü u gh’avrà, nün a gh’avruma, viètar a gh’avrì, lu i gh’avran

Pas. Pross.: me a g’hô avid, te at g’he avid, lü u gh’ha avid, nün a gh’uma avid, viètar a g’hi avid, lu i g’han avid

Fut. Ant.: me a gh’avrô avid, te at gh’avré avid, lü u gh’avrà avid, nün a gh’avruma avid, viètar a gh’avrì avid, lu i gh’avran avid

An(andare)

Ind.Pres. me a vô, t at vé lü u và, nün anduma, viètar andì, lu i vàn

Imperfetto: me andèva, te t’andèv, lü andèva, nün andèvma. Viètar andèvva, lu i andèva

Futuro: me andrô te t’andré, lü andrà, nün andruma, viètar andrì, lu i andran

Pas. Pros. sôn andat, te t’e andat, lü l’è andat, nün a suma andat, viètar a sì andat, lui i èn andat

Fut. Ant. : me sarô andat, te at saré andat, lü u sarà andat, nün a saruma andat, viètar a sarì andat, lu i saran andat.

(fare)

Ind.pres. me a fô te at fé, lü u fa, nün a faruma, viètar a farì, lu i fàn

Imperfetto: me a fèva, te at fèv, lü u fèva, nün a fèvma, viètar a fèv-va, lu i fèva

Futuro: me a farô, te at faré, lü u farà, nün a faruma, viètar a farì lu i faran

Pas.pros. : me hô fat, t’he fat, lü a fat, nün uma fat, viètar hi fat, lu i han fat

Fut ant. : me avrô fat, te t’avré fat, lü l’avrà fat, nün avruma fat, viètar avrì fat, lu i avran fat

Savèi (sapere)

Ind. Pres. : me a sô, te at sé, lü u sà, nün a suma, viètar a si, lu i san

Imperfetto: me a sèva, te at sèv, lü u sèva, nün a savivma, viètar a saviv-va, lu i saviva.

Futuro: me a savrô, te at savré, lü u savrà, nün a savruma, vièter a savrì, lu i savran

Pas.pros.: me hô savid, te t’he savid, lü ha savid, nün uma savid, viètar hi savid, lu i han savid

Fut. Ant. : me avrô savid, te t’avré savid, lü avrà savid, nün avruma savid, viètar avrì savid, lu i avràn savid

(dare)

Ind.pres. me a dô, te at dé, lü u dà, nün a duma, viètar a dì, lu i dàn

Imperfetto: me a dèva, te at dèv, lü u dèva, nün a dèvma, viètar a dèv-va, lu i dèva.

Futuro: me a darô, te at daré, lü u darà, nün a daruma, viètar a darì, lu i daran

Pass.pross. me hô dat, te t’he dat, lü ha dat, nün uma dat, viètar hi dat, lu i han dat

Fut.anter. me avrô dat, te t’avré dat,lü avrà dat, nün avruma dat, viètar avrì dat, lu i avran dat

Trè (gettare)

Ind.pres.: me a trô, te at tré, lü u trà, nün a truma, viètar a trì, lu i tran

Imperfetto: me a trèva, te at trèv, lü u trèva, nün a trèvma, viètar a trèv-va, lu i trèva

Futuro: me a trarô, te at traré, lü u trarà, nün a traruma, viètar a trarì, lu i traran

Pass. Pross.: me hô trat, te t’he trat, lü ha trat, nün uma , viètar hi trat, lu i han trat

Fut.ant.: me avrô trat, te t’avré trat, lü avrà trat, nün avruma trat, viètar avrì trat, lu i avran trat

LA PARABOLA DEL FIGLIUOL PRODIGO

Abbiamo creduto potesse essere interessante raffrontare il dialetto bobbiese con quelli parlati nel nostro circondario. Per far questo ci siamo recati nelle varie località ed abbiamo tradotto con persone del luogo (dal Vangelo di Luca, XV, 11 – 31), « La Parabola del Figliol Prodigo ».

Questa parabola è sempre stata utilizzata, per la sua bellezza e la modernità del suo linguaggio,per scrivere nel proprio dialetto uno dei più bei racconti dei Vangeli.

Noi ci siamo limitati a trascrivere quello che man mano ci veniva tradotto, senza intervenire a correggere possibili errori.

Abbiamo inoltre trovato sulla « Grammatica Milanese » di Franco Nicoli, pubblicata nel 1983 da Bramante Editrice di Busto Arsizio, diverse traduzioni dialettali di questa parabola. Ne abbiamo approfittato per riportare quelle parlate che sicuramente hanno in qualche modo influenzato il nostro dialetto.

Versione nel dialetto Bobbiese

Traduzione del prof. Enrico Mandelli.

U FIÖ CH’U GH’ ÈVA E MAN BÜŚ E DI ÈTAR VISI

On om u gh’èva dü fiö. On dé u pö giuvan l’ha dit a so pèr: « Pupè, dam ra pèrt da nostra rôba ch’a m’a spèta ». Alura u povar vèc l’ha spartid a so rôba tra i fiö. Dop pôchi dé, u fiö pö giuvan, arguièt tüt e su rôb, l’è andat ent on paiś lontan e là u s’è mangè sö tüt, vivend da siuras sensa né lèg né féd.

Quand u s’era ormai fat föra tüt e an gh’a restèva pö gnent en sacosa, ent qul paiś là a gh’è rivè, cme śonta, ona teribil caristia.

Alura u nostar giuvnot l’ha cmensè a cunus côśa vuriva dì miseria, ma cula pö neigra. E l’è andat da dsa e da d’là a serchè un po’ d’caritè. Ma i gh’n’èva tüti tant cme lü. Alura u s’è mìs a servisi da on om dar sit, che u l’ha mandè ent i so camp a fè ra guèrdia a di gugnìn. L’avrisa vurid empinis ra pansa cón quèiche caruba ’d chil ch’i mangièva e su besti. Ma n’sün a gh’ne dèva.

Alura a gh’è gnid da pensè seriamént a u so stèt e u s’è dit: « Quanti salariè d’me pèr i gh’han pan en abondansa e me, ché, mór d’fam. M’farô curag; andrô da me pèr e gh’dirô: « Pupè, l’hô fata gròsa, contra ar ciel e contra te! A n’sôn pö dègn d’iès ciamè u to fiö; tratam cme ün di tô servitù ». E u s’è fat curag; l’è andat da so pèr. E so pèr u l’ha vist ch’a l’era ancamò loñtan. U gh’ha fat ona gran compasion. D’cursa u gh’è andat incontra, u gh’ha trat i bras ar col e u s’la baśèva che un la finiva pö.

E u fiö u gh’ha dit : « Pupè, l’hô fata grosa contra ar cièl e contra te. N’sôn pö dègn da iès ciamè u to fiö ». Ma so pèr sübit l’ha urdinè a i servitù : « Purtì ché sübit a müda pö bèla e mtigh’la sö, l’anèl a u did e on pèra da schèrp növ. Ciapì u vidèl gras e masil

Bśögna fè on bèl prans e ona gran fèsta; parchè qul fiö ché u m’era mórt e l’è turnè a viv, l’èra pèrs e u s’è ritruvè », Alura tüti i s’èn mis a bat ar man, a vuśè: « e viva » e a fè festa.

U fiö pö vec a l’era pr’i camp. A d’rituran, e śa vśin a ca, sentend i pemfar ch’i sunèva e ra gent ch’i cantèva, l’ha ciamè on servitù e u gh’a d’mandè: « côś èl tüt qul burdalèri lé?». U servitù u gh’ha rispost: « L’è riturnè to fradèl e to pèr l’ha masè u videl gras parchè l’ha pudid riaveigōl san e salv ». Lü alura u s’è rabiè e u n’vuriva pö andè a cà.

