Antologia Bobbiese

Il Dialetto Bobbiese Nella Storia

Il dialetto bobbiese, pur essendosi sviluppato come tutti gli altri dialetti partendo da un latino medioevale, si è poi modificato nel tempo con inserimento di vocaboli nuovi portati da popolazioni che man mano si affacciavano sul suo territorio. Infatti nei vocaboli, ancora oggi utilizzati dalla parlata locale, troviamo parole che risalgono ai vari periodi storici.

Bobbio, nel suo isolamento è, a mio avviso, la località che più di ogni altra ha potuto assorbire le diverse modalità espressive derivanti dai vari visitatori.

Liguri, celti, romani, longobardi, franchi, spagnoli, austriaci, francesi hanno sicuramente contribuito a modificar e il dialetto bobbiese, con suoni e vocaboli nuovi che lo hanno reso più ricco e più adatto alle varie tecnologie che si sviluppavano nel tempo. Quello che, senza dubbio, succede ancora in questi tempi moderni, obbligando la popolazione ad assorbire termini per spiegare le nuove situazioni, trasformando parole italiane in vocaboli dialettali.

Analizzando i vari vocaboli del Vocabolario del Bobbiese ho notato che del periodo della popolazione dei liguri, sempre a mio modesto avviso, sono rimasti nel dialetto gli articoli determinativi u e a, articoli che si trovano ancora nella parlata genovese e che nel vernacolo bobbiese si utilizzano solamente davanti ad alcuni vocaboli adoperando per gli altri gli articoli determinativi ar e ra.

Il popolo dei liguri era diviso in vari gruppi ed il gruppo che si stabilì nella nostra vallata fu il Bagienno che dominò la zona per più di cinque secoli, partendo dall’Età del Ferro (I° millenio a.C.) (Fibule, asce, scalpelli e aghi crinali sono stati trovati nel villaggio del Groppo a testimonianza di questo popolo, oltre alla tomba rupestre della Spanna, località vicina a Barberino.

Durante il V secolo a.C., l’arrivo nella Pianura Padana dei celti, che lasciano nel nostro dialetto le parole “rénta”, renta (vicino); “ciapè”, hapà (prendere); “cavàgna”, kavagna (cesta); “furèst”, fforest (selvaggio, selvatico); “bgnòn”, bunia (foruncolo, bubbone) ed infine “garòn”, calon (coscia) e successivamente dei galli Boi spinse i liguri a rifugiarsi nelle valli interne dell’Appennino. La stessa sorte che toccò alle popolazioni celtiche quando i romani, nel 222 a.C., occuparono gran parte della Pianura Padana.

Del periodo dei galli Boi, così i romani chiamavano i Celti, rimane a loro testimonianza il Saltus Boielis, il primitivo nome del monte Penice. Il nome deriva dalla radice Boi che poi si trasferisce al vicino torrente e nell’epoca romana (Boi, Boielis, Bouium, Bovium, Bobium) a Bobbio.

Solamente dopo il 14 a.C. i romani riescono a sottomettere le popolazioni liguri e la zona di Bobbio entra a far parte del Municipio di Velleia.

Di questo periodo romano moltissime parole entrarono nel dialetto bobbiese quali, per esempio: “agnè”, agnatu(m) (nidiata); “alùra”, illa(m) hora(m) (allora); “ambùrdan”, laburnum anagyroides (maggiociondolo); “angìna, angina(m) (angina); “arbiòn”, erbilliones (tardo latino: pisello selvatico); “bütìr”, butÿrum (tardo latino: burro); “buvàsa”, bovariam (sterco di bue); “camiśa”, camisia (tardo latino: camicia); “cavagnè”, cavanium (cestaio); “ciavè”, clavare (chiudere con la chiave); “pèrsagh”, persicum; “śdèla”, situla (secchio); “śinch”, zincum (zinco); “spitè”, spectare (latino parlato: aspettare); “strìa”, Stiga(m) (strega); “śgagnè”, ganeare (mordere, addentare); “gibùl” gibbum (ammaccature) “téma”, thema(m) (tema); “tiböri”, tigurio (latino medioevale: luogo sotteraneo); “tòpia”, opera topia (pergolato); “trasparent”, trasparente(m) (trasparente); “trüchè”, trudicare (latino parlato: truccare); “vài”, vallu; “versiòn”, versionem (latino medioevale: il vaglio del grano).

