1931/11/13 – Le magistrali

Da La Trebbia del 13 Novembre 1931

Inaugurazione del nuovo Istituto Magistrale

Scriviamo con gioia vivissima questa data 5 Novembre 1931, che segna un avvenimento di eccezionale importanza, degno di essere scritto fra le pagine più belle della nostra storia: la risurrezione delle nostre scuole magistrali.
Non dunque la semplice cerimonia augurale d’un nuovo anno scolastico quella a cui abbiamo assistito; ma un vero e proprio battesimo, religioso e civile, con tutta la solennità gaudiosa e piena di speranze, con cui meritava di essere accolto e festeggiato il nuovo Istituto all’alba radiosa e serena della sua vita.
Bobbio con tutte le sue Autorità, con tutte le sue bandiere, con tutte le sue fiamme, on tutta la sua giovinezza, col richiamo di tutti i suoi gloriosi ricordi millenari, nell’austera basilica del suo Santo Fondatore, prima, e poi nelle maestose corsie del suo Convento ove ha sede la scuola, ha assistito a questa celebrazione e ne serba vivo ricordo anche senza sentirselo ripetere in una fredda pagina di cronaca.
La quale si può riassumere in poche parole. Alle 9,30 Messa e discorso di Mons. Pellegrino in S. Colombano, presenti Autorità, Insegnanti. alunni, Istituzioni fasciste, e una fiumana di popolo come nelle maggiori solennità.
Alle ore 10, nell’aula magna dell’Istituto adorna di bandiere, di trofei, di palme e di fiori, discorso inaugurale del Preside Cav. Prof. Umberto Fisso, presentato con nobili parole di saluto e di augurio dal Podestà Sig. Ninetto Renati.
Nessuno dei presenti alla funzione religiosa volle mancare alla inaugurazione civile. Notiamo, per il suo particolare valore significativo, la presenza della Sig.ra Prof.Ssa Angelina Olmi Valgoi, che per tanti anni fu direttrice delle nostre Scuole Normali, e quella del Prof. Can. Monteverde già preside del Civico Ginnasio S. Colombano e del cessato Istituto Magistrale Michele Bianchi. Gli alunni di quest’ultimo, per mano dell’Avanguardista Lini, offrirono al Preside un mazzo di fiori.
Il discorso del Preside fu interrotto da frequentissimi applausi. Lo riportiamo integralmente, come pure riportiamo il discorso di Mons. Vescovo.
Su proposta del Prof. Monteverde, fu inviato al R. Provveditore agli Studi un telegramma di ringraziamento per aver destinato a Bobbio un Preside sì intelligente ed attivo, che già si è conquistato le più grandi simpatie nell’animo di tutti.
Le parole del Vescovo

