1925/07/26 – Agricoltura e polizia

Da La Trebbia del 26 Luglio 1925

A Bobbio Nel Medio Evo

Togliamo e riassumiamo dalla benemerita consorella « L’ Agricoltura Bobbiese » un articolo storico dell’egregio concittadino I. Reposi, in fatto di Agricoltura. Sono gli statuti della Città di Bobbio, che risalgono al 1398, e che riguardano norme veramente savie e, per noi curiose in fatto di coltura dei campi, dei boschi e dei prati.
Sotto determinate pene c’erano, per esempio, colture obbligatorie per i proprietari e possessori di fondi – piantare ogni anno almeno 4 alberi domestici, sei vitigni di moscato, due di nocciole avellane, e due mandorli – e disciplinata la custodia quasi pubblica dei campi e dei vigneti per mezzo di campari o guardia campestri nominati ogni anno dal Consiglio comunale, ed erano pagato con vino e cereali e legumi; – proibita la caccia (De non eundo vineas ad cazandum) nei vigneti, così evitava l’occasione di danni ai raccolti e di litigi. Disposizioni speciali riguardavano a) la custodia del bosco del comune, per cui vi si proibivano dissodamenti, fornaci e scalvi di piante ecc. b) l’acqua del Bedo, che fu destinata non solo per l’irrigazione di orti e prati e campagne, ma anche per la cultura della canapa.
Anche il commercio aveva la sua disciplina: proibita per esempio l’introduzione del vino forestiero, ad eccezione del vino greco, e della vernaccia genovese (forse il vino delle Cinque Terre). Si vede che anche allora i nostri vini bastavano al bisogno degli abitanti.
E vi erano norme per i patti agrari per i contratti enfiteutici; norme per la confezione di certi prodotti, per l’esercizio di certe arti e mestieri; calmieri per merci e prestazioni d’opera; e nello stesso tempo obbligo di vendere merci e legumi nella piazza del Comune o della Chiesa maggiore, a cui bestiame minuto, pollame, uova, formaggio e simili generi dovevano essere portati.
Il bravo articolista I Reposi conclude ottimamente che in questo campo anche nella Bobbio del M. E. si trovano cose che parvero tramontate per sempre e sono invece riapparse da poco tra noi, giusta l’affermazione del poeta, « Multa renascentue quae jamcecidere».

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