Anche nella toponomastica abbiamo nomi latini: Saltus Boielis (monte Penice), Saltus Dinium (monte Pradegna), Saltus Lesis (monte Lesima), rivus finalis (Ruffinati), ad confluentiam (Confiente) ed infine Bobium (Bobbio)

Con tutta probabilità l’insediamento di Bobium avvenne intorno al V secolo, infatti la tomba della famiglia patrizia di Cocceio, trovata a Bobbio, risale a quest’epoca.

I longobardi scesi in Italia nel VI secolo, conquistano Pavia nel 572 e dopo pochi anni anche la Val Trebbia. Il condottiero Sundrarit si impossessa delle saline e del territorio di Bobium. Dico questo per segnalare l’importanza delle fonti solforose che sgorgavano in questo territorio e che permettevano anche l’approvvigionamento di questo minerale, oltre alle ricche acque del fiume Trebbia che davano pesci in abbondanza.

Nel 613, dopo aver ricevuto in donazione dal re Agilulfo vaste porzioni di territorio, San Colombano giunse a Bobbio dove, attorno ad una vecchia chiesa dedicata a San Pietro, sorsero le prime costruzioni del Monastero. San Colombano morì il 23 novembre 615, ma il suo Monastero divenne un centro culturale importantissimo dell’Italia Settentrionale.

Il Cenobio sorgeva su un’area demaniale concessa dal sovrano e la realtà era che si amministrava autonomamente. Divenne una potenza anche economica e i suoi territori erano sparsi per tutta l’Italia settentrionale dalle coste del mar Ligure al lago di Garda.

Di questo periodo restano i seguenti vocaboli: “pèlch”, palk (tavolato); “scür”, skur, buio “baléra”, ball (ballo); “biànch”, blank (bianco lucente); “spachè”, spann (fendere); “stràch”, strak (teso, tirato); “stùram”, sturm (stormo); “scafèl”,skaf (armadio); “scàgn”, skranna (sedile); “bànca”, banka (banco); “fudrèta”, federa (federa); “süpa”, supfa (polenta tenera); “tànf”, thamf (vapore fumo); “grèpia”, kruppja (mangiatoia); “grùp”, krupp (nodo, intoppo) ; “stèrs”, sterz (manico dell’aratro); “stèch”, stek (verga, piolo); “schìda”, skid (pezzo di legno) ; “canàpia”, nappja (naso); “lèrfa”, leffur( labbro animale); “strusè, strusìn”, strozza (gola); “magòn”, mago (angoscia, pena, stomaco); “schéna”, skena (osso, stinco); “barèla”, bara (portare); “ślìta”, slita (slitta); “gràm”, gram (dolente, triste); “bśiòn” buson (animale spaventato da punture di tafani); “lùch” luk (non saldo); “grìf”, grif (artiglio);“spàna” spanna (mano); “mìlsa”, milzi (milza); “grànfi”,krampf (crampo); “schersè” skerzan (scherzare).

Con i Carolingi, dinastia franca (nel 774 conquistarono Pavia), il Monastero diventò un feudo imperiale e l’abate dipese dall’autorità politica. Il titolo di abate iniziò ad essere considerato un beneficio ed assegnato ad ecclesiastici vicini alla corte imperiale.

Tra gli ultimi abati di questo periodo (883-896) abbiamo Agilulfo. Sotto la sua reggenza si abbandonò la sede originaria sulla collina, dov’è ora il castello, ed iniziò la costruzione del Monastero nella posizione attuale.

Di questo periodo i vocaboli: “béd”, (letto del torrente); “bénda”, binda (fascia), “tvàia”, thwalja (tovaglia).