So pèr l’è surtid a preghèl, ma lü u s’gh’è rvôtè e u gh’ha dit: èco ! i en tanti an che me t’servìs sensa mèi dit ad no quand at m’a urdinèv queicôśa e te n’t’he mèi gnanca pensè da dèm on cravdin par fè festa côn i me amiś. E ades parchè l’è riturnè qul to fiö che l’ha consümè tüta a so rôba cón de dunàs che i fan qul bèl mistè, te at gh’he masè u vidèl pö gras ». U gram so pèr u gh’ha rispost: « Chèra u me chèr fiö, te t’e sempar con me e tüt qul che me gh’hô l’è u to; ma l’era anca giüst fè festa e ies content e stè sö alegar parchè qul to fradèl ché l’era mórt e l’è turnè en vita, l’era pers e u s’è rtruvè».

Versione nel dialetto di Coli

Traduzione di Ugo Peveri – Grafia da noi proposta .

U fiö prodigh

On om u gh’èva dü fiö e u püsè śuun ad lu u dśiva a sa par: papà dam a part di bèn ch’a ma spèta . E lü u dividiva i sö bèn tra lu.

Dop pôch dé, u fiö pö śuun u ’rgöia sö ogni rôba e us ne va par ona regiòn lotana e là u consüma tüti i so bèn, vivénd e mangià sö tüt.

Dop ch’a la consümô ogni rôba, a gh’è stô ona gram miśeria ent ar ca regiòn e lü l’ha cmensô a patì ra fam. Alura l’è anô a lavurà con ion ad chi gént ad ca regiòn là e lü u l’ha mandô ent re su tèr a vardà i gugnén. E u dśidrava fas pén ra pansa con ra iand che i maiav i gugnén, ma ansòn gh’ ne dava.

Gnüd ens a sua l’ha düt: quanta gént ent ra ca ad mé par i g’han pan en abondansa e mé, ché, mör ad fam. Ma starô sö, anarô da mé par e gh’dirô: papà hô śbaliô contra ar cièl e dnans a tè, an sô pö dègn da ès ciamô u ta fiö, tràtam cme ion di tö om.

E l’è stô sö e l’è anô da sa par. Entant ch’a l’era ancamò lotan, sa par u l’ha vüst e u gh’è caminô incontra e us gh’è trô ar cöl e u l’ha baśô.

Alura u fiö u g’ha düt: papà hô śbaliô contra ar cièl e dnans a tè, an sô pö dègn d’ès ciamô u tà fiö. Ma u papà l’ha düt ai sö servitù: prst purté u vistì pö bèl e vastìl, a mtégh on anèl ent ru did e scarp ent ri pé, purtì u vdèl ingrasô, masil e maiam e fam fèsta, parchè cu mé fiö l’era mórt e l’è turnô en vita, u s’era pèrs e l’è stô ritruvô. E i han cmensô a fa fèsta.

Ma u sö fiö pö vèc ch’a l’era ent re tèr, quand l’è gnüd e u s’è avśinô a ra ca, l’ha sentüd sunà e cantà. Alura l’ha ciamô ion di servitù e u g’ha dmandô côś’era sücès.

Cu ché alura u g’ha düt : a l’è gnüd ta fradèl e ta par a l’ha masô u vdèl gras parchè u l’ha truvô san e sarv.

Alura u s’è rabiô e un vureva mia ’nà detar, alura sa par l’è gnü föra e l’ha cmensô a pregal.

Ma cu là u g’ha rispost a sa par: Ecu, da tant an ch’at sarvìs e n’hô mai trasgredid i tö cmand e té an t’ha me mai dô un cravèt parchè me fisa fèsta con i mé amiś,

Ma dop che cu ta fiö ché u s’è mangiô i so bèn con e dunàs a l’è turnô, te a t’he masô par lü u vdèl gras. Ma u papà u g’ha düt: car u mé fiö, te t’è sempar cón mé e tüt cul ch’a l’è mé a l’è u tö, as duvèva sübit ès alegar e fa fèsta, parchè cu tö fradèl l’era mórt e l’è turnô en vita, u s’era pèrs e l’è stô ritruvô.

Versione nel dialetto di Perino

Traduzione di Giuseppina Agnelli.

Al fieu prodig

Ön om al g’’ava dü fieu e al pó giuvan ad lur l’ha ditt al par: Papà, dam la part d’eredità ch’a ma spèta. E al par l’ha diviz l’eredità tra lur.

Pôc dé dop, al pó giuvan l’ha catà sü la so roba, l’è partì pru paiz luntan e là al s’è mangià sü la so roba, en dal viv malament.

Dop ch’a l’ha consumà tüta la so roba è vègn ona gran carestia in cul paiz là, e lü l’ha cmincià a ciapà fam. Alura l’è andà a lavurà da ön abitant ad cula region là, e lü al l’ha mandà in di so camp a pasculà i gogn. Lü al vuriva l’empas la pansa con il giand che i mangiavan i gugnen, ma adsün agh na dava.

Quand l’è turnà in ragion al s’è ditt: Quant uperai a ca ad me par i g’han pan in abundansa e me eveci mör ad fam.

Starò sö e andrò da me par e agh dirò: Papà ho fatt a pcà contra al ciel e contra te. An so mia pö degn d’ess ciamà to fieu, tratam acme vön di tö uperai.

Al s’è alsà sö e l’è andà da sö par. Intant ch’l’era ancura luntan so par al l’ha vist, l’ha pruvà compassion, al gh’è curs incontra, al g’ha tratt i brass al coll e al l’ha bazà.

Alura al fieu al g’ha ditt: Papà, ho apchè contra al ciel e contra te e an so mia pö degn d’ess ciamà to fieu. Ma al par l’ha ditt ai so servitur : fa la svèlta, purtè al vistì pösè növ e vistil, matig ön anel al did e di sandal ai pè, purtè al videl pö grass, masel e mangium e baracum, parchè custi me fieu l’era mort e a l’è turna in vita, al s’era pers e l’è stat ritruà. E i han tacà a baracà.

Ma al so fieu prim ch’l’era in di camp, quand l’è turnà a reintua ca, l’ha sentì sunà e cantà. Alura l’ha ciamà vön di servitur e al g’ha dmandà cuza a gh’era. Custi alura al g’ha ditt: È turnà to fradel e to par l’ha masà al videl püsè grass parchè al l’ha truvà san e salav.

Al fieu prim al s’è uféz e al vureva mia andà dentar. Par custi so par l’è andè fora e l’ha cmincià a pregal. Ma al fieu l’ha rispondì a so par e al ghha ditt: Eccu, da tant ann to servì e an t’ho mai diśubidì e te ant ta me mia mai dat sultant ön cravett par pudei fa festa coi me amiś. Inveci dop che custi to fieu al s’è mangià tüta la sö roba co il donn da strà, l’è turnè, te, t’he masà al videl pö grass.

Ma al par al g’ha ditt : Cara al me fieu, te t’é sempar co me e cul che è me, l’è to.

Gavma quindi d’ess content e fa festa, parchè cu to fradel l’era mort e l’è resusità, al s’era pers e l’è stat ritruvà.

Versione nel dialetto di Mezzano Scotti

Traduzione di Giorgio Civardi – Grafia da noi proposta .

Al fiö prodigh

On om u gh’èva dü fiö e al püsè giuvan ad luètar l’ha dit al papè : Papè dam la pèrt ad bèn che m’aspèta. E l’ha diviś i so bèn tra luètar.