Sia lodato Gesù Cristo!.
Narra la Storia sacra che, quando gli Ebrei furono portati schiavi a Babilonia il sacerdote Neemia si preoccupò di mantenere vivo il fuoco sacro che ardeva nel Tempio, e diede ordine ai suoi ministri di nasconderlo in un pozzo alto e secco, posto in una valle oscura, in luogo ignoto a tutti.
Passarono i lunghi anni di cattività, ma finalmente, riavuta la libertà e ritornati in patria, pensarono di offrire a Dio un sacrificio nel tempio, e Neemia mandò a ricercare il fuoco sacro nascosto nel pozzo; ma invece del fuoco non trovarono che acqua torbida e limacciosa.
Neemi fece aspergere con quell’acqua la legna del sacrificio, e quando spuntò il sole, che prima era velato, ed investì la catasta di legna, divampò un gran fuoco, che consumò il sacrifico, e gli ebrei riebbero il fuoco sacro.
Questo fatto, in certa guisa adombra la condizione delle scuole medie di Bobbio. Quando alcuni anni or sono, fu decretata la soppressione delle nostre scuole Ginnasiali e Magistrali, Bobbio fu ferita nella sua tradizione più gloriosa e più nobile, che aveva ereditato dai suoi Monaci, di città di studio ed asilo di coltura: era il fuoco sacro della scienza che minacciava di spegnersi.
Come ai tempi delle invasioni barbariche i Monaci pazienti e studiosi salvarono dalla rovina il patrimonio delle lettere e delle scienze antiche fra le mura dei loro cenobi, e Bobbio ne fu asilo sicuro e prezioso, così in quegli anni dolorosi, brevi per fortuna, i miei Sacerdoti, a costo di non lievi fatiche e coll’appoggio dell’Autorità Cittadina, a cui do lòa meritata lode, conservarono il sacro fuoco con l’istituzione del ginnasio privato prima, e con l’istituzione del primo corso magistrale poi, aspettando e preparando in tal modo tempi migliori.
L’Istituto privato diede ottima prova pei suoi lusinghieri risultati, e diede agio ai giovani bobbiesi di compiere, come privatisti, in Bobbio stessa, gli studi letterali che avevano intrapreso come allievi del R. Ginnasio, con immenso vantaggio morale ed economico delle famiglie, le quali debbono essere riconoscenti.
Verso la metà del prossimo passato mese si sparse rapida come un baleno la lieta notizia che il saggio e provvido Duce aveva restituito a Bobbio la sua gloria, facendone sede di un Istituto Magistrale misto.
La cittadinanza esultò alla lieta notizia; la sua speranza non fu delusa, il suo sogno ormai è felice realtà. Ormai è giunto il tempo di togliere dal nascondiglio il fuoco sacro del sapere. Io veggo già preparati all’auopo I Sacerdoti ministri della scienza, l’Illustre Collegio dei Professori, capitanati dallo zelante ed attivo loro Preside, i quali vengono a noi preceduti da buona fama di sapere e di virtù, a cui mi è caro porgere il mio riverente saluto, il mio cordiale benvenuto. Già veggo raccolto il vivace e gaio esercito studentesco, numeroso più di quanto si potesse sperare, avido di raccogliere in sé il prezioso seme del sapere, che essi un giorno comunicheranno a loro volta ad altre piccole intelligenza.
Che più manca? Manca il sole della grazia divina che investa la legna preparata al sacrificio e sviluppi la sacra fiamma del sapere e della virtù.
E questo fuoco divino noi siamo venuti stamane ad invocare da Dio, Signore delle scienze, per l’intercessione di S. Colombano, e dei suoi santi monaci, le sue reliquie qui riposano.
Oh discenda lo Spirito Santificatore come nel giorno delle Pentecoste, sopra gli insegnanti e sopra gli alunni, e tutti li investa coi raggi della sua luce, e tutti li infiammi col calore del suo fuoco, affinché tutti veggano la luce della verità, ed abbiano virtù di vivere la verità conosciuta!.
Discenda sul corpo Insegnante e lo avvalori della sua virtù divina, affinché possa con la parola e con l’esempio compiere la sua missione, divina di insegnante e di educatore, ed appagare la giusta aspettazione degli allievi, della Patria e della Chiesa.
Discenda sugli alunni, e dia loro un cuore docile, affinché sappiano trarre tutto il profitto dell’insegnamento che loro verrà impartito.
Una sola raccomandazione io faccio ai giovani studenti. Voi oggi siete scolari per diventare domani insegnanti: siate voi oggi scolari modello per applicazione, diligenza, rispetto e confidenza quali vorrete che siano i vostri scolari di domani. ed ora un ultimo augurio al rinascente Istituto Magistrale:
Vivat, crescat, floreat
Viva di vita prospera e lunga, e mai più conosca la fine. Cresca nel numero nella diligenza, nella disciplina, nello studio. Fiorisca sempre, e dia frutti di sapere e di virtù, quali esige l’onore di Bobbio, che fu in ogni tempo faro luminoso di sapere e di santità, quali esige lo sforzo del Governo che istituito e mantiene la Scuola, quali si aspettano le vostre Famiglie, e quali vuole il vostro stesso interesse.