Nel X secolo incominciò la decadenza del Monastero. Venne meno la protezione pontificia, mentre la carica di abate venne data a personalità che non l’esercitarono effettivamente e questo portò a problemi amministrativi che indebolirono sempre più il Monastero. Venne poi il periodo del Vescovo-Conte. La Contea di Bobbio nacque nel 1046 con il vescovo Luisone e finì nel 1095 con il vescovo Guarnerio, caduto in disgrazia essendosi schierato con l’imperatore e costretto ad abbandonare la carica.

La disgrazia di Guarnerio consentì ai notabili laici che collaboravano all’amministrazione della Contea di rimarcare la loro indipendenza dal potere feudale e all’inizio del XII secolo, si formarono i primi istituti comunali di tipo consolare.

Dopo varie vicissitudini, il 7 giugno 1173, davanti al console di Piacenza, giurarono due nuovi consoli e 125 cittadini di Bobbio entrarono così a far parte della Lega Lombarda.

Sul finire del XII secolo la città di Bobbio venne cinta da mura ed il tessuto urbano crebbe attorno al complesso monastico.

Sul principio del XIII secolo si decreta l’assoggettamento dell’abate al vescovo, ma l’imperatore Ottone IV tenta di riprendere il controllo nominando nuovo vescovo Oberto I; il Comune insorge costringendo alla fuga il nuovo Vescovo che ritornerà il 23 novembre 1212 quando l’esercito piacentino assedierà Bobbio. Nel 1216 viene nominato il primo podestà ed il Comune da consolare diventa podestarile.

Nel 1304 Corradino Malaspina diventa signore della città e Bobbio diventa Signoria, ma questo dominio cessa nel 1341 con l’arrivo dei Visconti.

Nel 1341 Bobbio è aggregata alla Signoria di Milano e dal 1395 ridiventa Contea e segue le alterne vicende politiche di Milano che da Signoria diventa Ducato.

Nel 1436 diviene feudatario di Bobbio e Voghera Luigi Dal Verme (1436-1449); la famiglia Dal Verme si stabilisce nel castello di Bobbio a cominciare dal XVI secolo. Dall’alto vegliano su Bobbio i Visconti e nel 1447 viene formata la Repubblica Ambrosiana.

Forse di questo periodo è büscai, (legna minuta per il fuoco).

Nel 1499 inizia il periodo del Ducato francese che si alterna con gli Sforza fino al 1525 che, con la battaglia di Pavia, segna la fine del dominio francese in Italia del Nord e l’inizio di quello spagnolo.

Dal 1559 al 1713 il Marchesato di Bobbio dipende dalla Spagna e di questo periodo abbiamo molti vocaboli che si inseriscono nella nostra parlata: “agüd”, agudo (acuto); “alchèrd”, alcalde (capo dell’amministrazione spagnola); “barachèda”, baraja (rumore); “bufè”, bufar (sbuffare), “cilàpa”, jalapa (riduzione di raiz de Jalapa ), “cìtu”, chito (zitto); “gandüla”, gandul (vagabondo); “rugnè”,rosnar (brontolare);”stüf”, stufo (orgoglio); “śmursè”, smorzar (spegnere); “taclìn”, taca (tassello); “tarlüch”, tarugo (pezzo di legno); “tumètica”, tomate (pomodoro), rafforza poi il vocabolo “lùch”, loco (stupido); nella toponomastica troviamo “Pegni”, peña (colina rocosa).

Anche il periodo austriaco (1713-1746) lascia il segno nel dialetto bobbiese e di quest’epoca troviamo: “bśìa”, bizen (ape); “burdèl”, bolden (schiamazzo); “büśèca”, butz (trippa); “ślèpa”, schlappe (sconfitta); “stôpè”, stop (turare); “tèpa”, toppa (muschio); “vardè”, wardon (guardare).

Dal 1746 al 1797 la Provincia di Bobbio è aggregata al Regno di Sardegna e nel 1770 il Marchesato di Bobbio viene abolito.