Dop pöch dé, ha muciè ogni rôba e al fiö püsè giuvan us ne ’nè pr’on sit lontan e là l’ha magiè tüt i so bèn, da siuras. Dop ch’l’èva magiè föra tüt, gh’è stat ona gram miśeria e lü l’ha cmensè a sufrì la fam.

L’è anè a lavurè da von a qul sit là; qul là u l’ha mandè a lavurè ent i so camp a vardè i gogn. E u gh’èva vöia da l’empas la pansa col giand, ch’a magièva i gugnèn, ma adsòn a gh ne dèva.

Gnìd en sentur l’ha dit: quant garśon ent la cà ad me pèr i vansan al pan e me a mör ad fam.

Anarô da me pèr e a gh dirô: Papè, hô pchè contra al ciel e adnans a te, an sô’ mia pö dègn da ès u to fiö, tràtam tant cme von di to garśon.

Dit e fat, l’è anè da so pèr. Da lontan so pèr u l’ha vist e u gh’ha fat compasion e u gh’è anè incontra, u gh’ha trat i bras al col e u l’ha baśè.

Alura al fiö u gh’ha dit: Papè, hô pchè contra al ciel e adnans a té, an sô mia pö dègn da vès al to fiö. So pèr l’ha dit ai garśon: fè prest purtè al vistì püsè bèl e a mtigh on anèl al did e schèrp ai pé. Piè al vidèl püsè gras, masèl, a fuma ona gran fèsta, parchè qul me fiö ché l’era mórt e l’è turnè in vita, a s’era pèrs e l’è stat ritruvè. Cmensùm a fè fèsta. Al fiö püsè grand a l’era lavurè ent i camp, quand l’è vègn a cà l’ha sentid sunè e cantè. Alura l’ha ciamè von di garśon e u gh’ha dmandè côśa sucediva.

Al garśon u g’ha dit: è turnè to fradèl e to pèr l’ha masè al vidèl püsè gras, parchè l’è turnè san e sèlav. Alura u s’è rabiè e un vuréva mia anè in cà. So pèr l’è anè föra e ha cmensè a parghèl.

Lü l’ha dit a so pèr: da tant àn me at fô da servitù e an t’hô mèi truvè da dì a qul ch’at ta dśiva té e at t’me mèi dat un cravèn par fè fèsta con i mé amiś.

Dop che qul to fiö ché, ch’u s’è magiè föra tüt col pütan, a l’è turnè edré, te a t’he masè al vidèl püsè gras.

Al papè u gh’ha dit: chèra al mé fiö te t’é sempar con mé e tüt qul che l’è mé a l’è al to.

Biśognèva fè festa parchè to fradèl l’era mórt e l’è turnè en vita, l’era pèrs e l’è turnè.

Versione nel dialetto di Piacenza

Traduzione di Sandro Ballerini.

Al fieû pîntì

Un om al gh’äva dü fieû e al pô giuvan l’ha ditt a so pär: Papä, damm la pärt di to bein ch’a ma ’spèta.

E al pär al divida i so bein tra lur.

Dop un po ad teimp, al fieû pô giuvan l’ha fatt sô al so rob e ’l pärta pr’andä luntan e là, al sa mangia tütt il so sustans. L’ha fatt al siur e l’ha mäi lavürä.

Quand l’ha fatt fôra tütt e l’è dvintä povar e in pô passäva in qull mumeint un periud ad carestia e lü al pativa la fam. L’ha cercä un lavur a l’äva truvä d’andä dre i gogn. L’ha patì la fam tant ch’al mangiäva qull ch’a mangiävan il besti. E atśoin ag nin däva.

Pinsandga bein, al sa disa: quant upereri lavura da me pär ch’i g’hann pan in abbundansa, e me sum che ch’a mór ad fam.

Andró da me pär e gh’al diró: Papä ho pchè contra ’l ciel e contra te, a sum mia pô degn d’ès tó fieû, tratma tant cme un tó upereri.

Al sa älsa e ‘l va da so pär. A l’era ancura luntan, e so pär al la vêda, e l’é ciappä da cumpassion al gha curra incontra, al ga trà i brass al coll e al la bäsa.

Allura al fieû al gha disa: Papä, me am sum mia pô degn d’ess tó fieû. Ma al so papä l’ha ditt a i so servidur: Prest purtì al vistì pô bell e vistil, a mtig un anell al did e il scärp a i pé. Purtì al videl d’ingrass, massil e fum festa, parchè me fieû l’era mort e l’è resuscitä, al s’era pèrs e l’um ritruvä.

E atse i han tacä a fä la festa.

Ma al so fieû pô grand cl’era in di camp a lavurä, quand al turna a ca al seinta sunä e cantä.

Allura al ciama un servidur e ’l gh’a dmanda cus sücceda.

Al servidur al disa: L’è vegn indré to fradèll e to pär l’ha massä al videll d’ingrass parchè so fieû l’è vegn indré san e salav.

Al fradell vecc al s’è rabbiä e al vuliva mia andä in ca. So pär l’è andä fôra par convincial a fä festa.

Ma lü al risponda: Eccu, ien botta an ch’a me at serav e t’ho seimpar übidì e te at me mai dat gnan un cravein parchè me fiss festa cui me amis.

Ades che chelü al s’è mangiä fôra tüt e al gh’ha pô gnan un sôld, e ultratütt te at gha mass al videll d’ingrass.

E so pär al gha risponda: Car al me fieû, te t’é seimpar cun me e tütt qull ch’a gh’ho dal me l’è ’l tó, l’era giust quindi fä festa par to fradell cl’era mort e l’è resuscitä, al s’era pèrs e l’um ritruvä.

Versione nel dialetto di Marsaglia

Traduzione di Renzo Gnecchi – Grafia da noi proposta .

U fiö prodigo

On omo u gh’ava dü fiö e u püsè śuno di dü l’ha dütto a so pare : Papà, dàmme a parte dra rôba ch’a me spèta. E l’ha spartio i so bèn tra lu.

Doppo pôchi dì l’ha argoiètto ogni rôba, e u fiö püsè śuno us n’è anô pr’ona region lontana e là l’ha spèiśo tüti i so bèn a fà ona bèla vita.

Doppo avèi consümô ogni rôba a gh’è stô ona gram miśeria en cula region e lü a l’ha cmensô a patì a famme. E a l’è anô a lavurà en cà d’iòn ch’u stava en cula region lé e lü u l’ha mandô ent i prò a vardà i gugnèn.

E agh piaśiva empinis ra pansa có e giande ch’i mangiava i gugnèn, ma adsòn a gh ne dava.

Ervenüo l’ha dütto: quanti operai ent ra cà ad me pare i gh’han pan en abondansa enveci me ché a möro ad famme. Starô sö, anarô da me pare e gh dirô: Papà hô pcô contra el cielo e davanti a te an sô pö dègno d’ès ciamô u to fiö, tràtma cme iòn di to operai. E a l’è stô sö e l’è anô da so pare.

Entant ch’a l’era ancamò lontan, so pare u l’ha vüsto, a gh’è ciapô compasion, u gh’ha caminô incontra, u gh’ha trô e brase ar collo e u l’ha baśô.

Alura u fiö u gh’ha dütto: E ‘pà hô pecô contro el cielo e davanti a te, an sô pü dègno d’ès ciamô u to fiö.

Ma u pare l’ha dütto ai so servi, prèsto purtì u vestio pü bèlo e vestilo e mtighe on anèlo u dido e scarpe ai pé, purtì u bucèn pü grasso, masilo, e mangiamme e femm fèsta, perchè ch’u fiö ché a l’era mörto e l’è risüscitô, u s’era pèrso e l’è stô truvô e, a i han cmensô a mangià.

