1929 – Dintorni di Bobbio

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Da "La Scure" del 1929

 Questo sereno settembre sollecita le deliziose passeggiate sui monti. I temporali dell'agosto hanno spazzato per benino i velami opachi delle foschie estive e i pianori delle valli e le distese lontane dell'orizzonte, hanno ripreso la loro brillantezza, offrendosi tutti nei loro minimi e vividi particolari. La purità dell'aria, il riposante e rigoglioso vigore virente del bosco, portano all'animo un senso più esultante di vita, dopo le sfibranti calure estive. I paesetti montani solitari, accolgono ospitali i villeggianti curiosi e ammirati, che rompono la quiete profonda dei luoghi, portando una nota nuova, più viva e insolita. Al metodico calmo e lento svolgersi della vita agreste, nell'incanto del solenne silenzio delle valli. Via dunque le mete più belle, in cerca di riposanti bellezze naturali, dove l'animo s'imbeve di poesia e di serenità.

Il Bosco del Comune

Un groppone di monte, tutto boschivo, saldo artiglio del Monte Penice, amputato dal colosso per opera tenace del torrente Bobbio e rimasto, quale imponente baluardo a custodire e difendere la città di Bobbio, accoccolata serenamente ai suoi piedi. Il monte ha serbato tutta una gualdrappa boschiva rigogliosa e vetusta, solo strappata qua e là, nei brevi pianori, per stendere qualche campetto vigilato da solitarie casette sperdute.

La selva però si mantiene sempre nella imponente sua estensione e forma una delle mete più belle e più prossime dei dintorni bobbiesi. Una stradicciola ombrosa si stacca dalla strada provinciale del Penice per correre tutta a balzi, fra salite e avvallamenti, rimontando la vallicola del torrente Bobbio e affiancandosi poi al versante imponente del monte.

Un primo molino sul greto del Bobbio, sorride con le sue caratteristiche, pittoriche e poetiche e tra i gerani fioriti canta la fresca acqua precipite sulle pale della vecchia ruota della macina, nel giro ritmico ed eterno. Più oltre altro molino dell'Erbagrassa ci segna il guado del torrentello per condurci alla mulattiere, sul monte, nell'altra sponda. Qui la stradetta s'impunta decisa e implacabile verso l'alto della montagna, sempre tra il folto degli alberi, aggirando da ponente il grande prisma montuoso. Si sale rapidamente e il panorama si apre sempre più grandioso e ammirevole. Si domina particolarmente tutta la maestosità di Monte Penice.

Ecco ancora tutta la vallicola del Bobbio, incastratasi lontana fra le strette degli speroni dirupi, mentre sotto un'incrinatura serpeggiante e ardita è segnata dal Rio Dezza che apre il suo valico profondo tra il bosco. Da 447 m. si raggiungono in poco tempo oltre i 700 metri e allora la strada da tregua e cammina svelta, pressoché pianeggiante, verso la deliziosa e incantevole conca di Dezza che il Bosco del Comune custodisce orgoglioso. Poche casette raccolte sul fianco formano il paesetto di Cernaglia bassa, mentre la mulattiera in breve conduce più in alto ancora a Cernaglia alta, tutta ridente di sole tra ilo verde della riposante conca montana. Paesetto ospitale e disperso lassù, imprigionato dalla maestà della selva rigogliosa. Fresche ed abbondanti fontane sgorgano incessanti e vecchie faggete contornano i brevi spiazzi diroccati per la vita agreste dei montanari.


Nella leggenda e nella storia


Il costone di vetta è ormai è ormai poco lungi e la stradicciola si fa aspra ed ardita e vi abbandona colassù nel pieno della selva pittoresca, dove il faggio domina e impera, dove l'arte inesausta della natura, spazia libera per i suoi capricci e per le sue genialità creative. Il Bosco del Comune è memorando nella storia e nella leggenda Bobbiese. La fantastiche ad antiche leggende richiamano sovente il luogo come zona infestata di orsi e di lupi, sì che il fatidici e superbo orso bruno che ebbe a divorare il bue aggiogato all'aratro di San Colombano e da questi reso poi mansueto e amico, così da aggiogarlo a sua volta al bue superstite, per la coltivazione dei campi, lo si vuole disceso dalla selva di questo monte. Ed orsi e lupi rivivono nella fantasia dei montanari. Leggende meravigliose, frammiste alla taumaturga potenza del grande Santo irlandese, sono originate da questa stessa selva.