Dal 1797 al 1815 Bobbio è aggregata alla Repubblica ligure e poi nel 1805 passa sotto la Francia di Napoleone. Molteplici le parole che si inseriscono nella parlata bobbiese: “adubè”, adobe (addobbare); “bascüla”, bascule (bilancia); “bilièt”, billet (biglietto); “bôśia”, bougie (porta candela); “bucòn”, boucon (boccone); “büfè”, buffet (soffiare); “buì”, boullir (bollire); “caneté”(stoffa leggermente arricciata); “carèt” (carretto);”crusé” (uncinetto); “èrch en ciél”, arc en ciel (arcobaleno); “gilé”, gilet (panciotto); “trasport” (trasporto); “traturìa”, traiteur (trattoria); “trùpa”, troupe (truppa); “armùar”, armoire (armadio); “èrch en ciél”, arc en ciel (arcobaleno).

Anche nella toponomastica era rimasto un Parvé che sicuramente, indicando un vicolo stretto della città di Bobbio, era derivato dalla parola francese parvìs (vicolo che porta al sagrato); una località vicina alla città si chiama Montè ed infatti è un luogo in salita come indica la parola francese montée; la località denominata Squera non è altro che la traduzione della parola dialettale “schèra” a dimostrazione di questo è che il sentiero che porta alla vetta del Penice, continuazione di quello che passa per Squera partendo da Bobbio, i bobbiesi lo chiamano “e scarèt).

Dal 1815, Bobbio verrà inserita nella storia d’Italia.

Se Bobbio era un centro di cultura per merito del Monastero di San Colombano, anche nella sua popolazione, per merito di famiglie nobili, la vita doveva essere di alto livello: sacerdoti e persone dotte si riunivano nei nobili palazzi e si dilettavano con rappresentazioni teatrali, musicali e sicuramente con discussioni filosofiche e poetiche. Parlare il dialetto del posto era, per i nobili, una forma di etichetta come avveniva anche in moltissime altre città. Ma se alcune città ebbero la fortuna di avere dei poeti che nobilitarono questa parlata popolare, in altre invece, quegli scritti in vernacolo vennero dimenticati in vecchi canterani e poi dispersi con le vecchie ed inutili carte.

Pochi sono i poeti bobbiesi di cui si abbia testimonianza con i loro scritti, uno di questi è il cavaliere Pietro Mozzi che con il suo Bobbio che parla, pubblicato nel dicembre 1922, esprime tutto il suo amore per la «sua piccola grande patria». Altro scritto che ho trovato è quello del canonico Francesco Ballerini, nato a Bobbio nel 1824 e qui morto nel 1912; è una traduzione di una novella del Boccaccio nell’opera I parlari italiani in Certaldo alla festa del V centenario di Messere Giovanni Boccaccio- Novella IX della giornata I.

Inoltre ho trovato una poesia di Esusperanzo Ballerini, nobile bobbiese, giornalista e scrittore, che raggiunse elevati incarichi sia nella magistratura e sia come amministratore dei Benefici Vacanti. La poesia, scritta nel 1877, si intitola Bréndes, ma egli tradusse anche, in versi italiani, molte poesie dialettali di autori del suo tempo e le pubblicò nel 1923 col titolo Umorismo paesano.

Dalla mie ricerche risulta che il primo a parlare del dialetto bobbiese fu B. Biondelli, nel Saggio sui dialetti Gallo-Italici pubblicato nel 1853. Il Biondelli lo pone come un derivato del dialetto parmigiano; altri lo dicono derivante dal lombardo, altri dal piemontese, altri ancora dal piacentino. La verità, credo, stia nel fatto che ogni dialetto nasce su un territorio e lì si sviluppa e si evolve. La somiglianza con gli altri dialetti deriva unicamente dall’aver avuto una storia similare; a dimostrazione di questo il fatto che paesi vicinissimi a Bobbio hanno sviluppato una parlata ben diversa, con vocaboli e sonorità proprie ed uniche. Ne sono dimostrazione le traduzioni della Parabola del figliol prodigo nella Grammatica Bobbiese dei dialetti del circondario della città di Bobbio.

Faccio notare che nel Glossario latino emiliano di Pietro Sella del 1882 si fa riferimento a un latino medioevale di Bobbio, parlato nel XII secolo a dimostrazione che il parlare bobbiese era già considerato importante.

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