Ma u so fiö grando ch’a l’era ent i prò, quand u s’è avśinô a cà, a l’ha sentio sunà e cantà. Alura a l’ha ciamô iòn di servi e l’ha dmandô côśa sucediva.

Custo u gh’ha dütto: l’è rivô to fradèllo e to pare a l’ha masô u bucèn pü grasso perchè u l’ha ritruvô san e salvo.

Lü u s’è rabiô e un vuréva mia anà in cà, alura so pare a l’è gnio föra e l’ha cmensô a pregalo.

Ma lü a l’ha risposto a so pare e u gh’ha dütto: Ecco, da tanti ànni me ad servissô e an to mai diśubidio e te at ta me mai dô on cravén per fà ona fèsta con i me soci.

Cu to fiö ché, ch’u s’è mangiô tüti i so bèn con e pütane a l’è gnüo a cà, e te at gh’ he masô u bucèn pü grasso. Ma so pare u gh’ha dütto: Caro u me fiö, te a t’é sempar con me e tüt cul ch’a l’è u me a l’è anca u to.

Bśugnava donca mangià e fà fèsta, perchè cu to fradèllo ché a l’era mörto e l’è gnio ar mondo, u s’era pèrso e u s’è truvô.

Versione nel dialetto di Ottone Soprano

Traduzione e grafia del Prof: Flavio G. Nuvolone

E u cuntèia anca ina cunta. In ommu u gh’èia dü figgi. U pü śune de luatri l’ha ittu a u pare : « Pâ, damme a parte de pusessu ch’a me vegna ». E u pare u gh’ha spartiu u sö begn.

Quarche giurnu doppu u pü śune di figgi l’ha regugettu tütu e l’è partiu in t’in paèiśe luntan dure l’ha stragiö cullu ch’u gh’èia: u vivèia da spendasun in tu disandiu.

Doppu ch’u l’èia spèiśu tütu gh’è rivö in te cullu paèiśe ina caristia putènte e u s’è truvö in tu beśögnu.

Alura l’è andö a garsun a sutta d’in hommu de cullu paèiśe, ch’u gh’ha fattu vardâ i pörchi in ti campi. Lê, l’arèia ben vurüiu vimpise a pansa de giande che biascèiu i pörchi, ma ne gh’era anima viva ch’a gh’en dèia.

U ghe pensèia e u se dijèia: « Quanti giurnaré in cà de me pare i gh’han tüte è miche chi vöru, e mi sun chi che möru de famme.

Vöggiu stâ sü e andâ da me pare e dighe : « Pâ, ö fattu mâ cuntra u Sé e cuntra de ti; mi ne sun pü bun d’ese ciamö tö figgiu. Piggeme cumme v’ün di tö garsun».

L’è partiu e l’ha pigiö u camin de sö pare. U ne l’era anca arente che sö pare u l’ha vüstu e tütu lacrimusu l’è curüiu incuntru, u l’ha brasö e u l’ha bajö.

U figgiu l’ha ittu a sö pare: « Pâ, ö fattu u mâ cuntra u Sé e cuntra de ti; mi ne sun pü bun d’ese ciamö tö “figgiu” ».

Ma u pare l’ha ittu a i sö servidû: « Fèi fitu, purtèi chi u pü bellu vestiu e mettèighelu, mettèighe l’anelu a u diu e è scarpe ai pé. Fèi vignî u bucin grassu, majelèilu e pransemmu e femmu festa. Custu me figgiu l’era mörtu e l’è turnö vivu, l’era perdüiu e i l’han turna truvö ». E gian vinsìu a festa.

U figgiu pü grändu l’era anca in ti campi. In tu vignî a cà, quandu l’era arènte, l’ha sentìu chi sunèiu e i cantèiu.

L’ha fattu vignî in garsun e u gh’ha dumandö cöse l’era cullu invejèndu.

U garsun u gh’ha respundüiu« L’è u tö frè che l’è tùrna chi e u tö pare l’ha fattu majelâ u bucin grassu parchè u l’ha üiu tùrna san e sarvu » .

Lê u s’è rabiö e u ne vurèia pü vignî in cà. U pare l’è sciurtìu alura a pregàlu.

Ma lê, u l’ha respundüiu a sö pare: «Cumme te vèji, mi te faggu da garsun da in müggiu d’anni e t’hö sempre dö datrà, e n’hö mai refüiö i tö cumandi, e ti ne te m’è mai dö in cravettu pè fâ festa cun i me amiji. Ma ora che custu tö figgiu l’è tùrna chi, doppu che l’ha scialacö tütu u tö begn cun dè spurcaciunne, ti te gh’è majelö u bucin grassu!».

U pare u gh’ha ittu: « Figiö mê caru, ti t’è sempre insema a mi e tütu cullu che l’è mê, l’è tö. Se duvèia fâ festa e allegria, parché stu tö frè l’era mörtu e ora l’è tùrna vivu, l’era perdüiu e i l’han tùrna truvö ».

Versione nel dialetto di Santa Maria

Traduzione di Fede Filippini -Grafia da noi proposta .

U fiö ch’u s’i pentì

On om u gh’ éva dü fiö e u püsè śuun ad lu u diśa a so par: papà, dàm ra part dra rôba ch’am sa spèta. E lü u divida a sua rôba tra lu.

Dop pôchi dé u ’rgöia tüta a sua rôba e u fiö pü śuun us ne anô ent ona region distant, e là u s’i magiô föra tüt.

Dop ch’u s’i magiô föra tüt, là i gnü ona gran miśeria e l’ha cmensô a patì ra fàm.

E l’i anô a lavurà da on abitant ad qula region, e culà u l’ha mandô ent i so camp a cürà i gogn. E u gh’éva ona fàm ch’a l’aréva magiô ra giada, ma ansòn a gl’ha déva.

Dop, l’ha pensô: a cà d’mé par i so uperai i gh’han pan en abondansa e inveci mé ché a mör ad fàm.

Am sô darsüdô e hô pensô d’anà da mé par e a gh dirô: Papà o pcô contra ar cièl e dadnans a té, an sô mia pö dègn da ès ciamô u to fiö, tràtma cme iòn di to uperai.

E l’i stô sö e lìi anô da so par. A l’era ancamò distant, so par u l’ha vüst e u gh’ha müs compasiòn, u gh’i anô escontra e u gh’ha trô i bras ar col e u l’ha baśô.

U fiö u gh’ha düt: papà hô pcô contra ar ciel e dadnans a té, an sô mia pö dègn da ès ciamô u to fiö. Ma u papà u g’ha düt cô i so servitù: fè prèst, purtègh u vistì püsè bèl, vistil e a mtégh on anèl a u did e on pà da scarp ai pé. Purtèi u vdèl pü gras, masél e fum ona gran fèsta, parchè ch’u fiö ché l’era mórt e l’i turnô en vita, l’era pers e l’um ritruvô. E i han cmensô fa fèsta.

Ma u so fiö magiur, ch’a l’era ent i camp, quand l’i turnô l’ha sentü sunà e cantà. Alura l’ha ciamô on servitù e u gh’ha domandô côśa a gh’era.

U servitù ugh diśa: l’i turnô u to fradèl e to par l’ha masô u vdèl gras parchè u l’ha truvô san e salav.

Alura u s’i rabiô e u n’ha mia vusü anà drénta. U so papà l’i l’anô föra e l’ha cmensô a pargal. Ma lü l’ha rispost a u so papà: Ecu, me che l’i tanti àn ch’at serav e an t’hô mai diśubidì ai to cumand e té an t’he me mai dô on cravìn par fà fèsta con i mé amiś. Ma dop che cu fiö ché, ch’u s’i magiô tüt có’ che putanàs limò, l’i turnô, te at gh’ he masô u vdèl pü gras. Alura u papà u gh’ha düt: Cara u mé fiö, te t’é sempar cô mé e tüt qul ch’l’i u mé a l’i anca u to. Bśugnéva fà ona gran fèsta, parchè u to fradèl l’era mórt e l’i turnô en vita, u s’era pèrs e l’um ritruvô.