Il discorso del Preside

Eccelenza, Sig. Podestà, Signori
Vi confesso che prendo oggi per la prima volta la parola fra voi con animo profondamente commosso. Intendevo oggi iniziare il nuovo anno scolastico, il primo anno del nuovo Istituto, con una modesta cerimonia, con una presa di contatto spirituale fra questa presidenza, questo corpo insegnante e autorità, famiglie degli alunni, cittadinanza bobbiese.
Ma non credevo, non avrei mai osato sperare che da questo primo contatto potesse scoccare una scintilla così intensa e luminosa, che tanta onda di simpatia e di consenso mi dovesse travolgere, che tanto fervore di collaborazione dovesse rendere agevole e lieta la mia fatica. Le parole dell’eccellentissimo nostro Presule, improntate di una sapienza tanto superiore alla nostra povera sapienza umana, e nel tempo stesso così benevoli, così paterne per me, per i miei insegnanti, per la mia scuola, le parole di quello che dovrei chiamare il signor Podestà, ma che l’animo mi spinge già a chiamare il camerata e l’amico Podestà, ispirate a tanta cordialità e soprattutto a tanta stima e confidente aspettazione, mi allietano, mi animano e mi turbano assieme, perché mi fanno sentire anche più fortemente la responsabilità che mi sono assunta. Dio, così fervidamente e santamente invocato nelle parole che ci hanno commossi, diriga il nostro lavoro e non consenta che da noi sia tradita la vostra fiducia.
Intanto un primo lieto successo abbiam conseguito, che al mio arrivo parea follia sperare. Questo nobile edificio, squallido, abbandonato, quasi votato a non lontana rovina, in poco più di due settimane ha mutato volto, si potè aprire ad una sessione di esami, e oggi si presenta già nella sua nuova disposizione e nelle nuove sue linee, avviato a quel decoro, che ridarà a lui dignità e offrirà sede degna alla scuola. Merito questo del vostro solerte Podestà e dei suoi collaboratori, ma anche merito vostro, o cittadini, che lo confortaste del vostro fervido consenso.
Il simpatico gesto con cui veniste incontro ai bisogni della scuola, iniziando una pubblica sottoscrizione per il suo arredamento, vi onora e io sono lieto di rendermi interprete del compiacimento del nostro ottimo Provveditore agli Studi presente oggi in ispirito e, speriamo, presto, di persona, il quale, reso da me edotto, volle che vi rivolgessi la sua parola di plauso e vi comunicassi che del vostro atto volle che si serbasse memoria nel suo archivio.

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Ma di questo fervore, di questi consensi, di questo entusiasmo si debbono con me allietare i valorosi colleghi che nell’oscura parentesi fra la vecchia scuola normale e il nuovo istituto seppero, con tenace volere, tra tante difficoltà e tanta penuria dimezzi e di aiuti, mantenere accesa la scintilla sotto la cenere, nel civico ginnasio e nel civico istituto magistrale inferiore, e più ancora debbono esultare gli antichi dirigenti ed insegnanti della scuola normale, che son lieto di salutare qui così degnamente rappresentati, i quali alla missione del magistero avevano dedicata la vita operosa, dovettero dolersi della sua inopinata decapitazione del loro istituto come di lutto famigliare e possono, ora, con legittimo orgoglio rivendicare a sé il merito di aver preparata la rinascita con la loro opera meritoria, madre del consenso che agevola oggi e rende grata la nostra fatica. A loro l’espressione della solidarietà e della gratitudine di noi che raccogliamo i frutti della loro seminagione e con loro ci confortiamo nella doce intima convinzione che il bene fatto non va mai perduto, anche se sote e smarrimenti temporanei possono talora indurre in contrario avviso.

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Ma se da domani la scuola inizierà le sue lezioni con tutti gli insegnamenti e l’orario completo regolare, molto lavoro ancora occorrerà perché si possa dire completamente sistemata e pronta alla inaugurazione ufficiale, e molto ancora quasto insistente preside tormenterà di sue richieste il vostro buon podestà, attanagliato fra l’impulso di persona colta, la coscienza di rappresentare e di dover tutelare e perpetuare una tradizione millenaria di studi, di sapienza, di cultura, e d’altra parte il sacrosanto dovere anch’esso di costituirsi cerbero vegliante alla integrità della cassa comunale, anche se di cerbero non ha le fauci e il latrato, ma si difende dalle mie istanze con la cortese parola e il dolce sorriso.
Ma tant’è, io non mi stancherò di chiedere, egli, già convinto, continuerà a dare, e voi lo conforterete, né io mi dorrò del ritardo.
Crescono improvvisi per poca pioggia e molto sole i funghi, ma la lor vita è di giorni; si sviluppa lenta e faticosa la quercia, ma sfida i secoli e la nostra quercia resisterà alle bufere, come questo edificio ha sfidato fuga di tempi e barbari silenzi, perché essa è nata di buon seme in terra feconda.

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E non mi dorrò anche per un’altra ragione. Che il nostro istituto non vuole essere solo un edificio convenientemente arredato, che, col suo aspetto esteriore, col suo decoroso arredamento, con l’ordinato funzionamento di tutti i suoi servizi, con la ricchezza di seppellettile didattica e scientifica, riesca per sé stesso strumento di educazione estetica, di ordine morale e materiale.
Ma vuole e deve essere soprattutto un organismo vivo e vitale, con un suo volto, una sua anima, un ideale, una meta, e qui, o signori, non si incide sulla materia, non si conta a metri quadrati di lavoro e a costo denaro; si incide sulla coscienza e sugli spiriti e necessitano consapevolezza di fini, determinazione e affinamento di mezzi, coordinamento di volontà di energie di sforzi, fusione di anime, tutto un lavorio, insomma, superiore all’opera muraria, se pure inavvertito ed invisibile. Ed io vorrei che nel giorno dell’inaugurazione ufficiale, la scuola si presentasse già anche con un primo delineamento della sua struttura spirituale e morale.