Anche la storia ricorda il monte boschivo. Gli statuti bobbiesi del 1390 assegnano le cure e il reddito, di questo Bosco de Vigullo Proderiae de Bobbjs. E più oltre per donazioni particolarmente dell'Arcidiaconato di Bobbio e de la Casa de Zanacchi, il possesso Comunale del Monte, si estende sempre più e verso il versante di Dezollae (attuale Dezza), cosicché nel 1787 ritroviamo una accurata ed estesa pianta topografica catastale che fissa esattamente confini e le zone della selva comunale denominata nell'epoca «Bosco da Marazzo» (bosco da taglio).

Altri antichi documenti comunali inesplorati, che ancora si conservano in Bobbio, potranno forse dare più precise notizie storiche sulla località che tradizionalmente il Comune conserva e dove se i feroci orsi e lupi son scomparsi, ora trovano ospitalità larga e sicura e volpi e tassi e lepri e scoiattoli e ricca varietà di uccelli, che animano il folto virente di questa bella, vetusta e rigogliosa selva montana.


L'arco trionfale


Solenni pittoreschi castani, vecchie querce, folti cespugli di nocciolo, superbe vegetazioni di felci giganti e mille altre varietà della flora montana intessano il verde manto della montagna, ma particolare rimarco hanno il faggio e l'olmo con le più bizzarre forme dei tronchi e dei rami che si foggiano nei più fantasiosi aspetti, degni d'ogni ammirazione.

Ecco quassù, nell'alto della selva, il grandioso arco trionfale dato dall'amore secolare di due faggi svelti e maestosi. Ognuno dei due tronchi ha proteso due grossi rami, l'uno verso l'altro, fino a raggiungersi ed incrociarsi. Il vento vigile ha perfezionato il connubio dei due rami amanti. I secoli li hanno rinsaldati, rinserrati tenacemente, fondendoli in un unico elemento, dove le linfe scorrono da un tronco all'altro quale eterno simbolo d'amore e di affetto, mentre dall'alto tutto un rigoglio di fronde dona al naturale arco di trionfo un aspetto di esultanza e di gloria sotto la volta azzurra del cielo…


Il dirupo e i fontanini


A levante un piccolo paesetto è accovacciato in un vallicolo sotto annosi castani. Le Moiasse, Quindi il prisma montagnoso dirupa in un aspro e profondo scoscendimento e il paesaggio permuta il suo aspetto nell'orrido del franamento e il pittoresco della roccia fra i tenaci e contorti ginepri. Un sentierino ardito si libra sull'alto dirupo e sorpassa deciso la frana, per serpeggiare svelto e ardito fra i sobbalzi delle groppe sottostanti. Ecco Bobbio più in basso brillare argenteo presso il nastro sinuoso del Trebbia; ecco tutta la catena montuosa dei dintorni stendersi nitida e fresca, da Gavi a Monte Sant'Agostino, all'Alfeo e di fronte il curioso cocuzzolo del Bricc Carana porta una nota caratteristica rossigna e fulva tra il folto verde.

Il declivio boschivo del monte verso il torrente Bobbio ci richiama. Un pianoro e una casetta tutta sola contornata da un pittoresco bosco di castani è l'ultima tappa del ritorno. Siamo ai «Fontanini». Poi via ancora tra il bosco ed eccoci alla Fontana Fredda, dove un gettito d'acqua cristallina e diaccia sgorga fragorosa da un crepaccio di calcare bianco e si perde bel basso.

Un ultimo snodìo della mulattiera tra cumuli brulli e azzurrastri di argille scagliose, così da assumere aspetti fantasiosi e scenografici, ci lancia rapidamente sulla precipite stradetta sassosa, quasi un'enorme scalinata, fino nel greto del torrente Bobbio, a congiungere il completo aggiramento di questa bella selva montagnosa che mantiene tutte le preziose caratteristiche del vecchio e pittoresco bosco, dove ci si può ancora profondere nell'abbandono riposante dello spirito tra le voci e i silenzi misteriosi della più alta poesia della natura.

ALDO AMBROGIO

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