Versione nel dialetto di Ceci

Traduzione di Costantino Fraschetta – Grafia da noi proposta.

U fiö péntio

On om u gh’éva dü fiö. U püsè śuun u diśa a so pèr: Pà dam sübtô a mé part d’ereditè. U pèr l’ha diviś u patrimonio tra i dü fiö.

Pôc dé dopo, u fiö püsè śuun l’ha vendü tüti i só beni e cô i sôd ricavè l’andô int on paiś lontan. Là u s’è bandunô a ona vita diśordinà e acsé l’ha spéś tüti i só sôd.

A gh’è stô pö en ca region là ona gran miśeria, e cu śuun là u s’è truvô in gran dificultà.

L’andô alura da iòn di abitant ad qul paiś là e u s’è müsu a e su dipendens. Culé u l’ha mandô ent i camp a fè u guardian di gogn.

A l’éra tant afamô che l’arèsa mangiô e giand che i mangieva i gogn, ma nüsòn gh’i déva.

Alura u s’è müsu a pensô e l’ha düt: tüti i dipedent du mé pèr i gh’ha da mangè a vulontà. Mé invece sô ché a murì ad fam.

A tornerô da mé pèr e a gh dirô: Pà hô pécô contra Diu e contra téi. An sô pü degnu da ès u to fiö. Tràtme cme iòn di to dipedent.

U s’è müs sübto in camèn e l’è turnô da so pèr. A l’éra ancamò lontan dra cà patèrna, quand u so pèr u l’ha vüstu e, u s’è cumòso, u gh’andô incontro, u l’ha brasô e l’ha baśô.

Ma u fiö u gh’ha dütu : Pà hô pécô contra Diu e contra téi . An sô mia pü dègn da ès considerô u to fiö.

Ma u so pare urdinô sübto ai só sèrvi: Prèstu, andèi a pià u vèstì püsè bèlo e féglo mèt sö, a mtéghe l’anèlo ent u dido e dégh on pà ’d sandali. Pö pièi u vdèl cul ch’èmme ingrasô e masél.

Gh’èm da festegià côn ona fèsta u so riturno, parchè cu fiö ché a l’éra morto e l’è turnô in vita, u s’éra pèrso e l’hô ritruvô. E i han cmensô a fè fèsta.

U prum fiö, us truvéva ent i camp. Quand l’è turnô e l’éra rénta cà, l’ha sentü sunè e cantè. L’ha ciamô on sèrvo e u gh’ha dmandô coś’éra sücès.

U sèrvo u gh’ha risposto: È turnô u to fradèl e u to pàre l’ha fat masè u vdél, ch’u ghèm ingrasô, parchè l’ha pudüio avèghe u so fiö san e salv.

Ma u prum fiö u gh’ha düt: da tant àn che lavur par téi e n’hô mai diśubidio a i tó cumand. Epura téi an t’he mé gnanca dô on cravèi par fà fèsta cô i mé amiś. E mò ch’è gnì a cà cu to fiö ché, che l’ha consümô tüt i tó bèni cô e pütèn, par lü t’he fat masà u vdèl gras.

U pàre u gh’ha düt: caro u mé fiö, te at s’é sempre cô mèi e tüt cu ch’è mé a l’è anca u to. Me an pudéva mia fè mia fèsta, parchè u to fradèlo éra par mèi mórto e mò l’è turnô en vita, l’éra pèrso e l’hô ritruvô.

Versione nel dialetto di Varzi

Traduzione a cura del Gruppo Dialettale dell’ Ass. Varzi Viva

Er fiö cur man büš (stragión)

Un om u gh’èva dü fiö. Er pü šun di dü u gh’à dit : « Pupà, dam ra pòrt ch’a me spèta »; so pòr alura l’à diviš ra so róba in du pòrt e,dop quòch dè, er so fiö l’à piò sò tüt e us né indat luntan .

Int’ un bat d’òg’ l’à fat fö tüt e intant ch’u cunsümèva tüta ra so róba, in qul paiš là u gh’è stata una gran caristia e lü, ch’un gh’èva pò nént, u fèva ra fam.

Alura l’è indat a lavurò cmè guardian di gugnén e l’avrèsa mangiò incasè er giand ch’igh dèva ar besti, ma inśön ugh na dèva.

Alura l’à cuminciò a rašunò : «Quanti garsón in ca ed me pòr i gh’àn da mangiò in abundansa, e mè a són chè a fò ra fam !!. A starò sò, a indarò da me pòr e agh dirò: Pupà, ò fat-e-pcò contra er sé e dednans a te. An són pò dègn ed jès cunsidrò er to fiö, tratòm cmè vön di to garšón »

Alura l’è stat sò e l’è indat da so pòr; l’era ancù luntan ma so pòr u l’èva šamò vüst e u gh’è curs incontra, u l’à brasò sò e u l’à bašò. Alura er fiö u gh’à dit:« Pupà, ò fat-e-pcò contra ar sé e dednans a tè, an són pò dègn ed jès ciamò “er to fiö”.Ma er pòr l’à urdinò ai servitù:« Purtaei ché èr vistì pü bael, mtigh un ané ar digh e dèr scòrp ai pé; purtaei er vidé pü gras, masael e fuma faesta, perchè qul fiö chè l’era mórt e l’è risüsitò, u s’era pèrs e a l’uma truvò ancù.

Ma er fiö pù vaeg’, cl’era int’ i camp, l’à sintì che in ca i fèva faesta: l’à ciamò un servitù per dumandògh s’l’era süciaes. Er servitù u gh’à rispost : « to fradé l’è gnì a ca e to pòr l’a fat masò er vidé pü grass perchè u l’à trüvò san e sòlv».

U s’è tante rabiò ch’un vrèva manch indò in ca, ma so pòr l’è surtì per fòl indò (in ca) draenta.

Alura lü u s’è tante rabiò ch’un vrèva manch andò in ca e so pòr l’è surtì per fòl indò draenta. Ma lü u gh’à rispost :« mè a t’ò servì per tanti an e a t’ò saempòr óbdì e tè en t’ m’ò mòi dat un cravén per fò faesta cun i me amiš. Ma adaes che me fradé l’è turnö , dop jesòs mangiò tüt cun der don da póch, te t’ò masò er vidé pü gras ».

Ma er pòr u gh’à dit :« Còr er me fiò, tè t’é saempòr stat cun mè e tüt qul ch’a gh’ò l’è róba tua. Ma adaes a devòm fò faesta perchè to fradé l’era mórt e l’è risüsitò, u s’era pèrs e a l’uma truvò ».

Versione nel dialetto di Voghera

(Traduzione di Carla Portolani)

Al fiö grândiúus

Un òom u gh’iva dü fjö e al pü giuun, un dì l’à dit a so padâr: Papà, dam la paart d’la ròba ch’am tuca a mi. Insì al padâr l’ha spartì la pruprjetà.

Un quâich dì dòp, al fjö ch’a v’ö dit, l’ha fat su arâm e bâgàaj, u s’n’è andat int’un paijs luntan e l’ha dat foond a un djavul e mèes ad roba andândâ in gòglâ e magòglâ.