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Quale il volto della nuova scuola? Quando ci penso, e mi darete fede se affermo che attorno a questo pensiero gravita oggi tutto il mio mondo spirituale. mi agita un tumulto di fede, di speranza, di orgoglio, di trepidazione, di sgomento, che mai saprei esprimere con parole, ma che potranno ben comprendere i giovani sposi, congiunti in giuste nozze, che vedono schiudersi alla vita il primo frutto del loro amore consacrato e per l’avvenire del loro nato non conoscono limiti al proprio sogno.
Perché, da questo storico chiostro, le cui pietre, edificate nei secoli, resistono ai secoli e dove in tempi oscuri echeggiò la parola ispirata a romana e cristiana grandezza e risuona per l’eternità; in questo vetusto santuario, in questo nobile vaso di fede e di cultura, non si possono. non si debbono formulare bassi propositi. E tanto meno oggi, quando nel nome del Re Vittorioso, sotto la guida del Duce, che Dio ha dato alla Patria perché inveri il sogno di Dante e di Mazzini, questa nostra Italia nuova ed antica. si protende tutta dai raggiunti confini, oltre i monti, oltre i mari, a cercare le vie consolari ed imperiali, esercitate già dal passo incoercibile delle quadrate legioni, e dalla sintesi della civiltà romana e cristiana, dalla Roma di Augusto e dei Papi, di Vittorio Veneto, del 28 Ottobre e dell’11 Febbraio, vuol lanciare la nuova parola per la terza volta universale.
Ond’è che questo nostro istituto vuole bensì essere soprattutto un seminario di maestri colti, educati, buoni, coscienti delle responsabilità che su loro incombono, illuminati dalla fede avita, devoti alla Patria fino al sacrificio consapevoli e conformati allo stile di vita che il Duce vuole imporre all’Italiano nuovo. e di più, tenacemente attaccati a questa loro terra che li vide nascere, alla piccola città, ai monti, alle valli nostre, ai villaggi, anche se sperduti nella solitudine, i quali non debbono più essere ritenuti solo palestra per principianti che hanno in uggia la sede ingrata, non si affezionano alla scolaresca sono ripagati d’eguale moneta, ma terra degli avi e dei padri, aspra forse e senza falsi miraggi di comodità, di piaceri, di splendori con cui la grande città illude gli animi e maschera spesso lo strazio dell’igiene e la povertà di vita spirituale, ma parlante all’anima con mille care voci, dalle case, dalle chiese, dalle tombe, dalle zolle, ma non avara di messi e di gioie a chi la sa amare di sano e forte amore e sa sentire l’orgoglio del farsene campione, di promuoverne lo sviluppo, di alzarne il livello intellettuale, morale, economico.
Ma la scuola nostra vuole perseguire anche un altro fine, vuol continuare una tradizione millenaria, per cui il chiostro di S. Colombano è noto ovunque è amore di cultura, vuol riaccendere la face che Bobbio tenne viva nei secoli oscuri, vuole che lo studio Bobbiese non rimanga solo motivo ornamentale sui diplomi di laurea dell’Ateneo Torinese, ma ritorni, sia pur con più modesti intenti, una presente realtà, retaggio e lustro di nostra terra.
Gli operai, i cittadini che nei giorni scorsi si rivolsero alla scuola perché allarghi anche a loro il compito il compito suo e soddisfi la loro sete di cultura e perfezioni lo strumento del loro lavoro, abbiano fede in noi: io ed i miei collaboratori con tutto l’animo andremo incontro al loro desiderio.
A voi, Autorità di ogni ordine, a voi cittadini, chiediamo solo di continuarci la vostra presente fiducia e, se Dio ci assista, noi non la deluderemo.