Quand l’è restà sensâ al bèch d’un quatrèn, là indè ch’a l’era è capità, ultrapü, ’na gran caristia e lü l’ha cmencià a ’vègh la lua e insì l’è andàt a lavurà a cà d’un particulàar ch’ul l’ha mândà int’i so caamp a stagh âdrerâ aj gugnèn, e l’avris vursù impinis la pânsâ ad cuj giândâl là ch’i mangiavân i pursè, ma gh’era ’nsönâ ch’a g’nin davâ.

Alurâ l’ha capì d’âvègh avü pocâ testâ a l’ha dit: Quânti servituur a cà ’d me padâr i gh’àn dal pan in bundânsâ,e mi a ston chi a cascà d’la faam. Am fârö curaag ândrö da me pâdar e gh’dirö: Papà, mi ö pcà contrâ ’l ceel e contrâ ti e a son pü dâgn ’d vès ciâmà to fjö. Tratâm doncâ me von di to servituur.

Tirà me na lüsèrta, l’ha fat sü ’l so fagutèn e l’è andàt a ca sua. A l’era incurâ lontàn e so padâr u l’ha vist; u gh’à vü cumpâsjon, u gh’à trat i bras al cool e u l’ha basà.

Alura al fiö u gh’à dit: Papà, mi ö pcà contrâ al ceel e contrâ ti, a son pü dâgn ’d vès ciamà al to fjö.

Al pâdar l’ha ciâmà i servituur e u gh’à dit : Muvèev, fè prâst, purtè chi la vèsta püsè bèla e metiglâ sü, matègh un anè al diid e un bel parâ da scarp aj pé, andè int’ la stalâ, piè ’l vidél gras, masèl, mangiumal e fuma ribotâ,parchè stu fjö chi a l’era mort e l’è resüsità, al s’era pèrs e l’uma truvà. E i han mis i pé sutâ la tavulâ.

Al fjö ’l prim l’era int’i caamp a lavurà, quaand l’è rivà e l’è stat arentâ a cà sua l’ha sentì ’na bèla musicâ e i vuus ad geent ch’a cântavâ. Alurâ l’ha ciamâ un servutuur e u gh’à dit s’a l’era stâ fèstâ. Al servituur u gh’ha rispost: To frâdé l’è nü a cà e to padâr l’ha fat masà al videel gras, parchè u l’ha truvà san e saalv.

Al fjö al prim a gh’è saltà al fut e ’l vuriva no andà in cà, Sichedoncâ so padâr l’è nü förâ e l’ha cmencià a pregaal d’andà drentâ. Ma lü u gh’à rispost : A l’è tantu teemp ch’a lavuur cun ti e a t’hö sempâr purtà rispet e a t’m’è maj dat nânca un crâven da fa ribotâ cuj me amiis. Ma penâ che cul to fjö là, ch’l’ha fat förâ tüt al so cun di plândràs senśa vârgognâ l’è rivà a cà, ti t’è fat masà al vidèel gras.

E lü u gh’à dit : Oh, ’l me tâstòn , ti t’a stè sempâr cun mi e tüt la me roba a l’è la tua, ma adès absugnavâ ès cunteent e fa ribotâ pârchè to fradè l’era moort e l’è resüsità, u s’era pèrs e l’uma truvà incurâ.

Versione nel dialetto di Pavia

(Traduzione di Carlo Moroni )

Al fioe prodigh

Un om al gaviva dü fioe e di dü, al püsè giuvin agh disa al papà: Papà, dam la part ’d la sustansa ch’am tuca. E al papà l’à fat la division di sò sustans Poch dì dopu al fioe püsè giuvin l’à mis insèma tüt al sò avé e sn’è andat in un paes luntan indè che, vivinda da discul e sensa sügh, l’à fat foera prest al sò patrimoni.

Quand ch’al gh’à avü pü gnent e in l’istess temp in dè ch’l era gh’è gnüd una gran carestia, lü l’à cumencià sentì la miseria e savè pü se fa.Al s’è miss al servisi d’vün di abitant dal sit, e quést l’à mandà int i so camp a cürà i pursé. Lü al gh’aviva tanta fam e l’avriss vurü sfamass mangianda i geand che i pursé i divuravan, ma nesün gh’na dava.

Rifletenda e rientranda int la ragion, al s’è ditt: Quanti servitur in cà ad mè papà i gh’àn tanta pän mentre mi sum chì a murì d’fam!. Levi sü e vo da me papà a digh: Papà ò pecà contar al ciel e contra ti. Sum pü degn da vess ciamà al to fioe, tràtam cume vün di to servitur. L’à saltà in pé e l’è andat da so papà. L’era ammò luntàn quand so papà l’à vist e, pien d’cumpasiun, al gh’è curs incontar, al gh’à miss i brass al coll e la basà.

Papà, l’à dit al giuvnot, ò pecà contar al ciel e contra ti: sum pü degn da vess ciamà al to fioe.Ma al papà l’à urdinà ai so servitur: Svelt, purtè chì al vestì püsè presius e metigal a doss, metigh l’anell al did e i scarp ai pé e purtì chì al videll ingrasà e masumäl, e che tüti i mangian e i banchètan, pärchè al mè fioe, second, l’era mort e l’è turnà a viv, l’era perdü e ’l s’è ritruvà. Insì i àn comencià a fà un gran fésta.

Al prim fioe l’era int i camp a laurà e quand, finì, l’è gnüd vers cà, l’à sentì sunà e cantà e l’à vist balà. L’à ciamà vün di servitur e al gh’à dumandà se ca sucediva e s’äl vuriva dì. L’à rispost al servutur: è riturnà tò fradell e tò papà l’à masà al videll grass par la cuntentèssa d’avel rivist sän.

Al fioe magiur al s’è rabià e al vuriva no andà dentar cà. Alura è gnüd foera so papà par persüadal, ma lü al gh’à dit: Védat, papà, i en tanti an che mi d’servi, che übidisi ai to urdin, epüra ta m’è mai dat nanca un capret da godam cun i mè amis, vegna inveci a cà al to fioe minur ch’l’à fat foera una sustansa in dònn e bagurdi, e ti t’agh masät al videll ingrassà.

Fiulon, risponda al papà, ti sét sempar stat cun mi, tüt al mè l’è to, ma l’era giüst fà una gran festa e banchetà e vess alegar, pärchè tò fradell l’era mort e l’è turnà a viv, l’era perdü e ’l s’è ritruvà.

Versione nel dialetto di Lodi

(traduzione di Luigi Samarati, Prof. Alessandro Caretta e Prof. Giancarlo Rezzonico)

El fiöl ch’el gh’eva le man büse

Gh’era una vòlta un òm ch’el gh’eva dü fiöi. El püsè giuin di dü el ghe diss a ssò pader: Papà, dam la me part de la ròba che la me tuca a mi.E lü el sspatiss el ssò tra de lur e dòpu un quèi di’ el püssé giuin el cata ssü tüta la ssò ròba e ‘l va via in d’un ssit luntan luntan, e là el fa föra tüt quel ch’el gh’eva, perchè el ss’era mis a fa la bèla vita.

Quand el gh’ha sspess pròpi tüt, in de chel paess là ven una gran fam, e lü el sse tröva in mess al bisògn. Alura el va e ’l sse taca a vün de quèi che ssteva in de chel sit là, e quel là la manda in di ssò campi a cürà i ròi.E lü l’avaress vurssüt impieniss la panssa cun el cacau che mangeva i ròi, ma nissün che n’a deva. Alura el ghe penssa ssü e ’l diss: Quanta gent che l’è ssuta mè pader i gh’han pan da tra via, e mi invece sson chi a mörì de fam. Adess levi ssü e vò da me pader e ghe disarò “Papà, hò sbaliat davanti al ciel e davanti a ti, e pödi pü gnanca ciamam tò fiöl; ciapum tame vün de quei che te ghe ssuta de ti”.

El leva ssü ssübet e el va da ssò pader. Ma intant che lü l’era amò disstant, ssò pader la vede e ’l sse ciapa cumpassion, el se met a cur, el ghe ssalta al còl e la basa.

Alura el ssò fiöl el ghe fa: Papà, hò sbaliat davanti al ciel e davanti a ti, e pödi pü gnanca ciamam tò fiöl!. Ma ssò pader el ghe diss ai ssò sservituri: ssü, fe svelt ! Purté chi el vesstit püssè bèl e meteghel ssü; pö meteghe un anèl al dit e de le scarpe ai pe, e purté chi el vitel ingrassat, massel e fem baldòria, perchè chel mè fiöl chi l’era mòrt, e invece a l’è ressüscitat, el ss’era perss e l’hò truat amò! E i sse metun a fa baldòria.

Ma el ssò prim fiöl, che l’era in di campi, quand el turna indré e l’è arent a ca, el ssente cantà e balà, el ciama vün di garsuneti e ’l ghe dumanda che ròba l’era.

Quel là el ghe cünta ssü tüt: Tò fradèl l’è vegnüt indré e to pader l’ha massat el vitel ingrassat, perchè l’è reüssit a aveghe amò ssò fiöl ssan e ssalvu!.

Lü alura el se rabia e ’l völ nò anda dent: ma ssò pader el ven föra lü e la ciama dent. Ma lü el ghe risspunde e ’l ghe diss a ssò pader : Varda, quanti ani l’è che mi sson chi a sservissi da ti, e mai una vòlta t’ho übidit nò, e ti mai una vòlta te me dai un cavret, da püdè fa un disnà cun i mè amisi. Ma adess che ven a ca chel tò fiöl chi, che l’ha fai föra tüt inssema cun le pütane, ti t’he massat per lü el vitel ingrassat !

Lü el ghe risspunde: Cara el mè fiöl, ti te sse ssemper cun mi e tüt quel che gh’hò l’è anca tò. Ma gh’evum da disnà e fa festa, perchè chel tò fradel chi l’era mòrt, e invece l’è ressüscitat, el ss’era perss, e l’hò truàt amò.

Versione nel dialetto milanese

(Traduzionedi Franco Nicoli)

El fiö straśùn

Un om el gh avéva dü fiö e l püsè giuvinn de lur el ghe diś a so pader: Papà, dam la part de sustansa che me spèta. E lü el spartìs tra de lur i so ben.

Un pu de di dopu, el fiö püsé giuinn mis insèma i so rob, el partìs per un paéś luntán, due el tra via tüt i so ben cunt una vita de spurcaciùn.

Dopu avè cunsümá tüscòs, in quél paéś ghe vén una carestia e lü el cumincia a sentì la miśéria. Alura el va mètes a servisi de vün de quèl paéś che le manda in di so camp a pasculà i purscèi. E lü el gh avéva una vöia mata de impienìs el vénter cunt i giand che mangiavenn i purscèi, ma nisün ghe ne dava.

Alura el mèt el cu a partì e l diś : Quanti uperari in ca da mè pader gh ann pan a vuluntá e mi invéci sun chi che möri de fam. Levarù sü e andarù in del me papà e ghe diśarù: Papà, u pecá cuntra el Ciel e cuntra de ti; mi nu sun pü dègn de vès ciamá el to fiö, tratum pür cume vün di to uperari.

El léva sü e l va de so pader. Intanta che lü l éra anmò luntán, el so papà le véd e l gh a cumpasiùn; el ghe va incuntra e l ghe se büta al col e le baśa sü. El so fiö el ghe diś: Papà, u pecá cuntra l Ciél e cuntra de ti; nu sun pü dègn de vès ciamá el to fiö.

Ma el pader el cumanda ai so servitùr: Prèst, purté chi el vestì püsé bèl e metighel adòs, infilégh un anèl al did e i scarp ai pé. Purté el vitèl ingrasá, masìl e che se mangia e che se faga un gran diśnà, perchè stu fiö chi l éra mort e l è turná viv, l éra perdü e l è sta truà nuvamént. E cumìncienn a fa un gran diśnà.

El fiö magiùr che l éra in di camp, in del turnà a ca, quand el vén viśìn, el sént a sunà e cantà, el ciama un servitùr e l ghe dumanda se vör dì tüta sta storia.

E quèl el ghe rispùnd: El to fradèl l è turná a ca e to pader l a fa masá el vitél ingrasá perchè l a truvá san e salv.E quél ,alura, el se inrabìs e l vör no andà dénter, tant che so pader el vén föra e l cumincia a pregàl, ma lü el ghe rispùnd insci al so papà: Ècu, de tanti ann te sèrvi e u mai trascürà i to cumánd. E pür a mi te m é mai dá nanca un cavrèt de gudèmel cunt i mè amìś. Ma quand l è vegnü stu fiö che l avéva magná föra tüta la sua sustansa cunt i dunàsc, ti te gh é fa masá el vitèl ingrasá.

E lü el ghe diś: Cara el mè fiö, ti te sé chì cun mi e tüt quél che l è mè, l è anca to.Biśugnava fa fèsta e gibilà perchè el to fradèl l éra mort e adès el viv ancamò, l éra perdü e l è sta truá nuvamént.

Versione nel dialetto Torinese

(Copiato dal libro “Saggio sui dialetti Gallo-Italici” di Bernardino Biondelli – Forni Editore Bologna)

ün òm a l’avia doi fiöi; cul pi gióvo l’à dit a sò padre: dème la part di beni ch’a m’ tuca; e chièl d’cui beni l’à fàine doe part.

E da lì a pochi dì ‘l fiöl pi gióvo, bütà ansèm tüt cul ch’a l’avia tirà di sò beni, s’è andàsne ant’ ün pais lontàn, e là mnànd üna vita ossiosa e lüsüriosa, a l’à dilapidà ‘l fat sò. E dop d’avèi consümà tüt lo ch’a l’avia, venta ch’ant cul pais aj nassa üna famina dle pì fiere, e che chièl comensa a manchè del necessari; e s’è dasse ardriss, e s’è agiüstasse al servissi d’ün sitadìn d’ cul pais, ch’a l’à mandàlo a na soa cassina con l’impiég de mnè i pors an pastüra.

E a desiderava d’empisse la pansa d’cui agiànt istèss ch’i pors a mangiavo; e j’era gnün ch’a i portéissa.

Ma anfin antrà ‘nt se stess l’à dit: Quanta gent salarià a cà d’mè padre l’à d’ pan an abondansa, e mi son sì ch’i möiro d’ fam !. L’è temp ch’l m’leva da sì, e ch’i vada da mè padre, e ch’ij dia : Padre, mi i’ ö pecà contra ‘l siél e an vostra presensa, i son pì nén dégn d’esse ciamà vost fiöl: acetème cm’ün di vostri servitùr.

E alvandse sü, l’è vnü da sò padre. Ma già st’ povr fiöl, trovandse giümai vsin a la cà d’sò padre, chial-si l’ha vdülo, e pià da la compassión j’è corüje ancontra, l’à ambrassàlo e basàlo.

E ‘l fiöl j’à dije: Padre, mi i’ö pecà contra ‘l siél, e an vostra presensa; son pì nén dégn d’esse ciamà vost fiöl.

Ma sò padre l’à dit ai sò servitór: Tirè sübit fora la vesta pì presiosa e bütèila; bütèje sò anèl ant’el dì, caussèje i stivalét; e mnème sì ün vitèl bin grass, massèlo, e fè ch’la cüsina a branda, ch’a j sia ün disnè e ün tratamént da nosse; perchè sto mè fiöl l’era mort, e l’è tornà a vive; s’era perdüsse, e l’ö tornàlo a trovè; e s’son bütasse a tàula.