***

Ed ora consentitemi poche parole ai miei nuovi alunni, le prime. Molte ne dovrò poi dire, spero non troppe e non vane.
O giovani studenti, venite a noi con animo aperto, con piena e larga fiducia. Qui troverete cuori paterni e fraterni. Vi accompagneremo nel vostro cammino, della fiamma che ci consuma investiremo le anime vostre, vi conforteremo nel lavoro quotidiano, vi sorreggeremo nei vostri dubbi, nelle incertezze, negli smarrimenti, vi rialzeremo nelle vostre cadute. Troverete in noi grande amore. Troverete anche severità, perché chi non castiga non ama e il nostro vuol essere vigile amore, amore armato. Ma vi sia detto una volta per sempre: i vostri trionfi saranno i nostri; castigandovi saremo i primi a soffrire del castigo inflitto. Solo l’indisciplina l’offesa alla legge morale e alla dignità della scuola e degli insegnanti, sacri per me l’una e gli altri, mi troveranno giudice e giustiziere freddo, impassibile, inesorabile. Chi non sa obbedire non saprà mai comandare e chi è tristo in casa e a scuola sarà tristo sempre nella vita.

***

Ma non con queste gravi parole voglio oggi terminare. Preferisco dirvi che amo anch’io la scuola lieta, che la vagheggio gaia non solo per salubrità di ambiente, per letizia di sole e di luce e, speriamo, presto anche di verde e di fiori, ma gaia di esuberante e mal compressa vivacità giovanile; che se tutto il giorno io passo nella scuola, si è perché solo in essa non sento né crucci né anni, solo in essa mi sento sempre sereno e giovane. Si, a voi specialmente mie nuove alunne, fiere del trionfante fiore della vostra giovinezza, voglio oggi donare uno specifico che non trovereste in nessun cosmetico, in nessun fronzolo, presso nessun istituto di bellezza, riverniciatore di ruderi .
Quando sarete educatrici, amate di santo e intelligente amore i vostri scolari, e mentre alla luce del vostro intelletto si illumineranno le loro tenere menti, mentre alla fiamma del vostro cuore si scalderanno le animucce loro, inconsciamente vi sentirete pervase dall’onda di giovinezza sprigionata dallo loro vitalità erompente, e, specchiandovi nello specchio magico dei loro occhi potrà ben la neve fioccare sui vostri capi ora biondi e bruni, e le fresche e liscie fronti insecchirsi e corrugarsi; voi vi vedrete sempre fresche, sempre belle, sempre giovani.

***

Ed ora avrei finito, ma un ultimo monito dovete accogliere e farne tesoro.
La generazione che vi ha preceduto, attraverso varie e spesso dure esperienze, fra soste e riprese, smarrimenti e audacie, gettando finalmente nell’immane carnaio della guerra il fiore purpureo del suo sangue migliore, vi ha data la Patria unita nei suoi giusti confini. O quasi, perché da Selenico l’anima cristiana ed italiana di Nicolò Tommaseo, da Spalato l’anima ardente ed eroica di Francesco Rispondo attendono l’ora della Dalmazia. A voi giovani fascisti l’affrettarla.
Ma la generazione che vi ha preceduto ha fatto anche altro per voi. Vi ha liberato dalle scorie dell’ateismo, del materialismo, dalla cieca adorazione del fatto e della materia bruta, ha posto fine al dissidio fra Dio e la Patria, ha tradotto dal campo della speculazione e della poesia al campo della realtà la nazione, ha creato lo Stato etico, lo Stato veramente sovrano, lo Stato fascista, ha ridato fede nella continuità della vita nazionale, culto all’ideale.
Ed ora, più particolarmente, a voi, o giovani e giovanette bobbiesi, il Duce, che per i giovani soli trova il suo più dolce e aperto sorriso, per la vostra elevazione, per il vostro miglior avvenire, in cui vede l’avvenire d’Italia, pur nell’imperversare della presente crisi economica, la maggiore a memoria umana, che noi però supereremo icuramente, stringendoci a lui con tutti i nostri gagliardetti e tutta la tensione del nostro volere, in questa grave ora nella quale il denaro pubblico deve essere erogato con la più rigida parsimonia e per le più impellenti necessità, ha voluto donare questo istituto, che costerà allo Stato centinaia di migliaia di lire, alle quali si debbono aggiungere i non indifferenti sacrifici del Comune. Quanto amore, quante cure, quante speranze in voi o giovani!
Voi non le tradirete, voi sarete gli italiani nuovi, gli italiani di Vittorio Veneto e di Mussolini.

***

In questa sicura fiducia vi saluto, elevando per voi l’augurio che al suo Dio volgeva palleggiando fra le forti braccia il bimbo adorato Ettore troiano, forse il più espressivo simbolo che l’arte abbia creato per rappresentare l’amore della Patria e della famiglia: fate o Signore che questi nostri figliuoli, che queste giovinette siano domani migliori di quanto noi fummo ieri, di quanto noi siamo oggi.

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