Ma ‘l fiöl pì vèj l’era an campagna; e vnènd vers cà, quand a n’è stane vsìn, l’à sentü ch’a s’ sonava, e ch’a s’ balaba.

L’à ciamà ün di servitór, e a l’à interogàlo del perchè d’cla novità ? E chial-sì j’à dije : Vost fratèl l’è vnü, e vost padre l’à fàit massè ün vitèl bin angrassà, perchè l’à ricüperàlo san e salv.

A ste parole-si l’è andàit an còlera, volia pì nén intrè ‘nt’ cà. Per lo, so padre surtlènd chièl istèss a s’é fasse a preghèlo d’ vorèi intrè.

Ma ‘l fiöl rispondèndje a j’à dije : Son tanti ani ch’i v’servo, e l’ö mai trasgredì ün di vostri órdin; e voi m’avì mai dàme ün cravót da fè ün ragosìo con i mè amis. Ma apena vnü sto vost fiöl, ch’a l’à divorà ‘l fat sò con d’ fémme d’mala vita, i fè massè pr chièl ün vitèl bin angrassà.

Ma ‘l padre a jà dije: Mè car fiöl, ti t’ses sempre con mi, e tüt lo ch’a l’è mè, l’è tò. Ma bsognava dè ün gran past, e fè n’argioisansa, perchè to fradèl lo cherdìa mort, e l’ö tornàlo a vede viv; l’avia perdülo, e l’ö tornàlo a trovè.

INDICE

PAG.

PREFAZIONE 1

INTRODUZIONE 3

LE VOCALI

– La vocale A 5

– La vocale E 5

– La vocale I 6

– La vocale O 6

– La vocale U 7

LE CONSONANTI

La consonante B 7

La consonante C 7

La consonante D 7

La consonante F 7

La consonante G 8

La consonante H 8

La consonante L 8

La consonante M 9

La consonante N 9

La consonante P 10

La consonante Q 11

La consonante R 11

La consonante S 12 La consonante T 12

La consonante V 12

La consonante Ś 12

GLI ARTICOLI

– Gli articoli determinativi 13

– Gli articoli indeterminativi 17

LE PREPOSIZIONI

– La preposizione Di 18

– La preposizione A 18

– La preposizione Da 19

– La preposizione En 19

– La preposizione Côn 20

– La preposizione Ens 20

– La preposizione Par 20

– La preposizione Tra 21

– Le preposizioni improprie 21

I SOSTANTIVI 22

LA SOSTANTIVAZIONE 26

GLI AGGETTIVI 28

– Gli aggettivi qualificatifi 28

– Gli aggettivi possessivi 30

– Gli aggettivi dimostrativi 32

– Gli aggettivi interrogativi 33

– Gli aggettivi esclamativi 34

– Gli aggettivi indefiniti 34

– di qualità 35

– di quantità 35

– Gli aggettivi numerali

– cardinali 36

– ordinali 37

– moltiplicativi 37

– distributivi 37

– I gradi dell’aggettivo

– positivo e comparativo 38

– di uguaglianza 38

– di maggioranza 38

– di minoranza 39

– Il grado superlativo

– Il superlativo relativo 39

– Il superlativo assoluto

Alterazione dell’aggettivo 41

– Posizione dell’aggettivo 41

I PRONOMI

– Personali

– tonici soggetto 42

– atoni soggetto 42

– ToniciI complemento 43

– Atoni complemento oggetto 43

– Atoni complemento di termine 43

– Pronomi atoni

– complemento oggetto 43 – complementodi termine 43

– Altri pronomi

– complemento oggetto 45

– complemento di termine 45

– La particella pronominale

PRONOMI TONICI COMPLEMENTO E ATONI SOGGETTO 47

– Il pronome « GHE » 47

– pronome personale complemento (dativo) 48

– particella avverbiale di luogo 49

– particella usata con il verbo « iès »

– come enclitica 49

– come pleonastica 49

– pronome dimostrativo 49

– particella accompagnatoria del verbo « avèi 50

LE PARTICELLE PRONOMINALI MI – TI – SI – CI – VI 50

– quando si uniscono con i pronomi « lo, la, li, le e la particella ne » 50

– la particella « mi » 50

– la particella « ti » 51

– la particella « si » 52

– la particella passivante « si » 52

– ponome indefini

– la particella « ci » 53 – come avverbio di luogo 53

– come enclitica 53

– come particella pleonastica 53

– come pronome dimostrativo 53

– come pronome reciproco 53

– la particella « vi » 54

– quando si uniscono al verbo all’infinito ed all’imperativo presente 54

LA PARTICELLA RIFLESSIVA DI TERZA PERSONA « SÈ » 55

I PRONOMI RELATIVI 55

I PRONOMI MISTI 56

I PRONOMI INTERROGATIVI 57

I PRONOMI ESCLAMATIVI 58

I PRONOMI POSSESSIVI 58

I PRONOMI DIMOSTRATIVI 59

I PRONOMI INDEFINITI 60

L’ AVVERBIO 61

LE LOCUZIONI AVVERBIALI 63

LE LOCUZIONI PREPOSITIVE 64

IL VERBO 64

– Intransitivi 65

– Transituvi 65

– la forma attiva 65

– la forma passiva 65

– la forma riflessiva 65

– propria 65

– apparente 66

– reciproca 66

– la forma pronominale 66

LA CONIUGAZIONE DEL VERBO 66

L’ INDICATIVO

– Presente 68

– L’Imperfetto 70

– Il Passato prossimo 71

– Il Futuro semplice 71

– Il Trapassato prossimo 72

– Il Futuro anteriore 72

IL CONGIUNTIVO 73

IL CONDIZIONALE 76

IL GERUNDIO 78

L’IMPERATIVO 79

L’INFINITO 79

IL PARTICIPIO 84

LA I CONIUGAZIONE ( Verbo cañtè) 87

LA II CONIUGAZIONE (Verbo scriv ) 90

LA III CONIUGAZIONE (Verbo finì) 93

I VERBI AUSILIARI – Il verbo « iès » 96

– Il verbo « avèi » 100 I

VERBI IRREGOLARI 103

IL PASSIVO DEI VERBI REGOLARI 104

IL VERBO RIFLESSIVO 105

I VERBI IMPERSONALI 105

IL PRONOME RECIPROCO 106

IL PRONOME INDEFINITO 106

IL PLURALE DEL VERBO 107

IL FIGLIOL PRODIGO

– Versione nel dialetto di Bobbio 112

– Versione nel dialetto di Coli 114

– Versione nel dialetto di Perino 116

– Versione nel dialetto di Mezzano Scotti 118

– Versione nel dialetti di Piacenza 120

– Versione nel dialetto di Marsaglia 122

– Versione nel dialetto di Ottone Soprano 124

– Versione nel dialetto di Santa Maria 126

– Versione nel dialetto di Ceci 128

– Versione nel dialetto di Varzi 130

– Versione nel dialetto di Voghera 132

– Versione nel dialetto di Pavia 134

– Versione nel dialetto di Lodi 136

– Versione nel dialetto di Milano 138

– Versione nel dialetto di Torino 140

AUTORI CONSULTATI

Enrico Mandelli Il dialetto bobbiese

Franco Nicoli Grammatica Milanese

Manlio Cortelazzo Dizionario etimologico della lingua italiana

e Paolo Zolli

Zingarelli Vocabolario della lingua italiana

Bernardino Biondell Saggio sui dialetti Gallo-Italici